La nuova tendenza del film di guerra è quella di sfruttare al massimo le potenzialità offerte dall'impiego degli effetti speciali, per esaltare drammaticamente le scene di battaglia, con una ricerca del vero che sovente va a discapito della reale dimensione tragica dell'evento e a favore dello spettacolo fine a se stesso. Basti pensare a Salvate il soldato Ryan (1998) di Spielberg, Bravehearth (1995) di Mel Gibson e Pearl Harbour (2001) di Michael Bay, solo per citare alcuni degli esempi più eclatanti. Ma la guerra è soprattutto sofferenza e orrore. Per questo motivo Ermanno Olmi decide di affrontare in maniera del tutto personale gli ultimi giorni di vita di Joanni de' Medici (Hristo Jivkov), il comandante delle "bande nere", un manipolo di mercenari assoldato dallo Stato pontificio per frenare la spedizione dei Lanzichenecchi di Carlo V, capeggiata dal valoroso e anziano generale Zorzo Frundsberg.
Potrebbero rimanere delusi gli appassionati del genere. Infatti il regista, realizzatore anche della sceneggiatura, conduce un'operazione che intende decostruire totalmente lo stereotipo del personaggio in questione. Il valore e il coraggio del protagonista sono qualità che nel lontano cinquecento non portano alla fama e alla gloria, ma alla morte per tradimento. La sua unicità rende Joanni de' Medici un personaggio completamente solitario che affronta una campagna militare volta alla sofferenza e alla miseria. La consapevolezza dell'inutilità del suo agire quotidiano, lo rende ancora più meditabondo e introverso, ancora più passivo di fronte ad un destino che sembra segnato.
La guerra perde di significato. Poche sono le scene di vera battaglia e tutto sembra ridursi ad un aspettare e poi inseguire. Come se non bastasse il valore del guerriero, unica maniera per distinguersi nel momento in cui l'uomo torna alle leggi più brade e ferine, viene spazzato via dall'introduzione delle armi da fuoco, che pongono la distanza tra i soldati e apriranno una nuova epoca di confronti bellici sempre più terribili. Lo sguardo tra i due capitani, prima dello scontro finale, è unico ed eloquente. Da quel momento in poi ciò che essi rappresentavano sarà spazzato via a colpi di cannone (non è un caso che ambedue abbandoneranno per sempre – anche se per motivazioni differenti – il terreno di guerra).
Olmi pertanto ferma un momento, riprende il crepuscolo di un uomo e di un'epoca che si ripercuote anche nel paesaggio che avvolge, o meglio aggredisce, i personaggi di questa storia. Le lande desolate del ferrarese coperte di neve sono le locations allucinanti in cui si muove il protagonista; il tramonto e la notte predominano prepotentemente nello svolgimento del film. I dialoghi (che godono di una precisione filologica rara di questi tempi) sono ridotti ai minimi termini. La comunicazione avviene attraverso sguardi, brevi e fugaci gesti, ritualità dalle forti connotazioni. La parola sembra gradualmente bandita in una situazione in cui rimane ben poco da dire, e le poche frasi pronunciate manifestano tutta la loro vacuità. L'atmosfera è quella di una veglia funebre, la tensione verso la morte è al suo apogeo.
Olmi regala uno splendido affresco dell'Italia di quel tempo e, di conseguenza, delle nostre origini. Giocando sul palese richiamo dei contrasti cromatici propri del Caravaggio, aiutato dalla buona fotografia di Fabio Olmi e da una ricostruzione scenografica imponente, il regista bergamasco lavora come un artigiano sull'immagine che, non possedendo quasi per nulla la parola, acquista una forte autonomia semantica.
Se da una parte si deve fare un appunto al suono, che viene minato dal cast internazionale e pertanto soggiogato dal doppiaggio, dall'altra bisogna elogiare le musiche di Fabio Vacchi che accompagnano in maniera puntuale il percorso interiore del protagonista sottolineando i momenti più gravi e disperati.
Il mestiere delle armi, secondo film italiano in concorso a Cannes insieme a La stanza del figlio di Moretti, è quindi una pellicola intimista e drammatica, oscura e crepuscolare, basata sul silenzio e sulla contemplazione in chiara antitesi con certi modelli che provengono d'oltre oceano.
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