David Mamet (Chicago, 1947), tra i più grandi sceneggiatori viventi, esordisce alla regia con questo film sorretto da una storia scritta magistralmente. La musica classica che accompagna i titoli di testa prepara il campo al predominio iniziale di ambienti facoltosi, patinati e molto illuminati. Nelle scene d'apertura viene ribadita un'informazione riguardante la protagonista (Lindsay Crouse), una psicoanalista dall'aspetto mascolino autrice di un libro best-seller: se l'anziana amica le dice "[...] il tuo conto in banca aumenta", il giovane paziente è ancora più efficace quando si serve del postulato "[...] tu sei ricca". Lo spettatore si fa dunque un'idea precisa sulla situazione finanziaria della donna e proprio da qui la vicenda può muovere i primi rilevanti passi. L'arrivo della notte, sostenuto da una musica tendente al jazz, sposta l'azione nella desolata casa dei giochi attorno a cui Mamet, autore proveniente dal teatro, ha costruito questo film sull'inganno e sul rapporto creatosi tra una malavita maschilista e sempre più avida di denaro e un asettico mondo degli studi e del sapere.
Truffare vuol dire anche assumere e mantenere un ruolo con freddezza e disinvoltura mascherando la verità, dunque gran parte dei gesti, delle parole e delle situazioni, man mano che la vicenda procede e la posta in gioco aumenta sempre di più, si svelano essere una finzione nella finzione. I truffatori, quando fingono, si dimostrano incapaci di trovare un gergo alternativo, così il loro linguaggio risulta essere l'unico elemento da cui Mike (Joe Mantegna) e i suoi compari non riescono ad affrancarsi, un vincolo involontariamente costante. La regia (purtroppo non sempre convincente) usa la porta come simbolo atto a sancire le tappe più compromettenti del viaggio della protagonista verso un presumibile punto di non ritorno. I colpi di scena tuttavia ribaltano a più riprese la realtà filmica e aiutano lo spettatore a mantenere viva, fino al termine, la speranza che non tutto sia davvero compromesso.
I giochetti spiegati o messi in atto da Mike coinvolgono necessariamente la conquista dell'altrui fiducia ottenuta anche grazie alle tentazioni di un istinto troppo spesso represso. Ma la scena finale si raccorda con l'inizio tramite un accendino e sancisce proprio l'uscita da questo sorta di autocensura morale, un chiaro segnale del cambiamento della protagonista.
Il riconoscimento più prestigioso ottenuto da David Mamet è datato 1984: lo spietato dramma Glengarry Glenn Ross, trasposto al cinema nel 1992 da James Foley (in Italia il film è stato distribuito con il titolo Americani), guadagna infatti il premio Pulitzer. La casa dei giochi, vincitore invece dell'Osella per la migliore sceneggiatura alla 44. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1987, è un film da studiare a fondo per chiunque voglia scrivere per il cinema.
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