Trono di sangue PDF 
Attilio Palmieri   

Gli adattamenti cinematografici del Macbeth hanno in più di un'occasione posto l'attenzione sulle qualità dei registi che hanno accettato la sfida: l'opera di Orson Welles è quella in cui attraverso modalità espressive cinematografiche (pianosequenza e profondità di campo) vengono messe appunto strategie di movimento all'interno dello spazio di derivazione teatrale ma codificate dal mezzo cinematografico; il lavoro di Polanski vanta un maggior realismo, scegliendo come protagonisti attori semi-sconosciuti e mettendoli di fronte ai grandi temi della tragedia; il film di Kurosawa è però quello che osa di più dal punto di vista cinematografico e che abbandona quasi completamente l'impostazione teatrale in favore di uno sfruttamento maggiore dei codici filmici al servizio dei grandi contenuti dell'opera di riferimento.

Il cinema di Kurosawa ha le qualità per poter adattare la grande tragedia attraverso soluzioni personali ma al contempo universali e marche autoriali che si adattano perfettamente al caso quali l'uso dei cavalli, l'utilizzo funzionale della nebbia e dei forti temporali. Una delle scene più rappresentative del discorso testè esposto è posta all'inizio del film e vede protagonisti proprio i cavalli, con in groppa Taketoki Washizu (Toshiro Mifune nel ruolo di Macbeth) e Yoshiaki Miki (Minoru Chiaki nel ruolo di Banquo): i cavalieri, dopo aver incontrato lo spirito (traduzione nipponica delle tre streghe) che ha predetto il loro aureo futuro, sono in balia della nebbia, impossibilitati a trovare la via del ritorno, sono immersi e spaesati in una fittissima nube grigia, metafora della loro confusione, ma anche anticipatrice della cecità che caratterizzerà le loro azioni. Lo sfruttamento calibrato del profilmico del film è di rara maestria e specie in alcune sequenze le sue potenzialità vengono sviluppate al meglio. Ad esempio la scena in cui i due amici incontrano lo spirito è connotata da un uso del profilmico che posiziona il personaggio “profetico” all'interno di una capanna sprigionante una forte luce bianca, che contrasta con la buia foresta, nella quale è immerso mentre manovra in modo ciclico una sorta di arcolaio fortemente simbolico. I due cavalieri gli sono di fronte, come due spettatori che osservano uno spettacolo rivelatore. Al profilmico è strettamente collegato anche lo sviluppo dei personaggi principali e i loro rapporti di forza, in particolare quelli tra Taketoki Washizu e Asaji (Isuzu Yamada nel ruolo di Lady Macbeth): il primo è vestito in abiti scuri, nervoso, agitato, in continuo movimento, mentre la seconda è vestita di bianco, calma, immobile, spesso seduta in terra ed anche quando si muove lo fa in modo armonico e leggiadro, con una ponderatezza che cela la sua natura diabolica.Il finale segna delle discontinuità sia con gli altri adattamenti sia con la materia prima e ricorda a tutti che nonostante le ispirazioni si tratta sempre di una storia che narra le guerre civili del Giappone del XVI secolo. Innanzitutto la famosissima scena della foresta che avanza verso il castello è mostrata in modo molto più efficace rispetto ai lavori di Welles e Polanski: il regista inquadra solo rami di alberi scossi violentemente dal vento e dal controcampo del protagonista capiamo che stanno avanzando.

Ma la “rivoluzione” più grande sta nel cambiamento della morte di Macbeth: costui non è decapitato da Macduff, ma ucciso da una moltitudine di frecce scagliategli dai soldati del suo stesso castello, in rivolta contro un potere diventato dispotico.

 


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