Il caso del sociopatico cocainomane: rapida indagine su Sherlock Holmes PDF 
Umberto Ledda   

Un giochino idiota
Gira su internet uno di quei giochini idioti, tipo che devi scegliere come prossimo leader mondiale fra un uomo che beve un litro di gin al giorno, fuma come un mentecatto e si sveglia tutte le mattine a mezzogiorno e un uomo, invece, che non fuma, non beve, è vegetariano e non tenta di copulare con tutte le donne che si trova attorno; e salta poi fuori che il primo candidato è Winston Churchill e il secondo è Adolf Hitler. Ecco, potrebbe essere interessante applicare lo stesso giochetto cretino ai personaggi immaginari, dovendo scegliere, tipo, quale fra questi due sceglieresti per leggerne le storie ai bambini usandolo come esempio costruttivo e positivo, perché imparino attraverso la letteratura i sani principi della nostra civiltà: uno è un signore anziano ed elegante, estremamente cortese nei gesti, amante delle belle cose e di nobile portamento, l’altro un sociopatico arrogante e freddo, saltuariamente dipendente dalla cocaina e del tutto immune da qualsiasi connotazione morale. Verrebbe fuori che il primo è il conte Dracula, quello che succhia il sangue alle vergini, il secondo è Sherlock Holmes, quello che risolve i crimini e fa trionfare la giustizia.

Una parentesi coi vampiri
Giochini idioti a parte, l’accostamento fra il conte Dracula e Sherlock Holmes non è casuale. I due personaggi sono sostanzialmente coetanei, figli dell’ultima tranche della cultura vittoriana, di cui rappresentano paure e aspirazioni sepolte, secondo la vecchia regola per cui più un periodo storico è orribile, più la sua produzione narrativa è potente, dovendo soddisfare la necessità di dire in qualche modo le cose che non si possono dire apertamente. Dracula e Holmes sono stati i due archetipi maggiori del Novecento, un secolo decisamente incasinato, e continuano a esserlo anche nel nostro, altrettanto incasinato e quindi bisognoso di specchi mitici abbastanza forti da reggerselo sulle spalle. Curioso come il nostro tempo abbia come cardini simbolici due personaggi profondamente ambigui. Da una parte il vampiro, seduttore malvagio e pervertito in cui convergono le paure dell’irrazionalità e del caos e, ultimamente, il senso di morte e putrefazione mentale da civiltà al tracollo: mediaticamente, la sua figura è stata sfruttata alla nausea e sembra che la gente non abbia intenzione di stancarsene. Dall’altra parte, con una certa specularità, sta Sherlock Holmes: il sogno (o l’illusione) moderno della ragione pura, dell’uomo macchina, privo di sovrastrutture inutili come le emozioni, che vede la verità nei segni contraddittori e caotici che la realtà dissemina e la interpreta attraverso il puro scientismo: un uomo talmente poco uomo da essere sostanzialmente perfetto, almeno sul piano della funzionalità. Mediaticamente, Holmes è più scaltro di Dracula e ha la tendenza a nascondersi sotto altri nomi, ma come influenza siamo da quelle parti: derivano da lui, oltre a buona parte degli sviluppi successivi della narrativa poliziesca, qualcosa del mito novecentesco del supereroe (a cui gli americani, nel crearlo, hanno giusto aggiunto qualche ormone e qualche cafonata soprannaturale), oltre a far partire la venerazione moderna per gli scienziati come eroi narrativi (in sostanza, buona parte di quelle serie tv coi medici che aprono i morti e capiscono tutto). Se si dovesse tracciare una storia della psicologia sociale del Novecento, il detective e il vampiro potrebbero essere un buon punto di partenza, essendo un po’ il serbatoio simbolico in cui convergono le paure e le aspirazioni dell’era della scienza: da una parte, che la scienza possa tutto e ci faccia arrivare alla verità, dall’altra, che esistano abissi insondabili nell’essere umano che la scienza non riesce nemmeno a concepire, perché talmente irrazionali e conturbanti da essere impermeabili.

