La quotidianità e le zone d'ombra: Lady and the Tramp PDF 
Federica Zancato   

Nel 1955 Walt Disney si allontana momentaneamente dagli spazi fiabeschi per tornare alle origini: ricrea infatti un tipico paesaggio suburbano americano nel momento in cui questo stesso paesaggio inizia a modificarsi. Il luogo lo si conosce già: è stato visto e ripetuto sia nei film precedenti che nella realtà, e verrà inoltre replicato nell’arco di un mese dallo stesso Walt all’interno del suo parco tematico di Anhaeim, Disneyland. In Lady and the Tramp (Lilli e il vagabondo, Jackson - Luske - Geronimi, USA, 1955) Disney sceglie di elevare l’immaginario suburbano attraverso una costruzione regolare e perfetta dello spazio visibile, a cui appartengono le abitazioni uguali e ben disposte, infondendo al luogo un apparato onirico: apparentemente perfetto senza pecche né peccatori. In questo contesto si amplifica il timore della possibile contaminazione dall’esterno e dell’eventuale ingresso dell’estraneo all’interno delle mura domestiche. Si possono dunque identificare e delineare due filoni tematici nella descrizione dell’ambiente familiare suburbano: la difesa della casa dall’estraneo e, ancora più importante, la difesa dal pericolo già presente al suo interno. La visione di Disney in Lady and the Tramp è apparentemente pacifica, positiva e rassicurante.

Guardando l’ambiente in cui vive Lady, si ritrova lo stesso clima familiare celebrato dalla televisione americana negli anni ’50. Nella serieLeave It to Beaver (1), ad esempio, la famiglia eteronormativa riprende tutti i possibili buoni propositi, dall’importanza del legame familiare alla corretta disposizione dei suoi membri, dalla madre casalinga al padre “autoritario”. Lo schema presente in Leave It to Beaver verrà ripreso esplicitamente anche nel film Pleasantville (Gary Ross, USA, 1998) che, attraverso l’ingresso dei protagonisti all’interno della televisione, riporterà in vita quel telefilm in bianco e nero celebrativo della famiglia perfetta. Disney cerca dunque di elevare il film verso una perfezione quasi assoluta del contesto, facendo conseguentemente pervenire alcuni dubbi sulla reale esistenza del luogo. Forse per questo motivo, il film decide di rivelarsi fin dal suo incipit con la visione paesaggistica dall’alto della cittadina immersa nella notte, imbiancata dalla neve: lo spettatore entra all’interno di un piccolo mondo dai confini sfumati. La rappresentazione è molto simile a quella interna alle sfere di vetro e sostituisce a tutti gli effetti il libro delle fiabe aperto precedentemente in altri film. Ciò che si sta per vedere è dunque costantemente un luogo fiabesco che trasforma l’esistente suburb in un non-luogo. L’ambientazione è classica e perfetta, piena di particolari e dettagli. Secondo Andreas Deja (2), guardando il film sembra di rivedere un quadro di Norman Rockwell, proprio per quei dettagli e quello stile tipicamente americani. In effetti, lo stile dell’illustratore è riconducibile sotto vari aspetti al lavoro di Walt Disney, sia per l’iconografia che per la scelta tematica delle ambientazioni: entrambi guardano la città in movimento ed i personaggi che vi interagiscono colti durante le loro piccole azioni quotidiane.

L’introduzione del Cinemascope, grossa innovazione tecnologica del film Lady and the Tramp, rende ancora più simile la visione del suburb dei due autori: il Cinemascope allunga l’immagine orizzontalmente rendendo la scena in tutto e per tutto simile alle Main Street “allungate” realizzate da Rockwell. La tecnica cinematografica perpetua dunque la rappresentazione della cittadina già di per sé influenzata proprio dall’orizzontalità architettonica, atta a non differenziare un edificio dall’altro e a rendere il tutto omogeneo e perfettamente integrato nell’insieme. Nel 1955 però, anno di uscita nelle sale del film, molti cinema non possiedono lo schermo adatto per questo tipo di proiezione, problema che inciderà sulla programmazione della pellicola e che renderà necessario un suo rifacimento adatto allo schermo precedente. Le immagini vengono così tagliate di netto: lo spazio attorno ai protagonisti diventa piccolo e parzialmente opprimente, lasciando talvolta in fuori campo alcuni personaggi. Nella scena del giardino con Lady, Tramp e i due amici Jock e Trusty, i personaggi vengono a turno ritagliati all’esterno dell’inquadratura: Tramp parla a Jock guardando verso il fuoricampo mentre nella realtà Jock è presente al suo fianco nell’immagine in Cinemascope. Per riuscire a realizzare la seconda versione, infatti, non viene ridisegnato interamente il film ma vengono ritagliati gli sfondi, sfasando dunque totalmente la percezione dello spazio e del movimento all’interno della pellicola. Se la scenografia della versione originale in Cinemascope è per lo più ampia, regolare e luminosa, nella versione tagliata il corpo del personaggio sembra invece rimanere intrappolato in uno spazio ridotto e soffocante. L’ampliamento dello spazio visivo si trasmette nella visione della bellezza della cittadina: lo spazio suburbano dialoga con chi lo abita e mette in mostra ciò che lo circonda esibendosi senza timore attraverso gli sfondi dettagliati del disegnatore Claude Coats. L’utilizzo del Cinemascope enfatizza inoltre il desiderio di Disney di rappresentare l’aspetto rassicurante e positivo dell’ambiente poiché tutto rimane costantemente in scena mostrandosi apertamente allo spettatore. Proprio Walt, nell’indicare al disegnatore Eyvind Earle come creare la visione dall’alto della collinetta sulla cittadina del suburbia, dice: “Dipingi la città in modo che sia bello stare in città.

