Un classico moderno: il labirinto di Tulse Luper PDF 
di Davide Morello   

Molto cinema moderno opera una decostruzione del testo narrativo in senso antidrammatico, frammenta lo spazio in parti che non si ricompongono e non s'incastrano sovvertendo il flusso cronologico del racconto. È il labirinto contemporaneo che si può vedere ben rappresentato in film come L'anno scorso a Marienbad (molto amato da Greenaway), L'angelo sterminatore, Shining, fino a comprendere Festen o Mulholland drive. Tutte pellicole in cui la ripetizione diviene figura determinante e costitutiva: coinvolge nelle sue varie manifestazioni la scissione dei personaggi (la proliferazione dei doppi), la sovrapposizione e la coesistenza degli elementi spazio-temporali, la simultaneità dei punti di vista e l'autoriflessività del mezzo espressivo. È questo decentramento, questa retorica del linguaggio o coscienza postmoderna, che acquista rilievo in Le valigie di Tulse Luper.

Italo Calvino in Lezioni Americane include la molteplicità come uno dei valori letterari e culturali da conservare fra quelli che appartengono al secolo appena passato. Fornisce l'esempio di Gadda in quanto la sua filosofia vede il mondo come un sistema di sistemi, in cui ogni sistema condiziona gli altri e, a sua volta, ne è condizionato. L'ingegnere scrittore "cercò tutta la vita di rappresentare il mondo come garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuare affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento" e, in una considerazione che lo avvicina a Borges, "...ogni minimo oggetto è visto come il centro di una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire". (1) Non è difficile individuare una tale predisposizione e consapevolezza nello scienziato catalogatore Greenaway che seziona il suo progetto in modo seriale: tre film divisi in episodi a loro volta suddivisi in ulteriori capitoli segnalati dagli oggetti che rappresentano il mondo (un bambino, una macchina da presa, biancheria intima, un dente, l'orologio...) a loro volta frazionati in sottocasi contrassegnati dal contenuto delle valigie che accompagnano le picaresche avventure possibili del protagonista (pezzi di carbone, lettere, matite colorate, monete, carta da parati insanguinata...). Sedici episodi, sedici prigioni, novantadue personaggi e novantadue valigie. Un ritratto del caotico secolo dell'uranio attraverso personaggi, oggetti della rappresentazione e oggetti rappresentati che sono il punto di partenza per altre narrazioni. È risaputo, infatti, che il progetto Greenaway si espande su internet, dvd, cd rom, serie tv, opere teatrali e libri.

 

La stessa arte del regista coinvolge la pittura, la fotografia, il teatro, l'installazione, e in questo caso anche i filmati di repertorio; ma in modo particolare si assiste ad uno spropositato utilizzo di effetti digitali che danno origine all'interazione di una molteplicità di linguaggi, a un lavoro dall'indiscutibile taglio sperimentale.

Significativa è la coesistenza del campo e controcampo nella stessa inquadratura con l'effetto dell'immagine nell'immagine, quando ad esempio Tulse è legato al palo vicino al ranch degli Hockmeister nel Moab; oppure l'abolizione del raccordo sull'asse quando, nell'inquadratura in campo lungo sull'uomo che consegna la valigia piena di soldi a Luper per inviarlo in Europa, si forma un ritaglio che mostra i due dialogare in primo piano. Dialoghi e parole che si ripetono e si sovrappongono costantemente lungo la pellicola, ponendo l'accento sullo scarto spazio temporale presente all'interno dell'immagine multipla. Nella prigione di Moab, Tulse parla con la moglie dello sceriffo del mare e di racconti biblici mentre le bianche pareti si trasformano in affreschi mitici e marini rievocando la pittura di Vermeer. Durante la fuga dalla stessa prigione, l'inquadratura frontale degli inseguitori è incorporata in quella analoga dei fuggiaschi: ancora si mescolano le voci e sullo schermo compaiono le loro battute come didascalie scorrevoli. Una composizione-scomposizione dell'immagine filmica che favorisce la compresenza di spazi, tempi, punti di vista e linguaggi eterogenei.

