Il cinema di Dziga Vertov, pseudonimo di Denis Arkadievitch Kaufman, è una continua sperimentazione delle potenzialità intrinseche alla nuova arte in quanto strumento, mezzo tecnico per raffigurare il reale, mezzo di comunicazione e, in taluni casi, divulgazione culturale. Siamo agli inizi del 1900 e i film di Vertov sono cine-documentari di propaganda, soprattutto i primi, tra cui Kinoglaz (Cineocchio) del 1924, precursore di uno dei suoi più grandi capolavori: Celovek s Kinoapparatom (L’uomo con la macchina da presa) del 1929.
Proprio quest’ultimo è, in realtà, il grande “amore” di Dario Argento, il film che più d’ogni altro ha saputo nutrire la sua cinefilia. “Nel cinema di Vertov c’è una grande sperimentazione tecnica – commenta Dario Argento, ospite del 28° Torino Film Festival –, ad esempio i carrelli alti de L’uomo con la macchina da presa. Si tratta di un cinema bellissimo e molto duro al tempo stesso, a tratti atroce quando si sofferma sui primi piani dei volti dei contadini, o sui piedi nudi dei ragazzini. Un’atrocità che viene direttamente dalla realtà russa dell’epoca, dalla durezza delle condizioni di vita”. E se di primo acchito la scelta del film di Dario Argento può sembrare strana (ci si sarebbe stupiti molto meno avesse scelto Hitchcock), ad un’analisi più approfondita le similitudini emergono. Il cinema di Vertov, così come quello di Argento, è un cinema di visione e non di effetti speciali. Una visione “elettrica” della realtà che diviene punto focale.
Ma l’amore per il cinema di Dario Argento non si ferma al solo Vertov, come tiene lui stesso a sottolineare. Ed, in effetti, sono evidenti le influenze di Fritz Lang in film culto come Profondo Rosso o Suspiria, in cui, proprio in onore a Lang, Argento chiamò a recitare Joan Bennett (attrice di quattro film del maestro viennese, che la consacrarono star del noir) nel ruolo della vicedirettrice della scuola di danza Madame Blanc. Altrettanto forti le influenze del cinema noir degli anni Quaranta e Cinquanta, degno erede dell’espressionismo tedesco langhiano, con titoli come La sesta vittima di Mark Robson o The Black Cat di Edgar G. Ulmer, tratto dal famoso racconto di Poe. Un soggetto, quest’ultimo, utilizzato da Dario Argento per l'episodio omonimo inserito nel film Due occhi diabolici (1990), realizzato insieme a George A. Romero.
E i registi italiani? “Grande amore e ammirazione anche per Fellini o per Antonioni – continua Dario Argento – in particolare a quest’ultimo devo l’esame degli spazi, le visioni architettoniche”. E come non pensare a L’eclisse se si prendono in esame i luoghi e le atmosfere di Tenebre? Ma, come dice giustamente lo stesso regista romano, si potrebbe procedere a lungo parlando di cinefilia di Dario Argento e verso Dario Argento perché “la cinefilia non finisce mai, se si ama il cinema lo si ha nell’anima”.
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