La città è stupenda. E anche lasciare la città in cerca di avventura è grandioso”. Pur se mette in scena colori brillanti, uno spazio ampio e rassicurante e la vita perfetta dei protagonisti, Lady and the Tramp risulta essere il film più “violento” mai realizzato da Disney, almeno fino ad allora. Il momento di terrore non viene racchiuso in un’unica sequenza, come nel caso di Snow White and the Seven Dwarf  (Biancaneve e i sette nani, David Hand, USA, 1937) o di Alice in Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie, Geronimi - Luske - Jackdon, USA, 1951), ma si estende invece lungo l’intero arco narrativo del film, rivelandosi sempre come minaccia della quotidianità, della famiglia e della casa. Le abitazioni del quartiere in cui vive Lady riprendono le dimore vittoriane degli anni ’10, periodo a cui Disney si rifà esplicitamente anche per la costruzione del parco di Disneyland. Lo stile riprende le prime villette americane con la veranda d’ingresso ed il salotto (3): si è ancora lontani dall’introduzione del garage e sembra conseguentemente di allontanarsi anche dall’immaginario visivo del suburb con le sue tipiche casette tutte uguali. Ma in realtà è davvero una villetta suburbana poiché ne rivela le stesse qualità: è un’abitazione indipendente circondata dal giardino, si conoscono i vicini “canini” delle altre due villette e tutte le abitazioni sono disposte parallelamente al viale alberato principale, una sorta di Main Street. Anche la vita all’interno delle abitazioni è tipicamente da suburbia: mentre il marito lavora la moglie casalinga bada alla casa in compagnia della sua cagnetta nell’arco di una giornata scandita da una routine quasi maniacale. Riprendendo il riferimento a Pleasantville, e dunque alle diverse serie americane degli anni ’50, sembra di rivivere esattamente quel momento ripetitivo del ritorno a casa del marito (in questo caso di William H. Macy) che posando valigetta e cappello esclama alla moglie: “Honey, I’m home!”. L’interruzione della routine rende possibile il primo attacco a Lady all’interno della propria abitazione: l’arrivo della Zia Sara, accompagnata dai due gatti siamesi arroganti e doppiogiochisti, “elimina” fin da subito la cagnetta escludendola (quasi involontariamente all’inizio) dall’abitazione. Lady rientra in casa ma viene nuovamente scacciata in seguito alla trappola tesa dai due gatti: tutto conduce dunque al suo allontanamento, dalla vestizione della museruola al negozio di animali alla sua conseguente fuga. La corsa viene amplificata dall’utilizzo del Cinemascope, poiché la cagnetta corre rapidamente all’interno di una scenografia che pare non aver mai fine, avvicinandosi ancora di più allo spettatore che la osserva. La sua fuga in mezzo al traffico, caotica e senza meta, la conduce in uno spazio oscuro e pauroso; la scenografia, dapprima rassicurante e a tinte pastello, muta improvvisamente virando su toni più bui, con chiaroscuri inquietanti ed ombre predominanti. Proprio le ombre diventano dunque determinanti al contesto narrativo: ad ogni scena di lotta o momento di tristezza e dolore non compaiono i corpi ma solo le loro ombre.

