Filosofi, letterati e artisti si sono confrontati e interrogati sul personaggio di Pinocchio, oggetto di molteplici traduzioni e rivisitazioni. Dopo una lunga gestazione, iniziata nel 2000 ma arrestatasi di fronte al progetto di Roberto Benigni sul celebre burattino, Enzo D’Alò, uno dei protagonisti assoluti dell’animazione italiana ed europea, è riuscito - dopo quattro anni - a completare il suo Pinocchio, in coproduzione con Francia, Belgio e Lussemburgo. La sfida per Enzo D’Alò è stata quella di confrontarsi con la storia di formazione scritta da Carlo Lorenzini, al secolo Carlo Collodi, attraverso una chiave di lettura inedita, trovandola - anche per effetto di vicende strettamente autobiografiche - nel rapporto tra Geppetto e Pinocchio, un padre che rivede sé stesso in un figlio che andrà voracemente alla ricerca della propria identità nel mondo, sbagliando, inciampando e mentendo, ma acquistando infine il rispetto per il proprio genitore.
All’inizio del film, un giovane Geppetto fa volare nel cielo un aquilone, che torna anni dopo - quando il falegname si è ormai lasciato alle spalle la giovinezza - a bussare alla sua finestra, invitandolo a dar vita a un ciocco di legno miracolosamente dotato dell’uso della parola. Da qui, il film diventa una lunga corsa a perdifiato nel racconto delle avventure di Pinocchio, impegnato a scoprire la vita, a sondare le sue insidie e tentazioni - incarnate dal Gatto e la Volpe, dal Paese dei Balocchi ... - e a comprendere ciò che conta davvero (l’amore del padre, la fiducia della bambina/Fata Turchina, l’amicizia del cane Alidoro). Pur concedendosi qualche libertà, il film di D’Alò resta sostanzialmente fedele al testo collodiano, allontanandosi dall’immaginario disneyano (basti pensare all’importanza del personaggio del cane Alidoro rispetto al Grillo Parlante o alla presenza del pescecane al posto della balena) e dall’animazione giapponese. Scritta la sceneggiatura insieme a Umberto Marino, Enzo D’Alò ha rappresentato l’universo di Collodi con l’intenzione di sottolinearne l’attualità e la modernità dei temi chiave, avvalendosi dei disegni di Lorenzo Mattotti e delle musiche del compianto Lucio Dalla (che si è ritagliato anche un piccolo ruolo come doppiatore del personaggio del Pescatore Verde), spentosi un anno fa a Montreux.
Il fascino dell’artigianalità che emerge dal tratto dei personaggi (il che non deve lasciare ingannare, il film è realizzato con le più moderne tecniche di animazione), la ricchezza pastello dei fondali che ricordano il paesaggio toscano e l’efficacia evocativa di alcune immagini di Mattotti, come la presentazione psichedelica del Paese dei Balocchi, l’incendio in cui si trova invischiato Pinocchio o il tentativo di impiccagione, rendono Pinocchio un’opera dall’estetica suggestiva, capace di non banalizzare una storia stra-conosciuta e dal carattere universale. A convincere meno nel lavoro di D’Alò è la scrittura, infarcita di troppi eventi e personaggi, con un ritmo di narrazione eccessivamente frenetico che non lascia il tempo allo spettatore di metabolizzare tutti gli snodi della storia e il carico simbolico che le vicende e i loro protagonisti veicolano con sé. Manca così il necessario picco emotivo che possa imprimere con una certa forza la storia del burattino che diventa bambino nella mente e nel cuore di chi la guarda. Il dubbio è che quel coagulo di malinconia e tenerezza che caratterizza il rapporto tra Pinocchio e Geppetto, e che si esplicita soprattutto nel finale, risulti convincente più per uno spettatore adulto che non per un bambino.
Il Pinocchio di D’Alò, che in Italia sta stentando a trovare un “posto al sole” al box office, può comunque giocarsi le proprie carte oltre confine (è stato venduto in diversi paesi, registrando interesse anche negli Stati Uniti) dove un’animazione originale come questa, che non assomiglia alle esperienze americane, nipponiche o addirittura europee (se si guarda alla saga di Arthur e il popolo dei Minimei dell’Europa Corp. di Luc Besson), può raccogliere l’interesse e il riconoscimento che merita, al di là di una sceneggiatura non totalmente convincente.
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