Il western e Johnny Guitar: Wim Wenders PDF 
di Barbara Lorenzoni   

[...] in principio è stato il western (1)

Sarebbe questa l'origine del rapporto di Wim Wenders con il cinema d'oltreoceano, identificato con il 'mito americano', che ha caratterizzato la sua formazione di cinefilo e di critico negli anni Cinquanta e Sessanta.

L'opera wendersiana ha costantemente risentito della suggestione della tradizione cinematografica hollywoodiana, al di fuori però dalle codificazioni del genere. Parrebbe così fuori luogo e ingiustificato, a partire dalla dichiarazione iniziale di Wenders, un confronto molto ravvicinato tra il genere 'western' e l'estetica wendersiana. Eppure, a guardar bene, il regista tedesco si rapporta, con modalità differenti, con quel genere, a partire dalla citazione.

Il 'western' infatti viene evocato attraverso alcune immagini proiettate in un cinema in Prima del calcio di rigore e attraverso il riferimento a The Searchers di John Ford in Lo stato delle cose. Ma l'elaborazione di un genere che è stato completamente assimilato da Wenders ed è entrato a far parte del suo background, passa anche attraverso forme più implicite e raffinate. Innanzitutto si può affermare che dal punto di vista della narrazione Wenders incontra di tanto in tanto il modello di racconto americano, con sceneggiatura solida e precisa, di cui anche il 'western' classico fa parte.

Certo Wenders non ha mai pensato di realizzare un 'western', ma è curioso notare come alcune parole di André Glucksmann: "(…) il western non presenta mai la soggettività in se stessa (monologo, ecc.), le fa subire una doppia riduzione che impedisce all'interiorità di comparire altrimenti che nell'azione bruta o attraverso il rapporto con l'altro (sdoppiamento)" (2), siano applicabili, con leggeri adattamenti anche alla rappresentazione wendersiana. Anche nel cinema di Wenders la soggettività non si manifesta mai ma rimane trattenuta, inoltre essendovi situazioni e non azioni come nel 'western', in questo caso l'interiorità del personaggio non è veicolata dall'atto ma dal comportamento.

E' in particolar modo sul piano dei codici figurativi che il confronto si fa più interessante. Si considera qui un esempio in particolare, quello di Ford, che offre più calzanti agganci col cinema di Wenders. "Many of Wenders's films contain direct homages to John Ford who, with his feel for overwhelming skies and disquieting environments that isolate his characters, has clearly been an influence" (3).

Ford, codificatore del 'western', porta alla sublimazione figurativa componenti tradizionalmente legate al genere: lande desolate e aride, ampi spazi aperti ripresi in campo lungo o lunghissimo. Le sue sono vere e proprie 'composizioni', dove i paesaggi escono dallo sfondo, acquistano significato ricco e vario e interagiscono con i personaggi.

Illuminanti in questo senso le osservazioni di Douglas Gomery su Sfida infernale (4), su come in particolare le rocce della Monument Valley, la bottega del barbiere e i cactus, siano punti di riferimento spaziale, ma non esprimano solo questo. Essi sono sempre associati a determinati personaggi o azioni, marcano e connotano di valenze precise l'ambiente. Così l'emotività, la tensione o la serenità di una sequenza sono in gran parte determinate dall'aspetto del cielo, dalla qualità della luce, dall'angolatura di ripresa e anche dalla disposizione degli elementi naturali, degli oggetti e degli esseri viventi nello spazio. Il deserto e la Monument Valley poi sono divenuti luoghi topici dello spazio filmico fordiano, ricorrendo puntualmente in ogni 'western'.

Non c'è dubbio che anche i film di Wenders rivelino un'attenzione ricercata per la composizione figurativa dell'immagine, basta fare l'esempio di L'amico americano, il cui modello per diretta ammissione di Wenders è un pittore, Hopper, o di Fino alla fine del mondo, nel quale un'inquadratura in interno dedicata alla sorella del protagonista ricorda esplicitamente un ritratto di Vermeer. Lo sguardo di Wenders spazia sul paesaggio con un'ampia visuale, come un americano, ma la sua percezione non è quella di Ford.

Se infatti Wenders attribuisce sentimenti al paesaggio, se spesso ne fa una chiave di lettura del personaggio, se lo riveste di una connotazione psicologica, intimista, se ne fa una metafora dell'inespresso, tutto questo non viene da Ford, bensì dal pensiero romantico, dall'estetica romantica della pittura. Da essa deriva quel modo di Wenders di percepire la realtà proiettando emozioni all'esterno per rivestirne l'apparenza della natura, o meglio dei paesaggi urbani.