Un sociopatico cocainomane

Ecco, una di queste due figure chiave, quella diurna, razionalista e costruttiva, quella positiva insomma, è un personaggio umanamente rivoltante, che concepisce gli altri esseri umani semplicemente come insulse funzioni in una geometria logica superiore, un uomo incapace di relazionarsi, egocentrico fino allo spasimo, pieno di sé, anaffettivo e disturbato, che fra l’altro si inietta un sacco di cocaina ed è cronicamente affetto da crolli autodistruttivi. Holmes rappresenta sì il sogno della ragione che dipana la devastante e  apparentemente irragionevole mole di stimoli del mondo moderno, ma è anche evidente che qualcosa, in lui, non funziona. E non c’è solo questo: Holmes è ambiguo e borderline anche su una delle questioni morali più delicate della contemporaneità. Nella mentalità di Holmes, la pura ragione (dunque la verità fattuale) è sostanzialmente aliena agli affari etici, perché la pura logica e il puro ragionamento sono meccanici e scientifici, dimostrano da soli la propria validità e non hanno bisogno delle categorie di buono e cattivo, ma solo quelle di funzionale e non funzionale. E infatti Holmes non crede nella giustizia, non esita a infrangere qualsiasi legge o a mettere in pericolo chiunque, non combatte il crimine per questioni etiche ma solo perché nel crimine abbondano i sotterfugi e le macchinazioni, che sono le sfide che cerca. Se gli si presenta un caso eticamente terribile ma scarsamente arzigogolato, lo rifiuta per noia. Holmes è forse la massima icona degli ultimi due secoli, e non esita a propendere istintivamente per il criminale, se questo si rivela più raffinato della sua controparte eticamente corretta. In tutto il corpus originale, esprime stima sincera a due persone, e sono entrambe dalla parte dei cattivi.

Arthur Conan Doyle
Probabilmente, tutto questo non era importante quando Holmes è stato inventato da Doyle. Sono, appunto, gli ultimi anni dell’epoca vittoriana, il che spiega fra l’altro una delle caratteristiche fondanti del detective, il fatto che sia sostanzialmente asessuato. Un pregio, dal punto di vista funzionale. Una specie di macchina perfetta che non si perde in sconvenienti espressioni della propria emotività. Ma la cosa particolare è che non sono rilevati, in Doyle, i rischi morali del suo agire: il Watson letterario, che ne è il narratore, rimane prono a celebrarne l’arguzia, mette in risalto la sua sostanziale disumanità ma non ha nulla da ridire. Semplicemente, il suo essere un puro pensiero volto alla determinazione dei fatti, espungendo dal campo d’azione qualsiasi considerazione emozionale o etica, è assolutamente una cosa buona e giusta, per Watson e, attraverso di lui, per il pubblico. Contemporaneamente, i primi scricchiolii dell’impianto vittoriano consentono una trattazione decisamente spigliata del cinismo estenuato dell’investigatore, così come della sua indulgenza al piacere delle dipendenze, secondo i canoni di quell’estetismo amorale che in quegli anni portava al successo Oscar Wilde e che si trova, rovesciato, anche in Dracula. E anche in questo caso, Watson non trova nulla da ridire.

