Antonietta De Lillo ha mirabilmente estratto dal complesso romanzo di Enzo Straiano la vicenda di una rivoluzione che (non) avvenne nel 1799 contro il Regno Borbonico di Napoli, da parte di un manipolo di uomini e di una sola donna, Eleonora Fonseca Pimental. Una giovane nobile di una decadente famiglia portoghese costretta a sposare un ricco borghese napoletano. Tradita e umiliata dal marito, Eleonora trova la sua volontà di riscatto, l’indirizzo verso l’emancipazione e il politico, attraverso la sua essenza femminile. La traiettoria della sua consapevolezza critica si attiva nel suo corpo (quello che non vuole abbandonare con la morte, né ‘mostrare’ al momento dell’impiccagione, quando chiede al frate “delle mutande” perché la forca è troppo alta), maltrattato dalla violenza del marito e vittima di un aborto. Un corpo che entra in empatia con altri corpi (femminili): in primis quello della sua serva, Graziella, che lei vede nelle mani dell’infedele marito, ma lungi dal giudicare, condannare, piuttosto sente come destinatario della proprio vocazione politica. È da questa prima comunione di vissuti che Eleonora percepisce la necessità di un mutamento. Come Antigone, Eleonora (si) propone in uno slancio vitale dentro una polis che la rifiuta. E come l’eroina sofoclea ella declina la ragion di stato in una pietas che reclama la cura della nuda vita prima dell’obbedienza alla Legge. L’Altro-da-sé -la serva appunto, di umile estrazione, ma Eleonora stessa è straniera, portoghese- emerge come manifestazione di disagio, ma insieme segno di radicale differenza, breccia nell’io (donna) di Eleonora e arma rivoluzionaria. Il suo afflato politico è l’estensione della singolarità femminile in frizione contro la Legge (maschile) e la realtà. Nulla è concesso allo storico, nel senso dello spettacolo, come battaglie campali o scene di massa, rappresi nei disegni stilizzati dell’artista Oreste Zavola. L’autrice rinuncia alla malia della ricostruzione impressionistica, forgiando un universo polimaterico che sovrappone alla celluloide il teatro delle marionette, addensando un senso “eretico” rispetto alla tradizione del film in costume, così com’è eretica la protagonista dentro il disegno sociale del nuovo e del vecchio regime, tanto da riuscire « […]a polarizzare su di sé quella storica esclusione delle donne che la città del tiranno e la polis democratica pienamente condividono» (Anna Cavarero, Corpo in figure, figure e politiche della corporeità, Feltrinelli, 2000) . La Storia si fa dentro i gangli e le viscere della protagonista che mastica nella sua memoria il senso perduto dell’esistenza dove risulta indistinguibile un’analisi del diacronico fuori dal sincronico. Le unità sintattiche sono il raccordo rapsodico della sua mente e tutte le istanze tematiche sono fuse dentro lei. La scansione temporale e l’azione drammaturgia si dipanano attraverso un’audace modulazione coloristica che fa scorrere vicende e sentimenti dentro l’esistenza di Eleonora, che è anche il suo ultimo sogno e il sogno di una città, Napoli. Gli sguardi e le soggettive sono aperture verso l’immaginario e la memoria di un Tempo che ha perduto qualsiasi progressività, maciullato nella frammentarietà del ricordo. Il tempo della storia è un diamante impazzito che scorre nelle faglie rammemorative di Eleonora e su cui la protagonista non ha alcun potere performativo: ella è un terzo polo anti-dialettico tra rivoluzionari e sanfedisti; ella è il femminile che prova a dare forma a un nuovo paradigma politico, aperto, visionario e umanistico: Eleonora, la più colta del pugno di rivoluzionari napoletani, la più luxembourgiana, si pone all’ascolto della Napoli - ‘Antro della Sibilla’, che squaderna i suoi misteriosi vaticini, sfuggenti voci della pancia della città, del popolo, che divora se stesso mentre è divorato dal male del Sanfedismo. Eleonora sente di dover cambiare il cuore degli uomini prima delle loro menti. La sua esigenza primaria è quella di andare verso il popolo evitando ogni intellettualismo: ma una fitta nebbia avvolge la prospettiva di un cambiamento, la possibilità di coniugare un’ideologia e una scienza. Ne Il Resto di Niente torna la Questione Meridionale con una forza di viscontiana memoria; con una evidente differenza: mentre Il Gattopardo produceva un discorso in continuità con la nazione e l’intellighenzia, oggi questa pellicola non ha una comunità a cui appellarsi. Il suo lettore ideale è dovunque e da nessuna parte. Non per questo è meno vigorosa l’urgenza etica: le responsabilità del Sud rispetto alla sua stessa negligenza, la complicità delle classi dirigenti, l’abulia che scade in retriva ambiguità. Il sogno di Eleonora, una politica diversa, è il segno di una necessità: un’anelare ad dimensione esistenziale totalmente altra, femminile. Un epitaffio finale che ci parla ancora oggi, quando lo status quo sembra il convitato di pietra di tutti gli altri mondi possibili e immaginabili.
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