Private PDF 
Nando Dessena   

Private è un termine che schiude a ventaglio la propria natura polisemica. Private è il soldato semplice, quello che, spesso suo malgrado, si trova costretto ad ubbidire a scellerati ordini superiori, piegato alla volontà di una mente politico-economica lontana anni luce dalla tangibile realtà dove opera il proprio braccio armato. Private è, ovviamente, la dimensione domestica, lo spazio della casa e delle mura, inviolabili purtroppo solo in teoria, che ci separano dalla spesso bieca realtà esterna, ponendosi come intimo tempio dell’istituzione familiare. Private è anche privazione, ovvero, il sacrificio delle libertà individuali. Private, il primo lungometraggio di Saverio Costanzo, che ha fatto incetta di premi vincendo, tra gli altri, il Pardo d’Oro al Festival di Locarno del 2004, il David di Donatello e il Nastro d’Argento nel 2005 come miglior regista esordiente, parla di tutto questo, affrontando di petto la tragedia di un microcosmo familiare che riflette il dramma di quel macrocosmo che è l’atroce conflitto israelo-palestinese nei territori occupati. Un tema senza dubbio critico, una scelta palesemente difficile, audace, soprattutto per un’opera prima. Costanzo, per il proprio lungometraggio d’esordio, sceglie di imboccare la strada del reportagismo paratelevisivo proponendo, tuttavia, uno sguardo fresco e rivelatore che nell’indagare gli angusti spazi di una casa prigione e i corpi dei protagonisti rende manifesta l’utopia di una convivenza pacifica.

Il plot, infatti, si sviluppa interamente nella casa (e nel piccolo giardino antistante) di un nucleo familiare palestinese composto dal padre Mohammed B. (Mohammed Bakri), la madre Samiah (Areen Omari), e cinque figli: Mariam (Hend Ayoub), Jamal (Marco Alsaying), Yousef (Amir Hasayen), Nada (Sara Hamzeh) e Karem (Karem Emad Hassan Aly). L’abitazione della famiglia B. viene occupata da un manipolo di soldati dell’esercito regolare israeliano: il comandante Ofer (Lior Miller), il soldato Eial (Tomer Russo, lo ricordiamo nello splendido Kippur di Amos Gitai), il soldato Dan (Niv Shafir) e il soldato Ariel (Sahar Lachmy). La scelta del cast merita particolare attenzione, se è vero che Costanzo è riuscito a mettere insieme attori palestinesi e attori israeliani (da segnalare che sia Tomer Russo sia Lior Miller hanno militato nelle forze speciali dell’esercito israeliano) che, almeno in parte, hanno vissuto sulla propria pelle il conflitto e dunque riescono ad investire nei rispettivi personaggi un carico di pathos e una drammaticità autentiche. Da qui l’idea di una regia quasi documentaristica, che, con lunghi piani sequenza, non costringe gli attori a recitare in funzione degli spazi disegnati dalla macchina da presa ma che, viceversa, si pone (dogmaticamente, si passi l’accezione vontrieriana del termine) come testimone di un evento irripetibile.

La pacifica opposizione di Mohammed, il capofamiglia, che si rifiuta di abbandonare la propria casa occupata dagli israeliani è l’unico vero motore dello scarnissimo plot. Per il resto, osserviamo le reazioni della famiglia di Mohammed, costretta dalla ferrea volontà del padre a rimanere segregata tra le quattro mura dell’unica stanza della casa assegnata loro, e le piccole infrazioni ai divieti imposti dai militari. Mariam, la figlia più grande, combattiva e ribelle, trova il modo di accedere al piano superiore dell’abitazione, occupato dalla truppa, e di spiarne la semplicità dei momenti più intimi. I due ragazzi, Jamal e Yousef, hanno caratteri antitetici: vendicativo ed impulsivo il primo (troverà peraltro una granata dimenticata dai soldati e cercherà di utilizzarla per un rudimentale attentato), quanto fragile e remissivo il secondo. I bambini invece, Nada e Karem, per i quali le ragioni del conflitto sono ovviamente oscure, hanno semplicemente paura delle ombre, quasi che i militari fossero fantasmi che infestano la loro casa. E in effetti le claustrofobiche geometrie disegnate da Costanzo nel muoversi dietro agli attori (corpi in cerca di un’identità), il ricorso alle soggettive, e un’atmosfera costantemente tesa, evidenziano uno stile che mostra diverse analogie con il genere orrorifico. In una cupa sequenza dagli echi hooperiani, la piccola Nada rimane chiusa fuori dalla stanza prigione durante una sparatoria ingaggiata dagli israeliani contro un fantomatico nemico e il padre Mohammed la chiama dietro la porta mostrandole la fiamma di un accendino attraverso la serratura, invitandola a venire verso la luce in una citazione abbastanza palese dell’ormai classico del genere Poltergeist. I genitori: Mohammed, un docente di letteratura inglese permeato di ideali e ostentato pacifismo, vive la situazione in netto contrasto con la rassegnata pragmaticità di sua moglie Samiah, stanca della guerra e preoccupata per i propri figli, che non condivide la presa di posizione romantica, se così si può dire, del compagno.

Dall’altra parte, viene mostrata una situazione tutto sommato analoga, nella quale i soldati semplici israeliani, visti in un’ottica meno spersonalizzante del contesto bellico, sono costretti ad obbedire agli ordini dell’inflessibile comandante Ofer, caparbiamente ostinato a non voler concedere ai propri coinquilini palestinesi nemmeno un metro in più di libertà. La dimensione umana che Private ritaglia nella Storia è il riflesso lontano di una memoria collettiva che sembrava scritta nella sabbia ma che il vento non è riuscita a cancellare. L’odio è rimasto più vivo che mai, anche se sembra un odio ormai fine a se stesso. Le ragioni originarie del conflitto sembrano perdute: Memory is a stranger, History is for fools canta Roger Waters in Perfect Sense, piccola grande perla che Costanzo ci propone nel finale. "Adesso comincio a capirti", confessa Mariam a suo padre prima che una nuova truppa di soldati occupi la casa prendendo il posto della truppa precedente. L’orrore senza fine: la più pacifica e silenziosa delle rivolte sembra essere l’unica strada verso la pace. Una casa occupata, infestata, dissacrata, si trasforma in un crogiolo di personalità e di culture distanti, un melting pot in cui la curiosità viene in ogni caso fagocitata dall’astio verso l’altro da sé. Memory is a stranger, History is for fools.

TITOLO ORIGINALE: Private; REGIA: Saverio Costanzo; SCENEGGIATURA: Saverio Costanzo, Camilla Costanzo, Alessio Cremonini, Sayed Qashua; FOTOGRAFIA: Luigi Martinucci; MONTAGGIO: Francesca Calvelli; MUSICA: Alter Ego; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2004; DURATA: 90 min.

 


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