Se in Peter Pan (Le avventure di Peter Pan, Jackson - Luske - Geronimi, USA, 1953) l’ombra rappresenta il corpo dell’eroe, in Lady and the Tramp si trasforma in filtro visivo, in un escamotage per celare qualcosa di troppo violento per lo sguardo diretto.  L’ombra sembra materializzarsi durante l’inseguimento di Lady da parte dei cani randagi: la via in cui si rifugia la cagnetta diventa un “luogo d’ombra” nel quale gli edifici e l’architettura scenografica non si presentano più regolarmente simmetrici ma convergono verso l’interno in modo tale da chiudere in trappola il corpo in fuga. Allo stesso modo cambia l’inquadratura che diventa più angolata ed irregolare man mano che si acuisce il senso del pericolo. In suo soccorso compare ovviamente Tramp che la vede passare durante l’inseguimento: proprio al randagio spetta la prima “inquadratura d’ombra” durante lo scontro violento con gli altri tre cani. L’ombra diventa un elemento ripetitivo: la si vede riflessa sul muro durante lo scontro davanti al parco tra il poliziotto ed il passante e ancor più importante compare all’interno del canile, in cui a riflettersi sui muri non sarà solo l’ombra dei cani tristi e piangenti nelle loro gabbie, ma anche quella del corpo del randagio che si sta dirigendo al “patibolo”.

Essendo un film per lo più realistico, la scena assume davvero un risvolto tragico: il condannato a morte, che gli altri cani riconoscono, sembra ingenuo e comunque felice, inconsapevole di ciò che sta per accadergli.Il mondo esterno sconvolge la vita della piccola Lady che non pensava a ciò che realmente potesse esserci al di fuori della sua abitazione che, fino al momento della fuga, aveva svolto il proprio dovere di proteggere il nucleo familiare, cagnetta compresa. Lady è a tutti gli effetti una bambina cresciuta nell’illusione creata dal suburb, che come ricorda anche Tim Burton: “Le periferie come Burbank somigliano ai regni delle fiabe. Per i bambini, rappresentano un mondo chiuso che è il loro, un vero e proprio microcosmo. Le case si toccano l’un l’altra, ognuno conosce il suo vicino” (4). Se per il regista, la situazione crea comunque una sorta di disagio causata proprio da questo rapporto superficiale tra le persone, per Lady il mondo del suburbia è ancora esclusivamente mondo da fiaba. L’annuncio della morte, reso attraverso l’ombra del cane condotto al patibolo, diventa morte a tutti gli effetti nella sequenza più inquietante dell’intero film: l’ingresso del ratto in casa ed il combattimento tra lui e Tramp nella stanza del pupo. Se la presenza in casa della zia e dei gatti ricorda in particolare quella della matrigna in Cinderella (Cenerentola, Jackson - Luske - Geronimi, USA, 1950), l’attacco alla casa rappresenta il terrore della minaccia e della contaminazione da parte del nemico esterno ancora sconosciuto. La scelta dell’animale evidenzia, inoltre, il grado di antropomorfismo tipico disneyano: il ratto è infatti un “animale” ancora selvaggio, per nulla umanizzato e dunque privo di indumenti, ben lontano dai topini di Cinderella o dal famoso Mickey Mouse. La scena di lotta tra Tramp ed il ratto è violenta e rapida: all’interno della stanza buia si assiste ad un vero e proprio combattimento in cui si intravedono i corpi dei due “guerrieri” attraverso la luce dei lampi che filtra dalle finestre. Le ombre intervengono come nel primo combattimento tra Tramp e i tre randagi: sottolineano la crudeltà dell’immagine e dell’azione che si sta svolgendo, caotica e confusionaria. L’ingresso del ratto è significativo per l’intromissione del corpo estraneo, ma ancora più incisivo è il suo cadavere come segno di vittoria: Tramp abbatte il nemico sul campo di battaglia nel momento in cui i due personaggi vengono celati da una tenda e si mostra infine allo spettatore mentre si lecca la zampa ferita in combattimento. Non è la prima volta che Disney mette in scena la morte di un personaggio, già vissuta infatti con la madre di Bambi, ma è la prima in cui assistiamo realmente alla sua uccisione e che siamo a conoscenza del fatto che il cadavere sia sotto ai nostri occhi. Nel caso dell’uccisione in Bambi (Bambi, David Hand, USA, 1942) non si assiste al momento culminante della morte: il suo corpo scompare senza lasciare traccia e solo nel momento in cui Bambi chiama la madre una volta riuscito a mettersi in salvo ne scoprirà infatti la sua assenza.

