Lost in la Mancha: cronaca di un fallimento annunciato PDF 
Tiziano Colombi   

La legge di Lutero
Tra le incrollabili certezze del padre della Riforma protestante, una in particolare aveva un posto di rilievo: “Il denaro è lo sterco del demonio”. Nella vicende raccontate in Lost in la Mancha il ruolo dei fumanti escrementi del re degli inferi hanno di certo un ruolo preminente. Girato nel 2000 da Keith Fulton e Louis Pepe, due collaboratori di Terry Gilliam, Lost in la Mancha doveva rimanere il resoconto (per immagini) del backstage della più dispendiosa produzione europea di tutti i tempi, The Man Who Killed Don Quixote. Finirà per diventare un appassionato documentario sul fallimento artistico e produttivo di uno dei registi più visionari del cinema americano. Quando il progetto di Gilliam entra in pre-produzione il budget a disposizione ammonta a 32 milioni di dollari. Lui sostiene che ne servirebbero almeno il doppio. Il pizzico di superbia che lo spinge a dichiarare “se è facile non lo faccio se è quasi impossibile ci provo” gli sarà fatale. Il primo aiuto regista Phill Patterson, l’uomo che deve tenere in piedi la baracca, ribattezza il suo capo nientemeno che “Capitan Caos”. Le settimane che precedono le riprese non promettono nulla di buono. Gilliam gira provini, studia le coreografie, fa visita al reparto costumi, si muove per i comparti produttivi come un bambino nel paese dei balocchi. Hollywood non ha avuto il fegato necessario per dargli una possibilità. Gli investitori europei hanno giocato d’azzardo. Andrà male soprattutto a loro. “Gilliam vuole fare un film di Hollywood senza Hollywood”, osserva uno dei produttori spagnoli. Come il Don Chisciotte di Cervantes anche il sessantunenne regista di Minneapolis è costretto dalla ferocia della realtà a risvegliarsi dal sogno. Quello che non è possibile ignorare in un’industria sono i mezzi di produzione, comanda chi li detiene. Marxianamente parlando la “classe” che dirigerà il gioco in tutta questa storia saranno i periti delle compagnie assicurative che scipperanno all’autore i diritti del film.

Una sbirciatina al compito di Mark Twain
La sceneggiatura scritta da Gilliam fa di Johnny Deep, un pubblicitario americano dei nostri giorni finito non si sa come nel XVII secolo, il suo Sancio Panza. Idea originale e brillante riportano i critici. Peccato che l’avesse già pensata e messa su carta il buon vecchio Samuel Langhorne Clemens, altrimenti detto Mark Twain. Se siete stati bambini fortunati e la vostra maestra non era un’integralista fanatica di Pinocchio vi sarà forse capitato tra le mani Uno Yankee alla corte di Re Artù. Il protagonista del racconto, Hank Morgan, ottocentesco abitante del New England, viene catapultato nientemeno che nella Britannia del VI secolo a vedersela con il vecchio Merlino. Tecnologia contro magia. Se volete sapere come va a finire e non avete la pazienza di andare in libreria mandate una mail a Gilliam o a qualcuno dei suoi collaboratori. Fulton e Pepe, già autori del backstage de L’esercito delle 12 scimmie, girano il loro film da un punto di vista privilegiato, calati in trincea, hanno accesso costante alla prima linea. Seguono “Capitan Caos” anche in bagno e riescono in questo modo a mettere in scena la “passione” di Gilliam, la frustrazione dei suoi collaboratori, emozioni e paure, gioie e dolori del set. Di sicuro Lost in la Mancha è un prodotto particolare e a tratti molto ben concepito. Ma se non fosse la cronaca di un fallimento avrebbe goduto della stessa eco? Ai due autori scappa la mano, e sembra, di tanto in tanto, di assistere a un’angiografia trendy e po’ sbilenca. Originariamente il documentario fu pensato per essere allegato al dvd del film. Formato cofanetto per natali cinefili. Se il suo destino si fosse compiuto sarebbe (forse) rimasto secondo a molti altri prodotti similari. Tanto per citarne uno, gli extra legati al Titanic di Cameron.

La ragione del contadino
Le ultime parole di Don Chisciotte, prima del commiato finale, furono per il suo compagno di avventure Sancio, “perdonami, amico, di averti messo nella condizione di sembrar pazzo come me, facendoti cadere nell’errore in cui ero caduto io, che vi siano stati o che vi siano al mondo cavalieri erranti”. Anche Gilliam, come il suo eroe, quando comprende che non vi è margine alcuno per tenere in piedi la produzione di Quixote, si arrende alle ragioni del mondo reale. Fulton e Pepe lo riprendono mentre sigla con un epigrafe un disegno da lui stesso realizzato raffigurante un Don Chisciotte in fuga crivellato da colpi d’arma da fuoco. “I mulini della realtà contrattaccano”. Per fortuna la saggezza minuta del pacioso Sancio nemmeno questa volta negherà a entrambi un appiglio, “non muoia la signoria vostra, signore; senta il consiglio mio, e viva molti anni; perché la pazzia più grande che può fare un uomo in questa vita è quella di lasciarsi morire”. Se la sorte del vecchio cavaliere si rivelò purtroppo decisa, la vena artistica e la voglia di cinema di Terry Gilliam non si disperse. Parnassus, l’ultima opera del nostro affezionato, con il suo tragico epilogo, è lì a testimoniarlo.

TITOLO ORIGINALE: Lost in la Mancha; REGIA: Louis Pepe, Keith Fulton; SCENEGGIATURA: Louis Pepe, Keith Fulton; FOTOGRAFIA: Louis Pepe; MONTAGGIO: Jacob Bricca; MUSICA: Miriam Cutler; PRODUZIONE: USA/Gran Bretagna; ANNO: 2002; DURATA: 89 min.

 


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