Kino Otok - Isola Cinema 5 PDF 
Piervittorio Vitori   

Dopo essere rimasto fermo nel 2008 per problemi politico-economici, è ritornato a fine estate Kino Otok – Isola Cinema (www.isolacinema.org), il piccolo festival internazionale di Izola, Slovenia, che in soli 4 anni di vita era riuscito a catalizzare su di sé una discreta attenzione da parte di appassionati e addetti ai lavori (della zona e non solo). Se è vero che – come ha detto il critico inglese e programme advisor della manifestazione Neil Young – l’assenza dell’anno scorso era diventata una questione di rilevanza internazionale all’interno della comunità festivaliera, è comprensibile che la marcia di avvicinamento a questa quinta edizione sia stata accompagnata da qualche interrogativo sulla riuscita dell’evento. Interrogativi che peraltro parevano trovare una giustificazione anche in alcuni importanti cambiamenti rispetto alle passate esperienze: lo spostamento della manifestazione nel calendario – da fine maggio, cioè dopo Cannes, alla metà di settembre, cioè tra Venezia e San Sebastian – e il rinnovamento dello staff in alcune sue posizioni chiave. Nuovi infatti la direttrice (Lorena Pavlič, comunque in organico nelle passate edizioni), la selezionatrice del concorso (la direttrice del festival di Miami Tiziana Finzi, triestina, che per la scelta dei titoli si è ricordata dei suoi trascorsi a Locarno), il responsabile pr, la coordinatrice dello staff…

Invece, alla prova dei fatti, i giorni dal 10 al 14 settembre si sono dimostrati senz’altro all’altezza dei fortunati precedenti. La politica degli organizzatori è stata comunque improntata alla continuità: qualche apertura, nelle diverse sezioni, rispetto alla vocazione “terzomondista” che ne aveva caratterizzato il debutto, ed una decisa attenzione alla connotazione amichevole, per non dire familiare, dell’evento. Non a caso il motto del festival è “with friends”, un concetto che, quando si è trattato di delineare le sfide che il nuovo corso avrebbe dovuto affrontare, Pavlič ha chiarito spiegando come l’obiettivo principale fosse quello di far sentire a proprio agio tanto gli ospiti quanto i volontari dello staff. Impresa certo non difficile, considerando tra gli altri fattori l’ambiente giovane e il fatto che, complici la posizione geografica e un tempo clemente, ogni giornata si sarebbe invariabilmente conclusa con una festa in riva al mare… Obiettivo centrato, dunque, com’era già avvenuto in passato: lo ha testimoniato Abolfazl Jalili, tornato sul litorale sloveno a distanza di 3 anni dalla vittoria nella sezione competitiva con Full or Empty. Il regista iraniano ha aperto questa volta la manifestazione presentando nella cornice della storica piazza Manzioli il suo ultimo film, Hafez; ma è forse più significativo sottolineare come abbia portato con sé un breve documentario girato in occasione della sua precedente esperienza in Slovenia, a testimonianza di un rapporto molto sentito non solo con il festival ma con tutta una gente (il film è dedicato “al popolo sloveno”). Un analogo feeling ha contagiato anche gli altri ospiti, come nel caso di Federico Veiroj: conosciuto al secondo giorno di festival come autore di Acné (pellicola passata a Cannes nel 2008 nella Quinzaine des realisateurs), il giovane regista uruguayano si è fatto apprezzare anche come barman nelle ultime due serate della manifestazione, coadiuvato nella festa sul lungomare – in occasione della chiusura – dai colleghi Mariano De Rosa, Natalie Mansoux e Nishtha Jain.

Entrando ora nel merito dei titoli che hanno composto il programma, la prima segnalazione è per la sezione competitiva “Harvest” (Vendemmia), che come d’abitudine presentava cinque titoli sottoposti al giudizio degli spettatori. Quest’anno il riconoscimento del pubblico, che alla pellicola premiata vale la distribuzione cinematografica in Slovenia, è andato all’indie statunitense Prince of Broadway, diretto da Sean Baker e rappresentato al festival dal co-sceneggiatore e produttore Darren Dean. La vicenda ruota attorno al personaggio di Lucky, un immigrato clandestino che batte la celebre arteria newyorkese adescando clienti per conto di Levon, titolare di un negozio di abbigliamento che usa come copertura per vendere falsi capi griffati. La non facile vita di strada del protagonista si complica ancor più quando una sua ex si rifà viva per affidargli temporaneamente un neonato: quel figlio, così gli dice, che Lucky non sapeva di avere. E mentre il ragazzo si trova costretto ad imparare cosa significhi essere padre, il suo boss deve fronteggiare una crisi matrimoniale… Un mese di riprese a budget contenuto, interpreti presi dalla strada e lasciati liberi di improvvisare, camera hd in costante movimento per catturare le espressioni dei volti e le sfumature della città: questa la ricetta di un film che ha il suo punto di forza nel senso di autenticità che emana dallo schermo. Non casuali, dunque, i riconoscimenti vinti a Locarno, Torino e Los Angeles, solo per citare alcune delle piazze che hanno certificato la qualità dell’opera.