L’inquadratura in Lady and the Tramp si mantiene invece costantemente sul luogo del delitto: non solo abbiamo vissuto l’ingresso del nemico ma abbiamo partecipato ad un omicidio che inserisce il corpo sconfitto in maniera permanente all’interno della villetta. Il corpo rimane però sempre nascosto dietro la tenda: la sua esibizione/occultamento sembra evidenziare qualcosa da dover nascondere in un luogo in cui però non dovrebbe manifestarsi. Il vero luogo d’ombra all’interno dell’abitazione suburbana deve infatti essere lo scantinato. Lo scantinato è il luogo per eccellenza in cui si nasconde ciò che non viene accettato e riconosciuto all’interno del nucleo familiare, visivamente in netta contrapposizione con lo spazio al piano terra, solare ed illuminato. La stessa Lady, nel momento in cui subentrano in casa la zia ed i due gatti siamesi, viene relegata nello spazio sottostante poiché considerata diversa, incapace di integrarsi nella nuova famiglia e conseguentemente esclusa dall’effettivo spazio/cerchio abitativo. La zona d’ombra dello scantinato serve dunque ad accentuare la dicotomia e la separazione tra ciò che appare in superficie e ciò che si nasconde nel sottosuolo, evidenziando proprio quella orizzontalità tipica della villetta suburbana. 

Nel film di John Landis intitolato Family (USA, 2006) la sequenza d’apertura introduce la m.d.p. all’interno dell’abitazione, per mostrare allo spettatore l’ambiente solare e rassicurante costante all’ideologia tipicamente suburbana. Se, nella parte superiore, la casa inscena una perfezione assoluta sia del luogo che dei suoi presupposti abitanti, la m.d.p. sceglie di non arrestarsi e di continuare il viaggio verso lo scantinato, oltrepassando la porta chiusa e raggiungendo infine il padrone di casa: tutto il movimento viene scandito con una musica gospel in ascesa man mano che ci si avvicina alla radio che la trasmette, fonte situata vicino al protagonista. L’ambiente è illuminato esclusivamente dalla luce artificiale dei neon, illuminazione che incide sulla perdita dell’illusione di perfezione instaurata nella prima parte della sequenza e che conferma a sua volta il nuovo risvolto negativo: il protagonista si gira verso una vasca contenente un cadavere, gli versa addosso l’acido preparato dinanzi ed il liquido scioglie istantaneamente il corpo lasciando solo lo scheletro. L’uomo, interpretato da George Wendt, si sta infatti costruendo autonomamente la famiglia perfetta che verrà in seguito disposta all’interno del salotto in cui rimane costantemente acceso lo schermo televisivo. La televisione diventa un vero e proprio collante sul cui schermo non si vedono solo i disegni animati ma anche i riflessi dei volti “scheletrici” disposti di fronte, apparentemente attenti al programma in onda ma al contempo fossilizzati davanti all’immagine. La televisione diventa una presenza costante anche all’interno della routine quotidiana tipica degli anni ’50 delineando un’interazione tra la realtà vissuta ed il programma mediatico: il mezzo televisivo diventa un ponte tra i due mondi che dapprima si cercava di tenere ben separati. Walt Disney entra "fisicamente" nelle case degli americani tramite la serie televisiva Disneyland Story, nata per presentare agli spettatori le attrazioni del neonato parco tematico. Il programma, inframmezzato da disegni animati, telefilm e documentari, è presentato da Walt Disney in persona nonché da due suoi personaggi, Tinker Bell e Peter Pan. La sua continua presenza sullo schermo gli darà il famoso appellativo Uncle Walt, sottolineando dunque il livello di familiarizzazione da lui ottenuto all’interno delle famiglie americane. Il nuovo “Zio d’America” cattura l’attenzione dello spettatore e “recluta” nuove forze, tanto da entrare a far parte della famiglia allargata, tipicamente disneyana, fatta di parenti acquisiti in cui i legami di sangue risultano essere secondari e non molto rilevanti ad un vero e proprio legame affettivo. L’estraneo è dunque già riuscito ad entrare in casa passando attraverso il mezzo mediatico: la sua presenza è continua e voluta, interrompe la quotidianità rituale ma allo stesso tempo la integra con un nuovo rito.

Note:
(1) Leave It to Beaver è una sitcom creata da Bob Mosher e Joe Connelly, 253 episodi, USA, 1957 –
1963.
(2) Cfr. l’intervista presente nei contenuti speciali del dvd di Lady and the Tramp. Andreas Deja è attualmente Supervising Animator ai Walt Disney Feature Animation.
(3) Cfr. ROGER SILVERSTONE, Televisione e vita quotidiana, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 113.
(4) M.CIMENT, L. VACHAUD (a cura di), Vincent, Beetlejuice, Edward et les autres, «Positif», n. 364,
Giugno 1991.

 


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