Uno stupido cappellino
Negli anni successivi il personaggio si annacqua e diventa quella roba barbosa che i bambini, almeno fino all’avvento di Guy Ritchie, pensavano che Holmes fosse. Le cause possono essere tante. Il successo così assoluto, che ampliò l’area di pubblico da accontentare ben aldilà di quello dei lettori, in un’epoca in cui i lettori erano per forza ancora gente abbastanza raffinata. O la semplice deferenza a un personaggio sempre più vecchio, quindi classico, quindi innocuo. Si annacqua ma non scompare, anzi: semplicemente, muta e diventa quello che la gente vuole da lui. Il suo cinismo è rimpiazzato da una superiorità bonaria, la sua arroganza scema, si elidono del tutto le sue dipendenze e la sua naturale tendenza al caos (in realtà, a questo ci aveva già pensato lo stesso Doyle, che quando tornò al personaggio dopo aver tentato di ucciderlo, lo fece smettere di bucarsi): in pratica, Holmes si imborghesisce, il superomismo originario si smorza e lui diventa più sedentario, meno rissaiolo e meno sconveniente. Il cinema ridefinisce la sua immagine con il famoso berrettino da caccia e anche il segno più lieve del suo edonismo autodistruttivo, la tendenza a fumare un po’ tutto quello che si trova a portata di mano, si contrae nella pipa civettuola che tutti associano alla sua figura. In pratica, la figura riassorbe le caratteristiche di tutti i suoi epigoni, rientrando nel canone più generale della letteratura gialle che di fatto aveva fondato (ovvio, prima c’era stato Poe col suo Dupin, ma sul piano mediatico e sociale è quasi irrilevante). In pratica, il tratto fondamentale del personaggio - la scienza deduttiva, la capacità di leggere correttamente una realtà apparentemente caotica e incrostata di rappresentazioni, maschere e menzogne - si innesta su una psicologia sostanzialmente diversa. Deduzione a parte, dunque, quasi un essere umano, della qual cosa nessuno si lamentò, anzi, visto che ancora oggi l’immagine che viene associata a Holmes è quella dell’elegante signore con un cappellino stupido e la pipa. D’altra parte questa seconda versione di Holmes si coagula in anni decisamente incasinati, ben lontani dal saldo status quo di fine Ottocento, che era magari un periodo pieno di magagne ma comunque sostanzialmente stabile: serve un’immagine più sana, visto che fuori dallo schermo di caos ce n’è fin troppo. Questa immagine più sana praticamente sostituirà l’originale per  due o tre generazioni.

Poi passa un bel po’ di tempo
Nel dopoguerra la figura di Holmes rimane quella stereotipata costruita negli anni Trenta e Quaranta. Da una parte, esisteva a quel punto tutto il genere che Holmes aveva fondato, relegando l’archetipo al ruolo di uno fra i tanti. Dall’altra, le istanze irrazionalistiche degli anni Sessanta e Settanta, unite a una certa diffidenza verso lo scientismo, rendevano vagamente inutile la figura del deduttore geniale e freddo. Che però non si eclissa del tutto: semplicemente, si evidenziano in lui elementi che la sua precedente incarnazione non citava: nel 1974 esce The Seven Per-Cent solution, che racconta l’Holmes della droga, la parte irrazionale dell’uomo razionale per eccellenza, e di traslato, l’ambiguità della sua logica e della razionalità in generale. Per la prima volta, l’aspetto nevrotico, instabile e profondamente disturbato diventa fondamentale: la parte deduttiva però non viene messa da parte (sarebbe stato il segno che aveva perso interesse), ma quasi ridicolizzata, con l’assunto che l’intera questione di Holmes e del suo arcinemico Moriarty sia frutto di un grossolano errore di valutazione iniziale, una rimozione da manuale. Holmes, anche negli anni del Novecento meno adatti alla sua figura, non viene accantonato ma rovesciato criticamente, segno che è ancora ben presente nell’immaginario. Solo, dalla parte sbagliata.

