Caos calmo PDF 
Valentina Alfonsi   

C’è molto di non spiegato, di sospeso, di volutamente lasciato indietro nell’ultimo film di Antonello Grimaldi. “Non mi ricordo niente” dice il protagonista Pietro alla figlia per poi iniziare a stilare elenchi di fatti passati irrilevanti, persino i nomi delle compagnie aeree con cui ha volato: perché? Per capire cosa è stata la propria vita? O per avere la prova di essere esistito? La morte della moglie Lara produce in Pietro un azzeramento della coscienza: le azioni, gli avvenimenti, le persone che incontra, persino lo scorrere del tempo non vengono più interpretati, vissuti, non assumono più alcun significato preciso. Pietro non vive più, semplicemente esiste, perché vivere implica una scelta, una direzione di sguardo, un giudizio sul mondo e se stessi: Pietro non è più in grado di formulare alcun giudizio.

In questo senso la sceneggiatura è molto precisa, il ritmo è lento, straniato ma anche venato della solita ironia leggera di Moretti (la cui presenza d’autore si impone comunque con forza, pur non essendo il film diretto da lui) soprattutto nel descrivere il rapporto di Pietro con gli altri e in particolare con la figlia. Chi vede il film ha i sensi attutiti da uno stato di tranquillo torpore cristallino: la messa in scena della nuova vita di Pietro è netta, lucida, senza eccessi emotivi. Caos calmo, appunto. O meglio, uno stato di calma inquietante e innaturale che attutisce i sensi ma dal quale emerge, improvvisamente, la violenza del caos che si desiderava inconsciamente cancellare. E allora ecco la bestemmia, che per la naturalezza con cui è pronunciata ha sullo spettatore lo stesso effetto delle uscite a sproposito della moglie di Jean-Claude: quasi si fa fatica a credere di averla ascoltata. Pietro non bestemmia per rabbia o per disprezzo, probabilmente non è nemmeno una scelta consapevole: le parole escono, scivolano, lui non prova nulla.

Pietro galleggia in un nulla che Grimaldi scalfisce con piccoli graffi, colpi improvvisi ai quali però il protagonista non reagisce (la bestemmia, appunto, ma anche il sangue dal naso della donna all’incontro con i genitori) finché sviene, crolla, finalmente piange e sfoga la collera e il senso di colpa nell’incontro di sesso con la donna salvata in spiaggia. La piccola Claudia invece non si sblocca. Resta lì, serena, sorridente, saggia. Ha ragione la zia? Claudia non amava sua madre? In realtà Claudia ha già pianto, subito dopo la morte di Lara, perché l’ha vista, non si è rifiutata di guardarla come Pietro. Caos calmo si rivela così essere un film impenetrabile: benché molto parlato, è raro che le parole producano una vera comunicazione tra i personaggi; persino la richiesta della bambina che alla fine convince il padre a smettere di passare le sue giornate davanti alla scuola non provoca in Pietro alcun vero trauma: l’uomo semplicemente acconsente, si allontana, ma non c’è vera rottura. È un segnale di ritrovata serenità o di definitivo distacco dalle emozioni? Tante delle domande che Caos calmo pone non trovano risposta, e restano lì, a tormentare in ugual misura protagonisti e spettatori.

 


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