Flags of our fathers/Letters from Iwo Jima. Immagini e parole da una guerra PDF 
Giulia Liberti   

Flags of our fathers è un film su una fotografia: quella scattata da Joe Rosenthal all’alzabandiera sul monte Suribachi, divenuta una delle immagini più riprodotte e popolari, quanto subito sospettata di artificio. La celebre immagine compare per la prima volta in negativo, sull’ingranditore, nella ricostruzione della sua apparizione fisica; scomparirà dissolvendo in nero dopo i titoli di coda. La storia di un’immagine, la ricerca di una verità sulla sua genesi e sulla realtà di una mistificazione, informa la struttura del film: il ritmo spezzato che scandisce la narrazione su diversi piani temporali rispecchia la successione non lineare propria della memoria visiva. Una memoria particolare, quella di chi era lì, e una memoria condivisa, quella dell’immaginario collettivo che si sviluppa attorno a simboli, come può essere simbolica una fotografia: luogo di incroci di significati ed investimenti emotivi, come è il simbolo per eccellenza, la bandiera.

Secondo Eastwood, la vera menzogna della fotografia non è frutto di una messa in scena al momento dello scatto ma nasce successivamente, quando all’immagine vengono sovrapposti messaggi ideologici, (“un eroe è qualcosa che creiamo noi, qualcosa di cui abbiamo bisogno”: e decidere quanto ne abbiamo bisogno è una questione politica). Letters from Iwo Jima è un lungo flashback che prende avvio dal ritrovamento delle lettere scritte dai soldati giapponesi. La struttura lineare, sostanzialmente cronologica del film, seppur intessuta di ricordi del passato privato dei protagonisti (che porta così a tre i piani temporali della narrazione, specularmente a Flags) rispecchia la struttura della memoria orale, così come del resoconto scritto.

Letters from Iwo Jima è senza dubbio la parte più riuscita dell’operazione, ed è tanto più ammirevole in quanto era la più difficile: assumere su di sé il punto di vista del “nemico”, cercando di non cadere nelle trappole di uno sguardo involontariamente – inconsciamente – imperialista. Il doppio movimento su cui il progetto si articola è alla base della struttura binaria interna ai film stessi: tutto accade due volte – in Flags, alle due bandiere issate sulla montagna fa eco la doppia rievocazione della cerimonia nello stadio, in cui i soldati sono chiamati a replicare la fotografia; in Letters, Saigo viene salvato due volte da Nishi, e gli esempi potrebbero continuare. Ma dove la figura della reiterazione diventa più evidente è negli episodi che intersecano i due film: la ripresa dalla spiaggia della cima del Suribachi all’inizio di Letters è il controcampo ideale dell’inquadratura inversa di Flags; così come le immagini dei soldati giapponesi suicidi nelle gallerie, riprese da entrambi i punti di vista. C’è tuttavia un’immagine che compare in entrambi i film e che può essere letta come il superamento di questa figura binaria: l’arrivo della flotta americana verso Iwo Jima. Nel primo film, le navi dirette all’isola sono inquadrate con una panoramica che compie una rotazione in senso orario: nel secondo la stessa panoramica si ripropone dall’angolazione inversa, e procede in senso antiorario. Un movimento di macchina spezzato in due metà complementari, dalla cui unione deriva una visione d’insieme: il senso profondo dell’operazione è riassunto in questa scelta stilistica. Il doppio movimento che informa il lavoro di Eastwood rappresenta così le due tappe necessarie di una presa di coscienza: bisogna smontare la leggenda non per rinnegarla, ma per fare emergere quella verità che dalla leggenda è esclusa.

Eastwood non invoca una manicheistica distruzione della mitologia eroica americana, di cui anzi non può non riconoscere il valore, ma si propone la consapevolezza di quanto di simbolico ci sia in quel mito. Solo questa consapevolezza può permettere di tributare al nemico il più grande omaggio che possa venire dall’America conservatrice, il riconoscimento del valore umano e militare.

 


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