La collina del disonore PDF 
Matteo Demichelis   

ImageTratto dal dramma di Ray Rigby e R. S. Allen (e migliore sceneggiatura per Rigby a Cannes, nel concorso del 1965), The Hill è un’opera la cui forza sta principalmente in un’unità stilistica esemplare nella quale si mette in evidenza l’abilità tecnica del Sidney Lumet metteur en scène di testi teatrali e letterari, una pratica molto diffusa nel cinema nordamericano già a partire dagli anni Cinquanta.

Durante la seconda guerra mondiale, cinque soldati dell'esercito britannico finiscono in prigione nel mezzo del deserto nordafricano per aver violato il codice militare. Nel lungo piano sequenza iniziale (di circa cinque minuti, con una performance, insieme a molte altre, che si può ascrivere alla formazione teatrale di Lumet), il sergente riceve in consegna i cinque, personaggi presentati senza troppe sfumature e che non riserveranno quindi molte sorprese nello svolgimento della vicenda. Il nero britannico ostinatamente perseguitato per il colore della pelle, l’opportunista imprigionato per commerci con i beduini, il combattente rude che sembra disinteressarsi delle questioni degli altri, il disertore di fibra debole destinato a soccombere e, infine, il valoroso (Sean Connery) con un forte senso della morale, recluso per il rifiuto all’obbedienza in un caso di missione suicida. L’accoglienza del sergente promette di usare metodi duri ma efficaci per ripulirli e renderli degni di rientrare nell'esercito. I cinque sono affidati ad un nuovo carceriere, Williams, ma mentre il sergente, pur nella cieca logica del codice militare, è mosso da principi etici di fedeltà all'esercito, Williams ha come unico obiettivo quello di infliggere le pene più pesanti possibili ai suoi sottoposti e scalare le gerarchie militari con la forza del suo cinismo impermeabile a qualunque forma di umanità. Al centro della prigione domina la collina costruita dai detenuti con “sabbia, sassi e tanto sudore”, oggetto primo della pena, sulla quale i prigionieri marciano senza sosta sotto il sole rovente. Svetta così nel campo questo simulacro della punizione che incombe sui carcerati e si ingrandisce con il loro avvicendamento.

ImageL'estrema compattezza dello stile riesce a creare una tensione permanente pur nel vincolo dell’unità di luogo dell’azione, dato che il dramma si svolge tutto nel campo interno alle mura e nelle celle di prigionia. E la base di questa unità di stile è costituita innanzitutto dall'uso incessante del grandangolo, con il quale si mettono a nudo nel modo più diretto possibile i rapporti, in uno scontro ininterrotto tra punizione, esecuzione, resistenza, insubordinazione. Nelle riprese esterne, in ogni scena con al centro i caratteri principali, il quadro è attraversato da altre linee di azione che aggiungono un ulteriore grado di dinamicità, soldati che marciano, corrono, trascinano sacchi di sabbia, salgono faticosamente la collina. Scegliendo di non sovrapporre musiche di accompagnamento, tutto scorre sotto un coro di voci direttive che impartiscono ordini al ritmo dell’ “unò, due”. Dichiara il regista a proposito del sonoro nel cinema: “E giacché si deve avere un suono tanto vale disporre del migliore, e i migliori suoni possibili sono le parole”. Per quanto riguarda le parti che si svolgono all’interno delle celle di detenzione, i diversi punti di vista si succedono in un montaggio serrato, e nei primi piani dei carcerieri le angolazioni della macchina da presa cercano di moltiplicare la presenza ingombrante dell’autorità puntando di frequente dal basso verso l’alto. In alcune scene di violenza esplicita l’obbiettivo non stacca un attimo e segue nervosamente l’azione amplificandola drammaticamente. I frequenti movimenti di macchina e i piani sequenza, lontani da qualsiasi forma di virtuosismo, servono invece perfettamente alla messa in scena per rendere la fisicità degli interpreti e seguire i loro movimenti e posizioni assolutamente perfetti nella composizione dell’inquadratura. La sintesi di tutto questo avviene in una scena memorabile verso la fine del film, quando tutto il carcere insorge per la morte di uno dei cinque dopo l’ennesima marcia sulla collina. Ancora una volta il grandangolo contiene centinaia di detenuti all’interno della prigione, il punto di vista si sposta in continuazione e il sergente seda la rivolta con il potere della parola, alludendo al fatto che nessuno ha delle prove tangibili per incolpare le guardie della morte tragica del detenuto.

ImageIl dramma si congeda con un non finale: non si saprà mai se le denunce dei detenuti avranno effetto oppure se tutto sarà insabbiato. Di sicuro è una conclusione scurissima, che non lascia molto margine alla speranza. Una sensazione rappresentata magnificamente dal primo piano di Sean Connery in un cono di luce e ombra, mentre fuori campo continua l’azione. È ferito, e per questo sta per lasciare la prigione con l’intenzione di denunciare Williams, ma i compagni si vendicano a modo loro, iniziando a pestare mortalmente il loro carceriere. Una delle rare inquadrature in cui non viene filmata l’azione solo perché il dramma è in quell’uomo ferito e isolato dai suoi simili, contrario a quel tipo di vendetta violenta, solo con la sua disperazione.


TITOLO ORIGINALE: The Hill; REGIA: Sidney Lumet; SCENEGGIATURA: Ray Rigby; FOTOGRAFIA: Oswald Morris; MONTAGGIO: Thelma Connell; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 1965; DURATA: 123 min.

 


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