Sotto mentite spoglie
Poi ci sono, di fatto, i giorni nostri. Sembra che alla fine del secolo Holmes sia morto, vecchia figura patetica, noiosa e lentissima. In realtà il suo personaggio inizia a ritornare prepotentemente nell’immaginario collettivo, anche se sotto mentite spoglie. Il successo devastante delle serie televisive di CSI, praticamente un franchising, segnano la rinascita del personaggio. È in effetti il momento giusto: in una società sempre più complessa e multistrato, dove la realtà si nasconde dietro i veli molte delle rappresentazioni mediatiche e dove tutto sostanzialmente, si fa più incomprensibile, il sostegno mitico di Holmes catalizza i sogni e le illusioni di molti. In generale, in tutta la narrativa poliziesca, il detective che andava di moda negli ultimi decenni, umano, intelligente ma non geniale, paladino della giustizia, viene sostituito dallo scienziato, il cacciatore metodico di indizi che pur essendo dalla parte dei buoni cerca, a conti fatti, solo la realtà fattuale, lasciando ad altri valutazioni di ordine etico. La versione di Holmes che si intravede negli anni zero è una versione bidimensionale, idealizzata, quasi propagandistica. Nella pletora di investigatori e tecnici della crime scene trapela la speranza che il mondo sia leggibile, ma senza effetti collaterali: niente droga, niente zone d’ombra davvero profonde nei personaggi. In più, ad indagare sono le persone ufficialmente chiamate a indagare, e non un geniale dilettante, con un effetto rassicurante sul piano etico. L’influenza di questa nuova ondata holmesiana nella crime story è devastante: solo per rimanere in ambito CSI, oltre alle seicento e passa puntate prodotte dal 2000 in poi, si verifica un curioso travaso dalla finzione alla realtà: il CSI effect, che porta la gente a pretendere dalla vera polizia i risultati visti in televisione. E quando la fiction mette pressione al mondo reale, vuol dire che si è colto nel segno. Tutto questo è legato a doppio filo con l’ombra di Holmes e ne rivela l’importanza fondativa nell’immaginario attuale. Ma non è ancora Holmes. Poi, però, nel 2004 nasce House M.D., sempre in televisione, ed è Holmes, nome a parte: la mole di riferimenti espliciti e di citazioni, unita al fatto che il personaggio di Holmes si rifacesse a quello di un dottore presso cui Doyle aveva studiato, rappresentano un tentativo esplicito di chiudere il cerchio. House è speculare agli eroi di CSI e il suo personaggio è, per la prima volta dopo cent’anni, davvero fedele all’originale di Doyle. Tornano, quindi, il cinismo disperato e l’anaffettività, il totale disinteresse verso le persone coinvolte in un caso a favore del caso stesso, inteso come puzzle logico-scientifico le cui implicazioni umane sono ininfluenti, torna l’abitudine a consumare un sacco di droga, torna l’antipatia e la rappresentazione di un sociopatico irritante quanto geniale. E, sempre specularmente a CSI, la messa in scena della pura deduzione è al servizio della descrizione del personaggio, mentre i casi in sé rientrano piuttosto spesso nell’ambito del chissenefrega, semplici strumenti per far parlare il protagonista, per vederlo muoversi e per sottrarlo a una staticità autodistruttiva. Il fulcro è la psiche del protagonista, la sua incapacità di relazione e la sua assoluta amoralità. Per la prima volta House sottolinea l’ambiguità della superiorità intellettuale di Holmes, i suoi effetti collaterali, il prezzo del genio, che è una alienazione profonda. Il rapporto fra personaggio e spettatore si fa tridimensionale; guardandolo, si prova fascinazione ma non immedesimazione, che invece va pienamente ai suoi aiutanti (in una maniera meno ambigua che nell’originale, dove il punto di vista era sì di Watson, ma implicitamente si disegnava Holmes come punto d’arrivo a cui tendere). D’altra parte non si è più in epoca vittoriana con la sua fiducia nel progresso, e un secolo di progresso scientifico sempre più forte non hanno reso l’uomo più felice o più sereno. Con House alla meraviglia idealizzata con cui si guarda la complessa genialità deduttiva del personaggio si sovrappongono le ombre dell’orrore che essa può comportare, quando a doverla portare è un uomo e non un supereroe.

