Hesher è stato qui PDF 
Simone Dotto   

Spesso per le disfunzioni famigliari che ne affollano le trame, a volte per il vissuto del regista di turno, o quasi sempre per aver eletto a platea ideale un pubblico diviso tra ragazzini troppo maturi e adulti mai davvero cresciuti, capita spesso che le storie del cinema indie abbraccino il punto di vista dei bambini. E né l’esordiente Spencer Sussex, nè il suo co-sceneggiatore David Michaud (già titolare di Animal Kingdom) sembrano intenzionati a fare eccezione alla regola. Anzi, a volerla dire tutta fin da subito, in questo suo debutto al lungometraggio Sussex non ha inteso essere “eccezionale” praticamente in nulla: la storia del piccolo T.J., che deve passare attraverso non uno ma ben due lutti (mamma e nonna) prima di ritrovare la forza per affrontare la vita, accoglie di buon grado tutti gli schemi consolidati, clichè più clichè meno, di quello che ormai è un vero proprio genere a marchio Sundance. Si aggiungano alla lista dei punti deboli una trama zoppicante - anche questa secondo copione - e il non invidiabile destino dell’esordire nelle sale a pochi mesi di distanza da un maestro come Gus Van Sant, pure lui impegnato a declinare il tema giovani e lutto a tinte pastello ne L’amore che resta.

A risollevare, in parte, le sorti della pellicola sono allora le due epifanie che illuminano il piccolo protagonista nel passaggio cruciale tra l’infanzia e l’età adulta: Hesher e Nicole (al secolo Joseph Gordon Levitt e Natalie Portman, imbruttiti a regola d’arte) giocano le parti del diavolo e dell’acqua santa. Più che veri personaggi, si tratta di simboli, anche troppo scoperti, del nichilismo che sta cominciando a divorare T.J. , l’uno, e della sublimazione della figura materna appena perduta, l’altra. Entrambi, a modo loro, aiuteranno il ragazzino a elaborare il lutto molto più di quanto non riescano a fare le sedute di aiuto alle quali lo trascina il padre. E, come il suo protagonista, anche il film viene tratto in salvo dall’apparizione, allo stesso tempo inquietante e divertente, di Hesher. Ogni ingresso in scena di Gordon Levitt nei panni del metallaro politicamente scorretto è un antidoto alla noia, tranne forse quando si cerca di forzarne i confini nel tentativo di farne un carattere vero e proprio. Resta efficace come iniezione di un umorismo nero e un gusto cinico, questo sì estraneo al decalogo dei film indie. Ma non certo allo sguardo dei bambini.

Titolo originale: Hesher; Regia: Spencer Susser; Sceneggiatura: Spencer Susser, David Michôd; Fotografia: Morgan Susser; Montaggio: Michael McCusker, Spencer Susser; Scenografia: Giuseppe Ponturo; Costumi: Virginie Montel; Musiche: Frank Tetaz; Produzione: The Last Picture Company, CatchPlay, Corner Store Entertainment, DRO Entertainment, Filmula, Handsomecharlie Films; Distribuzione: Bolero Film; Durata: 106 min.; Origine: USA, 2010

 


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