Silvio Soldini PDF 
Caterina Bonora   

ImageAbbiamo intervistato Silvio Soldini in occasione di un seminario sulla regia da lui tenuto a Palazzo Nuovo, sede dell’Università di Torino. Autore di film che, per qualità e riscontro di pubblico, hanno contribuito ad accendere la questione della rinascita del cinema italiano - come Le acrobate, Pane e tulipani, Brucio nel vento, Agata e la tempesta, fino al recente Giorni e nuvole -, Soldini ha attraversato diversi generi e temi confermando di volta in volta uno stile ed uno sguardo più che mai personale e penetrante.

Lei ha studiato cinema alla New York University per poi tornare a lavorare in Italia. Come ha costruito il suo sguardo e che cosa l'ha influenzata maggiormente?
Credo che uno sguardo si costruisca guardando altri film, guardando fotografie, quadri, cioè tutte le arti che hanno a che fare con lo sguardo, col fatto di inquadrare, di delimitare un campo con una cornice. Ho formato il mio sguardo anche attraverso il cinema degli autori che ho più amato, che è quello che mi ha portato a fare del cinema.

ImageC’è molta “tensione” nella macchina da presa, colpisce proprio lo sguardo desiderante e passionale, che si ritrova poi anche nelle storie, nei personaggi che spesso perdono e ritrovano sé stessi inseguendo una passione che li sconvolge, li sorprende, che a volte li distrugge, a volte li ricostruisce…
Mi fa piacere che parli di sguardo appassionato e passionale perché alcuni dicono che ho uno sguardo freddo. Mi fa piacere che ci sia qualcuno che vede anche qualcos'altro...

Per l’appunto, i personaggi subiscono delle trasformazioni fortissime, che a volte non si aspettano, come in Giorni e nuvole, perdendo e ritrovando il senso di sé. Che importanza ha per lei il tema della trasformazione radicale e come si è evoluto nei suoi lavori?
Fin dal primo cortometraggio che ho fatto, Drimage, dell’ ‘82, girato a New York, è venuto fuori il tema del partire, dell’andarsene, del cambiare; non so da dove arrivi...so che c’è...c’è fin da lì e attraversa un po’ tutti i miei film. L’aria serena dell’Ovest, che è il mio primo lungometraggio, del ‘90, parla molto di questo, di personaggi che cercano, vorrebbero, hanno paura di cambiare. C’è chi ci riesce, chi non ci riesce, chi lo fa male, chi alla fine non ha il coraggio di farlo; man mano questo tema si è evoluto, è diventato anche meno visibile, forse, più nascosto. In Pane e tulipani la protagonista in realtà non sa che vorrebbe cambiare la sua vita, lo scopre a poco a poco. Diciamo che siamo noi che la portiamo al punto in cui comincia a capire che forse la vita che sta vivendo non è quello che vorrebbe, ma lo comprende dopo che ha conosciuto qualcos’altro, di cui non sapeva neanche l’esistenza. In Giorni e nuvole ci sono invece dei personaggi che sono messi dalla vita nella condizione di dover per forza cambiare. Le cose mutano e lo devono fare anche loro, di conseguenza. É un tema che attraversa sicuramente tutta la mia opera e che ha a che fare con me, profondamente.

ImageAnche il linguaggio è cambiato molto, per esempio: ha fatto diversi documentari, magari distribuiti meno rispetto ad altri suoi film; però proprio in Giorni e nuvole si nota un riavvicinamento al documentario: la macchina da presa a mano, il tema incentrato sulla realtà, sul sociale; invece Agata e la tempesta verteva sull'immaginario, sulla fantasia, sulla forza dell'immagine, dei colori.
Il documentario in realtà non l’ho mai abbandonato; negli ultimi anni non ne ho realizzati, ma ne ho fatto uno proprio di recente, girato in Liguria, richiesto dalla Regione Liguria, di 45 minuti, che avrà adesso una sua anteprima a Genova (Un piede in terra e l’altro in mare, il 20 dicembre 2007 al Teatro Carlo Felice, ndr.). Era un po’ di anni che non ne facevo, però so che il documentario è qualcosa su cui torno molto volentieri, anzi adesso devo realizzarne uno su una poetessa milanese che si chiama Vivian Lamarque, di mezz’ora. É comunque un “luogo” a cui attingo e ho attinto spesso, sia per idee che poi sono diventate parte di qualcosa di narrativo, sia perché è qualcosa che ti costringe, per esempio in fase di montaggio, a trovare continue soluzioni, esigendo un’elasticità mentale che può ben servire anche per il cinema di finzione.

 


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