I'm not there PDF 
Chiara Bruno   

"E' sbagliato dire. Uno dovrebbe dire. Io è qualcun'altro."

Todd Haynes toglie le parole di bocca a Rimbaud e le affida a Claire. Niente più di queste parole incarna lo spiazzamento della frammentazione, la scissione identitaria, la moltiplicazione dell'anima dell'uomo, reiterata fino ad un'apparente perdita del senso. Il film di Haynes si piazza a metà strada. Tra la realtà e l'invenzione, tra Immagine e Visione, colore e non-colore. Ci mostra l'ineffabile attraverso sei manifestazioni. Tenta con successo un affresco colorato e multiforme. Scompone il puzzle e lo ricompone solo in parte, perchè - parliamoci chiaro - mettere in ordine una vita può essere ancor più contro natura del negar la morte.

Poeta/Profeta/Fuorilegge/Imbroglione/Star di elettricità. Queste parole come proiettili lanciati allo spettatore scandiscono l'inizio della Storia, quella personale e umana, quella che si profila fin dai titoli di testa come un de-composto susseguirsi di attimi. Sei personaggi, sei vite. Nessuna è propriamente quella di Bob Dylan. "Ispirato dalla sua musica e dalle sue molte vite". Sono sfaccettature, sono riflessi, sono pezzi dell'uomo, possibilità che si animano e si snodano e si intrecciano, e si rincorrono in un gioco di specchi che lascia trasparire molto più che un tributo. I riferimenti disseminati lungo i 130 minuti del film sono infiniti, c'è chi li coglierà tutti e ne uscirà estasiato, e chi ne uscirà estasiato comunque, perchè i fotogrammi sullo schermo hanno richiamato al cuore quanto di più naturale e istintivo e umano, quanto di più semplice e radicato e vero:i ricordi.

La sostanza del cinema è in fondo quella della vita, e niente più che lo spazio di una canzone è il tempo della memoria. La pellicola procede per istantanee, detonazioni di un attimo che resta indelebile, impresso nella musica e nelle parole che sono destinate a durare per sempre.  Caos di orologi, e cocomeri, e giraffe e maschere e lustrini e pillole e chitarre-mitragliatrici ed una enorme tarantola zampettante sulle bianche pareti-scatola-cubo catodico. E canzoni che non sono più il tappeto ma l'anima. E parlano. Avvolte dal fumo grigio di 100 sigarette, parlano degli occhi celati e del sorriso beffardo di chi non conosce la notte, chè la notte è fatta per dormire, e "dormire è per sognatori". Luminose di sacra insignificanza, parlano degli occhi densi e del sorriso triste di chi sa già di non poter essere "al centro del suo mondo". Incatenate da sette semplici regole per vivere alla macchia, ammoniscono l'uomo a non creare mai niente, perchè "verrà male interpretato, ti incatenerà e ti seguirà per il resto della tua vita. E non cambierà mai." Ma una canzone è qualcosa che cammina da sola (?).

Il punto di domanda si sente e non, è un concetto labile come labile, sfumato, irrimediabilmente de-forme è tutto ciò che dà forma all'esistenza. Perchè una canzone è troppo viva per non saper camminare, e troppo irreale per poter morire. Perchè nasce dall'uomo e lo tiene in vita. Perchè, come l'amore, e il cinema, questo cinema, ci emoziona, ci sorprende, ci arricchisce. Simple twist of fate...

 


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