Buono il livello medio degli altri concorrenti: a fianco del citato Acné – storia della maturazione sentimentale di un adolescente nel contesto freddo ed opprimente della borghesia montevideana – c’erano il coreano Daytime Drinking di Young-Seok Noh (simpatiche peripezie etilico-jarmuschiane di un ragazzo appena piantato dalla fidanzata) e il messicano Parque via di Enrique Rivero (ritratto di una solitudine descritta con taglio quasi documentaristico). Menzione a parte per La Rabia di Albertina Carri, forse il più autorevole contendente, in termini qualitativi, per Prince of Broadway. La drammatica faida tra due famiglie in un’isolata comunità rurale è descritta dall’autrice con un registro crudo al punto da rischiare di tenere a distanza la fetta più sensibile del pubblico. Ma lungi dall’essere gratuita o spettacolare, l’esibizione della violenza è invece funzionale alla costruzione di un discorso che vede l’uomo, posto di fronte alla natura, regredire ad uno stadio quasi primitivo. Carattere, questo, che può spingere all’accostamento tra il film di Carri e Los Muertos di Lisandro Alonso, altro capofila del nuovo cinema argentino. A favore de La Rabia, però, una costruzione narrativa più articolata e gli azzeccati inserti disegnati.

La “Silvan Cine School”, intitolata al fondatore della Cineteca Slovena e dedicata quest’anno ad alcuni vecchi leoni del panorama nazionale (Matjaž Klopčič, Franci Slak e Drago Parovel), si è presentata come l’unica sezione tematica del festival. Al di fuori di questa, il programma ha brillato per eterogeneità. Nella sezione “Friends” è piaciuto Aguas Verdes dell’argentino Mariano De Rosa, regista che, nel raccontare una vacanza tra black comedy e thriller, ha il coraggio di ripescare, senza vergognarsene, suggestioni anni Sessanta e Settanta che vanno dal Pasolini di Teorema a certo cinema di genere (per alcune scelte formali). Spiazzante, ma comunque interessante, New Kaisertal City, fiction travestita da documentario della giovane austriaca Melanie Hollaus: i contrasti sociali di un futuribile Tirolo multietnico vengono descritti con gusto del paradosso grottesco e con uno sguardo decisamente debitore di influenze pittoriche.

Alla voce “Open Island”, ecco, tra gli altri, le pellicole che hanno aperto (Hafez) e chiuso (35 cicchetti di rum, di Claire Denis) il festival, oltre a due titoli familiari al pubblico italiano: Teza di Haile Gerima e Pranzo di ferragosto del “nostro” Gianni Di Gregorio. Analisi sociale in primo piano, poi, con la selezione di “Doc Focus”, dove si è andati dal fondo della piramide indiana (At My Doorstep, di Nishtha Jain) agli slum di Lisbona (Via de acesso, di Natalie Mansoux), fino alle gang salvadoregne ritratte dal compianto Christian Poveda in La vida loca. Chiudere il programma quotidiano delle proiezioni era infine il compito della sezione “Video on the beach”, che a partire dalle 22.00 attirava il pubblico presso uno schermo montato in zona lungomare. L’offerta è stata composta  soprattutto da cortometraggi di giovani filmmakers, provenienti da realtà associative, scuole di cinema, workshop; tra questi ultimi, i lavori della “Happy DV”, il laboratorio tenuto da DZMP/Luksuz Produkcija di Krško (www.drustvo-dzmp.si) proprio durante il festival. A dimostrazione di come qui al cinefilo venga offerta anche possibilità che vanno al di là della mera visione in sala.

Al suo quinto anno di vita Kino Otok – Isola Cinema si è confermata dunque come manifestazione “piccola” ma vitale, il cui ventaglio d’offerta è ampio, tanto quanto intima è l’atmosfera che riesce a crearsi, in meno di una settimana, in questo angolo di costiera adriatica. I presupposti per proseguire lungo un cammino ormai ben definito ci sono tutti, al termine di un’edizione che ha senz’altro lasciato soddisfatti staff, ospiti e spettatori. Un’edizione che, mi piace credere, avrebbe ottenuto anche il plauso di Nika Bohinc, giovane giornalista, critica cinematografica e collaboratrice del festival tragicamente scomparsa a Manila, insieme al suo compagno e collega Alexis Tioseco, a dieci giorni dall’inizio dell’evento. A lei, naturalmente, è andata la dedica in calce alla manifestazione.

 


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