Io, Don Giovanni PDF 
Flaminia Attanasio   

Venezia, seconda metà del 1700. Due gondole s’incrociano scivolando lente sulla livida palude veneziana. Su una ci sono Giacomo Casanova (Tobias Moretti), il famoso tombeur de femmes, e Lorenzo Da Ponte (Lorenzo Balducci), sacerdote obbligato a convertirsi al cristianesimo all’età di dieci anni e ora in procinto di partire per un lungo esilio per via dei suoi versetti contro la Chiesa, della sua vita trascorsa tra i tavoli da gioco e le gambe di qualche gentil dama; sull’altra gondola c’è invece una scultura, bianca e messa di traverso: è la statua del Don Giovanni, personaggio letterario celebre per le sue conquiste in fatto di donne, precedentemente utilizzata in un omonimo spettacolo teatrale.

Forse nulla più di questa scena, tra le prime di Io, Don Giovanni, ultimo film di Carlos Saura, può descrivere meglio la direzione che prenderà l’intera opera. Lorenzo Da Ponte, infatti, si recherà in Austria per scontare il suo esilio, dove, su raccomandazione del Casanova, fermamente convinto del talento artistico e letterario del giovane, conoscerà dapprima Salieri (Ennio Fantastichini) e poi Mozart (Lino Guanciale), con il quale stringerà un lungo sodalizio artistico in qualità di verseggiatore delle sue opere e darà vita proprio a quella meraviglia in musica meglio conosciuta con il nome di Don Giovanni. Alla luce di tutto ciò, allora, non è poi così difficile vedere in quella scena una piccola prefigurazione delle intenzioni stesse del regista spagnolo: ragionare sul metalinguaggio, topos a lui molto caro e intorno al quale aveva già costruito in passato i suoi lavori più convincenti. Ovvero il cinema che parla di se stesso e che mette se stesso su celluloide, o ancora, il cinema che parla di altre forme d’arte simili ma diverse quali, ad esempio, in questo caso, il teatro e l’opera lirica, indagando così il rapporto che c’è tra artista e opera d’arte, tra arte e vita.

È indubbio che questo ripiegarsi dell’arte della creazione su se stessa sia il punto di forza del film: lo spettatore è chiamato ad assistere in prima persona alla nascita del Don Giovanni, alla sua realizzazione e messa in scena, alle perplessità degli autori (non due a caso, ma Mozart e Da Ponte) e a quanto questi vi riversino la propria vita, nella scelta degli attori e di tutto il resto. E in questo Carlos Saura ha vinto, se è vero che, nel tradurre per immagini i pensieri verbali dei due artisti nel momento di massima ispirazione, si è dimostrato estremamente creativo. È come se in quel preciso istante il cineasta aragonese indirizzasse la camera, e quindi il suo/nostro sguardo, all’interno della loro mente (in particolare in quella di Da Ponte che, nella storia, è colui che suggerisce a Mozart il soggetto dell’opera da musicare) e mostrasse i loro pensieri come immagini in movimento. Ma Carlos Saura fa di più, tenta il connubio. Non tanto tra il cinema e la lirica, cosa che a un certo punto sarebbe diventata inevitabile data la scelta della storia da narrare, quanto fra il cinema e il teatro. E lo fa avvalendosi della straordinaria caratteristica della settima arte di consentire un continuo (s)cambio di punti di vista, e non solo attraverso un semplice cambio scena o il movimento dei personaggi al suo interno, come invece avviene a teatro. Qui la ripresa delle prove teatrali avviene sì mediante l’utilizzo di inquadrature frontali a camera ferma, ma soprattutto grazie a movimenti che solo la macchina da presa può consentire, come l’avvicinamento, l’allontanamento, l’inquadratura in primo piano di un personaggio anche quando questo, nella realtà fittizia dello spazio filmico, dà le spalle alla platea. Per non parlare poi della sovrapposizione delle immagini, delle dissolvenze incrociate, dei cambi di ambientazione e angolazione, e così via.

Insomma, Saura ha voluto riprendere il teatro attraverso il cinema e, in una certa misura, innovare quest’ultimo con il teatro. Nel farlo ha intrecciato abilmente la figura del seduttore, Don Giovanni, già abilmente utilizzata da altri cineasti (Joseph Losey), con tre figure storiche anche queste gettonatissime dal mercato cinematografico (si vedano l’Amadeus di Forman e le numerose trasposizioni che registi molto diversi tra loro come Fellini, Lasse Hallström e Steno, tanto per fare qualche esempio, hanno fatto della storia del giovane Casanova). Il risultato di questa doppia contaminazione è un buon film, un affresco colorato (ottima la fotografia di Vittorio Storaro) che diverte, appassiona, affascina e non annoia, e nel quale è perfettamente rappresentato il clima “morale” a cavallo tra Settecento e Ottocento. Uniche pecche dell’opera? L’eccessiva “umanizzazione” dei personaggi e la scelta degli interpreti. Per quel che concerne la prima, Carlos Saura ha tentato disperatamente di evidenziare gli aspetti quotidiani dei due protagonisti, scivolando più di una volta in cadute di stile: va bene dire che anche i geni, come Mozart ad esempio, sono esseri umani, ma non è certo mettendogli in testa un orrendo parruccone biondo da carnevale di Rio o facendolo chiamare “Wolfy” dalla moglie (Francesca Inaudi) che si ottiene questo genere di risultato. Riguardo alla seconda, invece, è doveroso dire che gli interpreti non sono per nulla all’altezza della situazione, eccezion fatta per Lorenzo Balducci, il quale gioca bene le sue carte, offrendo un’interpretazione calibrata al punto giusto tra purezza e sensualità. Nonostante queste imperfezioni, tuttavia, il film miracolosamente regge, costringendo lo spettatore al potere sperimentale della macchina del cinema e riconfermando il settantasettenne Carlos Saura come un artista ancora  oggi ispirato.

TITOLO ORIGINALE: Io, Don Giovanni; REGIA: Carlos Saura; SCENEGGIATURA: Carlos Saura, Raffaello Uboldi, Alessandro Vallini; FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro; MONTAGGIO: Julia Juaniz; MUSICA: Nicola Tescari; PRODUZIONE: Austria/Italia/Spagna; ANNO: 2009; DURATA: 115 min.

 


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