Ladri di cadaveri – Burke & Hare PDF 
Amon Rapp   

John Landis torna sul grande schermo, dopo ben dodici anni di assenza, ispirandosi ad un famoso fatto di cronaca che sdegnò l’opinione pubblica inglese nella prima metà dell’Ottocento. Per far fronte alla carenza di cadaveri, necessari alla pratica medica delle facoltà universitarie di Edimburgo, William Hare e Brendan Burke uccidono, tra il 1827 e il 1828, 17 persone, vendendone in seguito i corpi al Dr. Robert Knox, docente di anatomia alla Barclay School of Anatomy. Dall’inquietante vicenda degli assassini di West Port, già all’origine di un racconto di Robert Louis Stevenson, il cinema ha preso spunto diverse volte negli ultimi cinquant’anni, in primis per mano di Robert Wise e Val Lewton, che nel 1945 trassero da questa storia un horror oscuro e sotterraneo (The Body Snatcher), affidandosi al fascino diabolico di Boris Karloff.

A tutt’altro registro fa riferimento però l’ultimo film di John Landis, che nel fare propri i toni della commedia nera, si diverte a dipingere con spietata ironia il declino dei costumi da cui era afflitta la società inglese del XIX secolo. In Ladri di cadaveri William Hare e William Burke sono due sprovveduti imbroglioni che vivono di espedienti per sbarcare il lunario. Quando un loro vecchio affittuario muore d’infarto, i due amici colgono l’occasione per dare una svolta alla loro misera esistenza, rivendendone il cadavere al Dr. Knox, che da tempo è alla disperata ricerca di nuovi soggetti da dissezionare nel corso delle sue lezioni di anatomia. Le pressanti richieste del professore, votato sempre più al compimento di una memorabile impresa scientifica, per la quale è indispensabile un costante afflusso di corpi freschi, porteranno i due amici a considerare nuove fonti di approvvigionamento per il loro macabro commercio.

Con i suoi consueti toni farseschi, Landis trasforma due inqualificabili e ripugnanti individui in due maschere caricaturali, emblemi di una società annegata in un irrimediabile cinismo. In balia di un universo governato dalla sola legge del profitto, che cancella la riflessione etica sui mezzi per prendere in considerazione unicamente la realizzazione dei fini, Burke e Hare non sono altro che gli embrioni del capitalismo che di lì a poco si sarebbe diffuso in tutto il mondo occidentale, e per il quale la morte stessa non sarà altro che l’ennesima merce di scambio. Ma lo sguardo sarcastico del cineasta non risparmia neanche la scienza del tempo, ormai in procinto di sposare i metodi e le teorie della filosofia positivista. Sedotta dalle possibilità di un progresso illimitato, tanto da porsi al di là del bene e del male, la giovane medicina positiva sacrificava sull’altare del risultato qualsiasi considerazione di natura morale, dissolvendo così l’intima connessione che lega ogni scienza ad un orizzonte etico nel quale si trova ad agire e che essa stessa contribuisce a mutare con le sue scoperte e le sue invenzioni. Landis non esita infine ad aggiungere alla satira “epistemologica” e di costume acute riflessioni sulla natura dello spettacolo e delle sue illusioni, sul rapporto tra verità documentale e invenzione narrativa, sulla lotta costante tra essere e apparire.

Certo è che all’uscita dalla sala l’operazione non sembra essere pienamente riuscita. Il film è puntellato di ottime trovate, ed è percorso da un’ironia sferzante che non si affida quasi mai alla semplice battuta ad effetto, ma si costruisce progressivamente attorno a situazioni rocambolesche messe in scena con estrema perizia. Simon Pegg (William Burke) e Andy Serkis (William Hare) sono inoltre molto bravi a sfruttare una comicità di natura mimica e corporea, mettendo in campo tutta una serie di posture e di smorfie che tendono a caricare i volti e i gesti dei personaggi di passioni viscerali. Tuttavia, Ladri di cadaveri non riesce a sprigionare una spinta propulsiva tale da vitalizzare l'intero flusso narrativo. Gli amori e gli antagonismi presenti al suo interno non hanno il magnetismo necessario e sufficiente a generare una rete in cui lo spettatore possa rimanere impigliato. E così anche le prove attoriali dei due protagonisti rischiano di decadere in semplici ritratti bozzettistici che sfruttano gli stereotipi di genere, in particolare quelli della coppia comica, fatta di elementi opposti ma complementari, senza riuscire a reinventarli.

Il film insomma non è in grado di creare adeguate linee di forza capaci di tenere insieme il tessuto del racconto: e così la narrazione sembra sfaldarsi in eventi aleatori, di cui difficilmente si riesce a comprendere l’intrinseca necessità. Lontana dall’anarchia delle sue opere migliori, l’ultima fatica di John Landis si assesta al livello di una discreta commedia di costume, venata di uno spirito polemico che però non va quasi mai oltre il semplice divertissement.

TITOLO ORIGINALE: Burke and Hare; REGIA: John Landis; SCENEGGIATURA: Piers Ashworth, Nick Moorcroft; FOTOGRAFIA: John Mathieson; MONTAGGIO: Mark Everson; MUSICA: Joby Talbot; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 2010; DURATA: 91 min.

 


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