Due uomini senza futuro, un colpo ai danni di un gruppo di malavitosi, un killer professionista chiamato per regolare i conti. Ingredienti non certo nuovi per Cogan - Killing Them Softly, noir crepuscolare firmato Andrew Dominik. Jackie Cogan è un assassino su commissione assunto dalla criminalità organizzata per stanare e uccidere due rapinatori, rei di aver derubato le casse di una partita di poker clandestina. Tra appostamenti, minacce ed esecuzioni, non ci sarà scampo per nessuno.
In una squallida provincia americana che si sporge sul baratro della nuova grande recessione, corrotta dal denaro e senza più stabili punti di riferimento per il futuro, Dominik intreccia mafia ed affari in una trama lineare, senza intoppi o incidenti di percorso. Ma, nonostante un cast di tutto rispetto (Brad Pitt, Ray Liotta, James Gandolfini) e uno stile rarefatto, che a tratti si lascia andare a virtuosismi registici di discreto impatto, è bene dirlo fin da subito: il film non funziona. Non solo per l’inconsistenza degli eventi che racconta o per la prevedibilità con cui sono concatenate le sequenze narrative, ma, soprattutto, perché l’opera di Dominik sembra mirare molto in alto senza riuscire a colpire il bersaglio più vicino. Cogan disegna un affresco di esistenze allo sbando, prive di speranza, disperse in un mondo costruito unicamente sul profitto e sulla ricerca di nuove ricchezze. Questo mondo, schiacciato ormai dalla crisi finanziaria, ha cancellato ogni opportunità di riscatto, lasciando gli individui in balia delle loro pulsioni, e la società in preda ad una corruzione dilagante. Girando con l’ambizione di tratteggiare la condizione umana di un’intera epoca, Dominik vuole innestare su un caso particolare una riflessione sulla stessa natura del capitalismo occidentale contemporaneo, in cui banchieri, criminali comuni, politici e assassini si ritrovano mossi dagli stessi desideri, aspirazioni e problemi di sopravvivenza, nell’orizzonte di una crisi che più che economica appare di natura valoriale.
Il problema principale, tuttavia, è che Cogan non solo non è in grado di sviluppare criticamente un tema di così elevata complessità, ma non riesce nemmeno ad agganciare lo spettatore alle singole esistenze che mette in scena. Non si prova nessuna partecipazione emotiva, nessun coinvolgimento intellettuale, nessuna immedesimazione proiettiva per i protagonisti del film, tanto unidimensionali quanto privi di qualsivoglia contraddizione interiore: vuoti al loro interno, toccati da frammentarie quanto fugaci emozioni, mancano del minimo spessore che possa farli apparire anche solo per un istante pienamente umani. Si rimane così ad osservarli, in modo distratto e distaccato, galleggiando in superficie. Ma su queste fragili fondamenta, non può essere eretto alcun discorso di natura generale: e ben presto la noia inizia a dilagare, rendendo manifesto l’artificio e l’inutilità di un’opera che meglio avrebbe fatto se, al posto di aspirare all’artistica creazione di metafore e corrispondenze tra diversi piani del reale, si fosse limitata a raccontare le vite che metteva in gioco.
Titolo originale: Killing Them Softly; Regia: Andrew Dominik; Sceneggiatura: Andrew Dominik; Fotografia: Greig Fraser; Montaggio: Brian A. Kates, John Paul Horstmann; Scenografia: Patricia Norris; Costumi: Patricia Norris; Produzione: Plan B Entertainment, 1984 Private Defense Contractors, Annapurna Pictures, Chockstone Pictures, Inferno Entertainment; Distribuzione: Eagle Pictures; Durata: 97 min.; Origine: USA, 2012
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