C'è inoltre un film che rappresenta il punto d'intersezione tra il percorso di formazione, che passa attraverso il genere 'western' e il percorso originale, autonomo dell'autore Wenders. Questo film è Johnny Guitar di Nicholas Ray. Si tratta di un film interessante in questo frangente perché emblematico del rapporto autore-genere ed elemento attivo nella rete di riferimenti legati al cinema di Wenders. L'incontro con Ray, attraverso i suoi film, viene dopo quello con Ford e prima della sua conoscenza diretta, del rapporto di amicizia e di collaborazione. Dopo la regola l'eccezione, insomma; certo Ray non è l'unica eccezione al genere 'western', non è l'unico ad adattarvi tematiche e aspirazioni che ne danno un'interpretazione singolare, ma è Ray e soltanto lui ad apparire agli occhi di Wenders come la personificazione del cinema americano e delle istanze autorali nello stesso tempo. Il raffronto va dunque fatti su due versanti: da una parte Johnny Guitar e il 'western', dall'altra Johnny Guitar e Wenders. Johnny Guitar prende le distanze dal 'western' canonico: la vicenda non ha alcun respiro storico o idealistico, ma quando tocca temi sociali, l'arroganza del potere economico, l'intolleranza, la giustizia sommaria, questi sono inestricabilmente legati a rapporti personali di passione e odio, quindi a una dimensione privata, ristretta. Il protagonista è una donna, affiancata da un coprotagonista uomo, e contrapposta a un'antagonista donna.

Gli spazi non sono quelli vasti e selvaggi dei deserti o civilizzati dei villaggi, bensì emarginati e isolati, impervi e frammentati da un montaggio che tende alla stilizzazione e fa prevalere un unico riferimento spaziale: il locale di Vienna (la protagonista interpretata da Joan Croawford).
Tutto ciò è più che sufficiente per fare del film di Ray un 'faux western' (5), come pensava Truffaut, un dramma sentimentale teso e delirante prima di ogni altra cosa, prima di aderire al genere.

Il rapporto Johnny Guitar-Wenders è invece da ricostruire a partire da una breve nota critica del regista tedesco, nel 1969, che coglie nel film due prove di stravaganza per un 'western':"(…) un bandito tubercoloso che legge un libro mentre fa la guardia!" e "(…) un colore rosso che splende in modo incredibile, un colore-menzogna" (6). Wenders nota proprio due indizi rivelatori della natura di autore di Ray. Vale la pena di osservare che sono proprio il cromatismo (grazie all'eccessivo Trucolor di Harry Stradling), la marca stilistica più caratteristica del film e il suo valore decisamente connotativo che hanno attirato l'attenzione della critica.

L'"iperrealismo" (7) dei colori esprime efficacemente le tensioni tra i personaggi, l'intensità e l'esasperazione dei sentimenti. Mentre in Ford e altri registi il colore può essere usato non solo sul piano della semplice denotazione, ma comunque come un simbolo il cui valore è però circostanziato e strettamente funzionale all'economia del film, nel caso di Ray il colore e i contrasti di colore permeano ogni inquadratura ben oltre la funzionalità, sovraccaricando l'immagine e saturandola.

Per questo Johnny Guitar è stato definito 'barocco' (8). Questa accentuata valenza figurativa è il trait d'union che avvicina il film di Ray ad alcune prove wendersiane. L'amico americano trae la forza delle sue immagini dal cromatismo, mediato da un'esperienza intellettuale, cioè dalla pittura di Hopper, come si è già visto. In Wenders e in Ray l'adozione del colore iperrealista, del rosso per esempio, dominante sia in Johnny Guitar sia in L'amico americano, è un modo per rendere l'astratto per Ray, la fiction per Wenders (9).

(1) Michel Ciment (a cura di) "Nick's movie, l'altro amico americano" in Wim Wenders, Nick's movie, Milano, Ubulibri, 1982, p.11.
(2) André Glucksmann, "Le avventure della tragedia", in Raymond Bellour (a cura di), Il western, Milano, Feltrinelli, 1973, p.86.
(3) Michael Covino, "A Worldwide Homesickness", Film Quarterly, inverno '77-'78, p.11.
(4) Douglas Gomery, "Mise en scène in John Ford's 'My darling Clementine'", Wide Angle n.4, 1978, pp.14-19.
(5) François Truffaut, Les film de ma vie, Paris, Flammarion, 1988, p-169.
(6) Wim Wenders, Stanotte vorrei parlare con l'angelo, Milano, Ubulibri, 1991, p.18.
(7) Stefano Masi, Nicholas Ray, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p.49.
(8) Stefano Masi, op. cit., p.44.
(9) "E Ripley's Game è un'invenzione, una vera e propria 'fiction', così che non mi sognerei mai di girarlo in bianco e nero, perché gli darebbe un tono realistico". Wim Wenders, L'idea di partenza, Firenze, Liberoscambio, 1983, p.153.

 


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