Sono passati più di cent’anni da quando Giovanni Verga propose il suo ciclo dei “vinti”, storie di uomini che in un modo o nell’altro vengono sconfitti dalla vita. La lotta dell’uomo per l’esistenza e la sua inevitabile disfatta trovano in A Serious Man dei fratelli Coen il loro naturale discendente.

Grazie alla perla della storia in lingua Yiddish, un prologo iniziale totalmente slegato dal contesto, i Coen ci introducono all’interno della cultura ebraica e allo stesso tempo nel cuore della mentalità del mondo che circonda il protagonista, dove il “sentito dire” vale di più della realtà in carne e ossa. È in questo ambiente culturale che cresce e si sviluppa la storia del “vinto” Larry Gopnik, un ebreo americano degli anni sessanta incapace di ribellarsi al suo ineffabile destino e che attraversa una fase della sua vita in cui tutto sembra andargli per il verso sbagliato. La sua storia è un vortice di non-sense, un viaggio nei meandri dell’assurdo come il protagonista de Il processo di Kafka. Larry non è accusato di un crimine che non gli viene mai svelato, ma tutti intorno a lui si comportano in modo assurdo, beffandolo in continuazione senza che lui riesca a divincolarsi dalle maglie dell’irrazionale. È per questo che il film scorre lento ma inesorabile e che rende lo spettatore ansioso di un cambiamento che non avverrà mai. La moglie di Larry chiede il divorzio e lo sfratto del marito in quanto innamorata dell’odioso vicino Ableman; suo figlio lo chiama soltanto per farsi aggiustare l’antenna della tv; la figlia gli sottrae i soldi dal portafogli per rifarsi il naso e a scuola delle lettere minatorie lo gettano in cattiva luce di fronte alla commissione che deve valutare la sua promozione a insegnante di fisica di ruolo. Come reagisce Larry di fronte a tutto questo? Ingoia il rospo e va avanti. Solo un terribile incidente lo scuote al punto da chiedere sostegno a tre rabbini diversi. Ma nessuno di questi sarà in grado di aiutarlo e anzi lo confondono con storie palesemente inventate e buone per tutti i contesti in quanto non significano assolutamente nulla. Larry deve tenere d’occhio anche i disastri che combina il fratello che in qualche modo sfrutta l’eccessiva bontà del protagonista.

Ma il “serious man” del titolo è il mensch, cioè l’ebreo che diventa uomo dopo la cerimonia del barmitzvah. Questa cerimonia corre parallela alle peripezie di Larry e vede protagonista il figlio Danny che sembra ripercorrere la stessa vita del padre. Più interessato a fumare spinelli e ascoltare musica, Danny non prende sul serio quanto gli sta accadendo tanto da arrivare a recitare le parole della cerimonia in stato allucinogeno. Unico momento di riso ma pur sempre amaro è la vicenda della bustarella dello studente coreano. Il ragazzo cerca di corrompere l’inflessibile Larry per ottenere un voto più alto, ma all’accusa di corruzione reagisce con quella di diffamazione, ponendolo di fatto di fronte a una scelta illogica da cui uscirebbe sconfitto in qualunque caso. Accettare la bustarella andrebbe contro i suoi principi, rifiutarla gli costerebbe altre noie legali.  La scelta avverrà alla fine del film in contemporanea con quella telefonata che sembra sancire l’impossibilità di cambiare gli eventi, un karma che punisce Larry se osa deviare dalla strada imposta dalla sua cultura e dalla sua morale. L’unica scelta che gli è concessa è di “accettare il mistero”.