Terra Madre PDF 
Flaminia Attanasio   

Tempo fa Ermanno Olmi dichiarò che Centochiodi sarebbe stato il suo ultimo lungometraggio a intreccio. Pertanto, molti vi ravvisarono una sorta di suo testamento artistico. Sbagliandosi. Olmi, infatti, non ha affatto detto addio al cinema, ha semplicemente mantenuto la promessa di abbandonare i racconti di stampo fictionale e  di tornare al suo primo amore: il documentario, tecnica di racconto con la quale iniziò la sua florida e prolifica carriera.

Ed è proprio con la tecnica del documentario che il regista bergamasco ha realizzato la sua ultima fatica, Terra Madre, che più che un documentario sembrerebbe un vero e proprio film-inchiesta sulla riscoperta, il rispetto, la conoscenza e la valorizzazione del nostro pianeta – bene prezioso,  ma non inesauribile, ormai da molto tempo maltrattato e offeso – attraverso il cibo e la cultura ad esso legata. Per mezzo di immagini raffinate e poetiche (poeticità sottolineata dalla voce fuori campo che, all’inizio, recita un passo delle Bucoliche di Virgilio, quasi a voler porre l’accento sull’ancestralità del legame che lega l’essere umano alla natura), Olmi lancia il suo grido accorato in difesa della Terra, e lo fa esplorando il tema del cibo da più punti di vista, economico, politico ed ecologico, sottolineandone soprattutto la stretta relazione col lavoro nei campi. Tema questo non nuovo per l’artista bergamasco, che aveva già acceso i riflettori sul mondo rurale con L’albero degli zoccoli, dove a recitare erano veri contadini i cui volti, secondo Olmi, “si somigliano in ogni angolo del mondo”.  Come non nuovo è il tema dell’individuo alla riscoperta della natura, che era già stato annunciato proprio in Centochiodi.

Comunque, a fronte di questi precedenti illustri, il film-inchiesta si propone agli spettatori partendo dal raduno "Terra Madre", svoltosi a Torino nel 2006, un progetto di lunga data promosso dall’Associazione Slow Food, che ogni volta raccoglie genti e personalità di spicco sul tema dell’alimentazione con lo scopo di preservare i percorsi genuini dell’agricoltura e della produzione alimentare in generale, partendo dal presupposto che “mangiare è un atto agricolo e produrre è un atto gastronomico”. Olmi, dunque, filma questa grande convention per evidenziare l’aspetto aggregante del cibo: egli riprende colori, ingredienti, modi di cucinare diversi, popolazioni lontanissime, etnie che non sanno dell’esistenza l’una dell’altra e che sono semisconosciute al mondo occidentale e capitalista, ma tutte quante riunite a parlare di ciò che per eccellenza li accomuna: della madre Terra, oggi tradita, sfruttata e violentata, e dei suoi figli, i mezzi di sostentamento che naturalmente ci offre. Ecco che il maestro di Bergamo, fondendo la sua voce con quelle numerose del raduno mondiale, promuove una visione del mondo unita nella lotta per la tutela dei semi, del cibo e del pianeta, perché in fondo il mondo è uno solo. In particolare, tra le voci più rappresentative, Olmi sceglie quella della teorica indiana Vandana Shiva, la quale afferma che "il corpo obeso del bambino occidentale e lo scheletro di quello africano sono il prodotto dello stesso sistema alimentare” ed “entrambi possono essere evitati". Possono essere evitati con un’altra economia, meno violenta e più sostenibile, e preservando i tempi e i prodotti della natura. Allora Olmi, insieme alla sua macchina da presa, si stacca dal raduno torinese per spostarsi e renderci testimoni di alcuni esempi di altre economie, purtroppo su scala più o meno ridotta: la raccolta del riso nella fattoria della stessa Vandana Shiva in India, l’inaugurazione della banca Mondiale dei Semi alle fredde isole Svalbard (a nord della Norvegia), luogo istituito per prevenire la scomparsa, se non l’estinzione, di molte sementi, e l’esplorazione da parte di Carlo Pertini (presidente dell’Associazione Slow Food) ed altri illustri esponenti dell’associazione di un rudere nei pressi di Roncade in Veneto, nel quale visse un uomo che decise di ritirarsi dalla vita frenetica e consumistica dei tempi d’oggi per dedicarsi ad uno stile di vita più a misura d’uomo, basato sull’autoconsumo e sul risparmio energetico.

Ma poi il regista bergamasco cambia ritmo e stupisce tutti, molto più di quanto non abbia già fatto negli altri tre quarti di pellicola: egli distende il ritmo delle riprese e della durata delle immagini e azzera i rumori per raccontare la creazione, la formazione di un orto da parte di un contadino. Olmi ci mostra la dedizione, lo zelo e la fatica di questo contadino che si prende cura di questo orto e ne attende pazientemente i frutti quasi come se si trattasse di un bambino in arrivo, di una gestazione. E il bambino nasce, in tutti i sensi: l’orto dà i suoi frutti e il contadino insegna a suo figlio la meraviglia della natura. Forse è questa la parte più poetica e commovente del film, nel quale gli unici rumori sono quelli delle foglie, del vento, del ronzio degli insetti, della pala che rivolta le zolle di terra e dei semi messi in un barattolo dal contadino. Con questa sua ultima opera cinematografica, Olmi si riconferma un grande autore, con una poetica apprezzata e riconoscibile, ma sempre nuova. Il regista bergamasco è riuscito a conferire alle immagini una potenza silenziosa capace di farci vedere i rumori e sentire i colori. Con Terra Madre, egli infatti non cambia affatto la sua visione del mondo e della vita, semmai la radicalizza nella creazione di immagini dotate in nuce di una militanza e di una rivoluzionarietà stupefacenti, che riflettono la sua capacità di ritrarre il grido disperato di questo pianeta morente nel silenzio delle immagini e della contemplazione della natura. Si può essere rivoluzionari anche nel silenzio e con la potenza delle sole immagini e Olmi ne è, appunto, la riprova. È dunque il caso di ringraziare il maestro per questa sua preziosa, silenziosa, militanza.

TITOLO ORIGINALE: Terra Madre; REGIA: Ermanno Olmi; SCENEGGIATURA: Ermanno Olmi; FOTOGRAFIA: Fabio Olmi; MONTAGGIO: Paolo Cottignola; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 78 min.

 


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