Torino Film Festival 2001 - Nipponica PDF 
di Luca Cechet Sansoè   

Il programma speciale "Nipponica" fu la novità della scorsa edizione del Festival nel quale furono proposti ben nove lungometraggi di giovani registi esordienti. La rassegna ebbe un successo sorprendente tanto che gli organizzatori promisero di farne una sezione stabile del Festival. La promessa è stata mantenuta e anche quest'anno, nonostante la sorprendente e discutibile quantità di film in programma, il nuovo cinema giapponese ha nuovamente trovato posto all'interno del Torino Film Festival - Cinema Giovani. La Nipponica si riduce però a sette pellicole, tra cui un documentario e un film del 1973 tra loro strettamente legati. Uno spazio relativamente esiguo, tenuto conto delle tre sale in più a disposizione, quelle del Cinema Massimo, e della straordinaria attenzione che nel corso dell'anno 2001 tutti i più importanti festival cinematografici hanno dedicato ai nuovi registi del paese del Sol levante.

Chiudiamo qui la polemica, sempre utile a tenere desta l'attenzione, e iniziamo a parlare dei film. Partiamo da Sadistic and Masochistic di Nakata Hideo, un documentario incentrato sul regista di "Roman Porno" Konuma Masaru di cui viene presentato, come si diceva prima, il film del 1973 Hirusagari no joji Kyoto-mandara. Nakata Hideo è conosciuto soprattutto come il regista dei primi due episodi della trilogia horror Ring, il cui successo internazionale è dimostrato dal fatto che ne è in corso il remake americano (in Italia probabilmente vedremo solo quest'ultimo, come al solito). Il documentario nasce probabilmente dal fatto che Nakata fu aiuto regista di Konuma ed è abbastanza frequente in Giappone che un aiuto regista, una volta raggiunto il successo come autore, dedichi un documentario-tributo al proprio "maestro" (Kaneto Shindo ne ha fatto uno su Mizoguchi, per esempio). Il film di Nakata non brilla certo per l'originalità - si alternano conversazioni con Konuma e con i suoi collaboratori "storici" ad immagini riprese sui set e a sequenze dei film - ma delinea un ritratto interessante di un regista severo e rigoroso tanto che il titolo stesso sembra riferirsi, oltre che per i temi che tratta nei suoi film, alla stessa personalità di Konuma.

All'interno di un genere che impone alcune regole piuttosto rigide, come l'obbligo di inserire una scena di sesso in media ogni 10 minuti, Konuma riesce ad esprimere un gusto decisamente personale sia a livello tematico, raccontando il confine estremamente labile tra il piacere di provare dolore e il piacere di infliggerlo, sia a livello visivo attraverso l'uso di immagini simboliche e allusive spesso suggestive e perturbanti. In Hirusagari no joji Kyoto-mandara la protagonista, inizialmente vittima brutalizzata dal padre adottivo che cerca la fuga attraverso il matrimonio con un giovane impiegato di banca, si rivela in realtà abile carnefice che fa di entrambi gli uomini le sue vittime di piacere. Misoginia o femminismo? È sempre difficile dirlo, certo che Konuma sembra molto più legato alle proprie attrici che ai propri attori, anche al di fuori del set, e la donna è sempre il centro focale dei suoi film.

Come i primi due film, che costituiscono insieme un nucleo tematico indipendente all'interno della sezione Nipponica, i rimanenti cinque sono idealmente legati da un sottile filo conduttore. Se l'elemento comune potrebbe essere il vuoto esistenziale di adolescenti insofferenti della propria vita, ogni pellicola propone un grado di disperazione diverso. L'ordine in cui sono stati proiettati potrebbe non essere casuale. Si parte da Tokyo Shameless Paradise Good-Bye Blues, film di diploma di Honda Ryuichi, ridondante esattamente come il suo titolo. Giapponesi vestiti in stile anni '60, killer in crisi esistenziale e personaggi-macchiette, gags polverose sono tutti elementi che rendono il film più ridicolo che divertente. È una di quelle pellicole che piaciono a noi occidentali perché ci fanno dire: "certo che questi giapponesi sono proprio strani". Di tutt'altro livello Departure di Nakagawa Yosuke, solo il secondo film per questo regista ma la maggiore anzianità anagrafica rispetto a Honda si sente. Tre amici che stanno per diplomarsi passano l'ultima serata insieme. Masaru rimarrà, Kazuya andrà a studiare a Tokyo e Shusuke a Londra per dedicarsi al design. Tre le strade possibili quindi: rimanere, allontanarsi, fuggire lontano. Ma l'ultima non sembra realizzabile, Shusuke infatti torna dalla famiglia per fare il pescatore. Lo sguardo di Nakagawa è lucido e distaccato, la macchina da presa osserva immobile un frammento della vita di tre ragazzi che hanno ancora dei sogni. Certo, Shusuke non realizza il suo, ma compie in ogni caso una scelta consapevole accettando serenamente la sua condizione. L'insistente e ambigua inquadratura finale di una conchiglia su fondale marino, simbolo della casa e quindi della famiglia potrebbe anche far pensare a un giudizio positivo da parte dell'autore, in polemica con la figura tipizzata del giovane giapponese nichilista in fuga dal mondo in cui vive; una nota retorica nostalgica e forse un po' stonata.