Rinascita
Tutto questo, da CSI a House, per dire di come la riesplosione del personaggio Holmes fosse iniziata ben prima che Guy Ritchie riprendesse esplicitamente il personaggio. Quando lo fa, nel 2009, a molti l’operazione è sembrata fuori luogo, come se l’idea di resuscitare un personaggio vecchio di cent’anni potesse risultare snaturante o fallimentare.  Ritchie, col senno di poi, si è limitato a unire i puntini e ha capito che il pubblico (tutto, dai cacciatori di action agli intellettuali postutto) aveva una voglia matta di Sherlock Holmes. Il quale torna col suo nome e con Watson alle calcagna, e senza berrettino e pipa. È significativo come la sua figura sia la più aderente all’originale fra quante proposte al cinema. Holmes torna uomo d’azione (anche più dell’originale, questo sì), si fa di quello che si trova in giro, cocaina o no, è sostanzialmente estraneo a qualsiasi consapevolezza sociale, eccetera. Sono presenti, in Ritchie, sia l’aspetto puramente analitico e deduttivo che quello più borderline del personaggio: anche in questo caso, è la prima volta che questo accade. Cambia invece la figura di Watson, che da comprimario e lacchè diventa parte integrante della narrazione, segno che Holmes non può più reggere da solo il gioco: la sua genialità scientista, una volta messa a confronto con le tendenze autodistruttive che ne costituiscono il rovescio della medaglia, ha bisogno di un contraltare forte, dialettico. Sempre più figura di riferimento nell’immaginario, ma al tempo stesso sempre più ambiguo: Holmes è un genio che sa vedere la realtà come un campione di scacchi vede la scacchiera, ma su qualsiasi altro piano ha bisogno di qualcuno che lo aiuti. Il che è quello che accade anche nell’ultima incarnazione del personaggio, la serie BBC che rappresenta forse la chiave definitiva della riflessione sul personaggio. Sherlock è talmente autoconsapevole in fase di sceneggiatura che non c’è bisogno di spiegazioni, basta una citazione: 

Watson: There are lives at stake, Sherlock! Actual human live ... Just, just so I know, do you care about that at all?Holmes: Will caring about them help save them?
W: Nope!
H: Then I'll continue not to make that mistake.
W: And you find that easy, do you?
H: Yes, very. Is that news to you?
W: No. [pause] No.
H: [realising] I've disappointed you.
W: [sarcastically] That's good, that's good deduction, yeah.
H: Don't make people into heroes, John. Heroes don't exist, and if they did, I wouldn't be one of them.

La totale estraneità di Holmes a qualsiasi tema morale o etico diventa parte fondamentale del personaggio, come già in House, ma in quel caso c’era il nome diverso a far da copertura. L’Holmes della BBC è umanamente un farabutto tanto quanto è un genio della logica, e a differenza che nel canone originale, Watson non gli corre dietro a dire quanto tutto questo sia sano e giusto. La sua ambiguità etica è evidenziata, il suo personaggio, per quanto sempre più affascinante, è potenzialmente pericoloso. Eppure, è questa forse la trasposizione definitiva del personaggio: un sociopatico ad alto funzionamento, asessuato, anaffettivo, odioso e saccente, geniale, solo e piuttosto inquietante. Watson lo segue, ma a differenza che negli originali ottocenteschi sa che qualcosa non funziona nel suo amico. Sa che il suo geniale compare potrebbe essere pericoloso. E sa che Holmes potrebbe perfino, un giorno in cui non ci fossero crimini abbastanza interessanti, iniziare a compierli lui, questi crimini. Il successo quasi imbarazzante di tutte le ultime apparizioni di Holmes dice che l’immaginario collettivo continua ad avere bisogno di lui. È l’epoca della scienza e dell’impossibilità di decifrare la moltitudine di stimoli che ci capitano davanti agli occhi, per cui era prevedibile. Solo, siamo molto più sgamati di prima e sappiamo che il mito della ragione che dissipa le ombre è marcito. Siamo rimasti convinti che la ragione dissipi le ombre, certo, apparteniamo pur sempre a una società che dell’iperrazionalismo ha fatto la sua bandiera; solo, ora sappiamo che nemmeno questo può renderci felici. E Sherlock Holmes è di nuovo mutato, per ricordarcelo, e allora rimane lo specchio di una nostra intima speranza, ma nel frattempo, contemporaneamente, è un mostro.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.