 

Il carattere enciclopedico è proprio del personaggio Luper. Greenaway parlando del suo film Drowing by numbers (con il quale quest'ultimo intrattiene diversi rapporti) lo dipinge come un espediente letterario, che riunisce in sé i tratti di vari eruditi fra cui il mistero e la provocazione di Duchamp, i tratti dei tassonomisti e dei catalogatori, dei collezionisti di uova, degli impiegati mancini e degli autori di diari di provincia, dei naturalisti e degli ecologisti, con l'aggiunta dell'umorismo e dell'ironia e di ulteriori altre bizzarre qualità. (2) Alter ego del regista, che oltre ai numerosi scritti ha realizzato una serie di pellicole, le quali verranno poi sequestrate dai fascisti di Anversa ed inseriti in una valigia: Water Wrackets, Vertical Features Remake, Il ventre dell'architetto, Lo zoo di venere. Di quest'ultimo vengono proiettate alcune scene nel ritaglio dell'inquadratura quando la chiocciola diviene oggetto della discussione. Anche Cissie Colpitts, la dattilografa, è il triplice personaggio femminile di Drowing by numbers. La ripetizione si amplia e comprende anche questo articolato gioco di citazioni intertestuali, altro rilevante aspetto metalinguistico.

Già nel prologo si presentano elementi che avranno un particolare ruolo nella narrazione, fra cui la reiterata battuta di Tulse, attraverso la quale esplica il suo intento e preannuncia il proprio futuro tragitto, nella quale dice di essere in prigione e di avere maledettamente molto da fare. Le tre donne in rosso che, come molteplicità delle istanze narranti, introducono l'oggetto binocolo, compariranno nuovamente in sovrimpressione nella scena in cui il protagonista spia la ragazza Passion, così come i personaggi del capostazione e del dentista si ripresenteranno nella parte conclusiva del film. Sono tutte forme di ripetizione che si diffondono costantemente lungo il racconto, sconvolgono essenzialmente il lineare flusso cronologico degli eventi e per dirla con Jean Paul Simon, generano una temporalizzazione flessibile la cui labilità raggiunge la labilità del lavoro inconscio. (3)

Sempre nell'incipit, nella continuità dei dialoghi, si alternano in una prolungata sequenza le figure dei due giovani amici a dieci anni con quelle di loro stessi da adulti. Alcuni frammenti di questo dialogo ritorneranno quando i due si incontreranno nel deserto di Moab, dopo la singolare esperienza di Tulse. La ripetizione meccanica dilata inverosimilmente la durata di numerose scene: Fabieux, la donna del chiosco della stazione, si presenta per tre volte consecutivamente, Passion si alza ripetutamente dal letto in presenza del marito e del dentista e, nello stesso modo, prende il giornale dalle mani del padre. Tre volte si ripete l'interrogatorio di Tulse nei bagni della stazione, ma a lui, lo dice una delle voci narranti, piace catalogare, mettere in ordine e giocare con il tempo. E infatti la ripetizione è anche espressione di una volontà ordinatrice. Vengono enumerati anche i personaggi e i pugni e i calci che Tulse riceve da Percey, marito geloso di Passion, amante del protagonista.
Non mancano naturalmente i sosia di Tulse, uno dei quali è imprigionato insieme ai bagagli della stazione con al collo il suo cartellino numerato (n.92), costretto a reiterare il suo desiderio di cambiarsi la camicia e di incontrare la propria famiglia.

 

Un mondo frammentato in dettagli che si espandono e si moltiplicano. Spazi, punti di vista, dimensioni temporali e linguaggi che coesistono, si trasformano e si sovrappongono. Un labirinto contemporaneo sezionato, scomposto, catalogato e numerato, attraverso un metodo scientifico, e quindi un processo conoscitivo, che tenta di riordinare il caos rendendolo manifesto, che si espone nel suo aspetto sistematico, artificiale, come lo stesso procedimento di scrittura filmica. Un'opera aperta dall'ambizione enciclopedica pronta a mettere in discussione se stessa e il ruolo dello spettatore.


(1) I. Calvino, Lezioni Americane, A. Mondadori Editore, Milano 1993, p.116.
(2) P. Greenaway, Paura dei numeri. Cento pensieri sul cinema, Il Castoro, Milano 1993, p.53.
(3) J.P. Simon, Remarques sur la temporalité cinématographique, in D. Chateau, A. Gardies, F. Jost (a cura di), Cinemas de la modernitè, Klincksiek, Paris 1981, p.71.

 


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