Glowin Growing di Horei Koei e The Day Toshi Was Born di Yoshikawa Hiraku sono due film tematicamente molto vicini, sebbene diversi dal punto di vista stilistico (e forse non a caso sono stati proiettati la prima volta entrambi lo stesso giorno). Qui il vuoto interiore dei personaggi è radicale tanto da portare a conseguenze estreme. Entrambi i registi sono giovanissimi (23enne il primo e appena 21enne il secondo) e per questo i loro lavori risultano ancora più sorprendenti. In Glowin Growing Kiminobu, dopo aver ucciso la propria ragazza, decide di intraprendere un viaggio verso il luogo in cui si compirà il rito di un suicidio collettivo, trascinando con sé l'amico Jun, ragazzo debole e maltrattato, ignorato dai genitori e dal mondo intero. L'esito è piuttosto scontato: il primo si tirerà indietro, perché il senso di colpa rimane comunque un sentimento vitale, mentre il secondo arriverà fino in fondo, perché il vuoto dentro di lui è realmente incolmabile. Sebbene alcune sequenze siano molto suggestive, in particolare la sequenza finale del suicidio che è davvero emozionante, il film risulta un po' schematico e a volte davvero troppo melodrammatico.

The Day Toshi Was Born è invece un film di diploma che, forse anche grazie alla sua brevità, riesce a essere di gran lunga più spietato e disturbante. Anche qui il protagonista è un ragazzo incompreso (Toshi, 15enne, la soglia della disperazione si abbassa), che ha un'amico ancora più incompreso di lui e un cane, Pess, come unico confidente. Qui si va oltre, l'amico si uccide con un gesto talmente improvviso e inaspettato da lasciare a bocca aperta, Toshi è disperato e compie un atto ancora più inspiegabile, uccide Pess, l'unica cosa che ama davvero, in una scena che fa a dir poco innervosire. Forse così facendo il dolore e il senso di colpa che lo accompagneranno per sempre lo faranno sentire vivo per la prima volta o forse è un atto dimostrativo, un modo per urlare al mondo tutta la propria disperazione (e questo fa nella scena finale, abbracciando il corpo esanime della bestiola: urla); difficile comprenderlo. È davvero un film di una crudeltà psicologica inusitata.

Blue Spring di Toyoda Toshiaki è l'ultimo film della rassegna, forse perché Toyoda è già un regista relativamente affermato (insieme ovviamente a Nakata Hideo e Konuma Masaru) ed è l'unico che fu presente anche nella scorsa edizione della Nipponica (con il suo primo lungometraggio, Pornostar). Inoltre, questo è l'unico film ad avere una star nel cast: Matsuda Ryuhei, il giovane e femmineo samurai di Gohatto-Tabu di Oshima, che interpreta Kojo, uno dei protagonisti. Il film è tratto da un manga di successo e probabilmente ne mantiene il target giovanile. L'azione avviene tutta in una scuola che un gruppo di studenti controlla con la violenza. Sono personaggi tipici di molti film giapponesi, il più noto forse è Kids Return di Kitano Takeshi: studenti liceali caratterizzati da un profondo nichilismo e una totale insoddisfazione nei confronti della propria esistenza. Se in Kids Return l'unico valore a cui aggrapparsi sembra quello dell'amicizia, in Blue Spring anche quest'ultimo filo si spezza e un baratro nero si spalanca sotto i piedi dei protagonisti portando a un escalation di violenza incontrollabile. I momenti divertenti o teneri, pur presenti, non fanno altro che rendere più drammatici gli atti di brutalità che seguono, il tutto al ritmo di canzoni disperate quanto i personaggi del film.

Alla fine della rassegna c'è da chiedersi se questa selezione di pellicole sia in qualche modo rappresentativa di un cinema multiforme e in continuo fermento come quello giapponese degli ultimi anni. Certamente no e forse non voleva nemmeno esserlo. Se così fosse bisogna essere chiari perché, trattando un cinema ancora così sconosciuto e vittima dei molti luoghi comuni, facilmente potrebbero crearsi spiacevoli fraintendimenti.

 


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