Revanche - Ti ucciderò PDF 
Nando Dessena   

Un tonfo, qualcosa di indefinito infrange lo specchio dell’acqua, che si increspa formando tanti cerchi quante sono le conseguenze delle nostre azioni. Dopo quasi due ore scopriamo che l’oggetto scagliato in un lago non è altro che una pistola. All’interno di tale ellissi temporale, il noir, le ragioni dell’odio e dell’amore, la vita, la morte, il cinema. Esistenze che si intrecciano e che consumano ossessivamente le rispettive brucianti passioni. Götz Spielmann muove il proprio sguardo tra il sordido squallore di una Vienna notturna, ai limiti della legalità, e la placida campagna circostante, dove il tempo vitale scorre lento ma inesorabile, scandito dal lavoro contadino. Due coppie: Alex (Johannes Krisch) e Tamara (Irina Potapenko), un piccolo delinquente e una prostituta ucraina immigrata, vivono la loro storia d’amore semiclandestina ingoiando il veleno dei compromessi che una relazione del genere inevitabilmente porta con sé, mentre il poliziotto Robert (Andreas Lust) e sua moglie Susan (Ursula Strauss) cercano di tirare a lucido la superficie di un matrimonio tutt’altro che perfetto, piegato dalla condanna della sterilità. Hausner (Johannes Thanheiser), il nonno di Alex,  è un vecchio sereno e disilluso che vive da solo nella sua magione in campagna nel ricordo della moglie scomparsa di recente e funge da mediatore tra i due mondi: quello tristemente inquieto di suo nipote e quello inquietantemente triste di Susan.

Nella migliore tradizione noir l’ambiguità dei caratteri diviene la marca caratteristica della pellicola mentre i sostenuti silenzi e la fotografia contemplativa di Martin Gschlacht sospendono ogni giudizio morale sui personaggi. Alex vorrebbe cambiare vita, vorrebbe un’esistenza pulita per sé e per la sua Tamara, e l’unico modo che questo antieroe riesce a trovare per riuscire a realizzare i propri piani è una rapina in una piccola banca. Il colpo riesce, ma mentre si allontana a bordo della sua auto con Tamara di fianco, un poliziotto lascia partire alcuni colpi, di cui uno va a segno e ferisce mortalmente la donna. Quel poliziotto è Robert. L’ironia beffarda del fato intreccia le esistenze parallele della guardia e del ladro, uomini innanzitutto: un poliziotto che scoprirà di non poter resistere all’ansia provocata dal senso di colpa per un omicidio, seppure accidentale, e il medesimo senso di colpa che schiaccerà il primordiale desiderio di vendetta di Alex. La passione carnale dei primi minuti, nei quali il corpo della Potapenko viene esibito in tutta la sua acerba freschezza, si riverbera a metà pellicola nei torbidi amplessi nei quali una Susan palesemente insoddisfatta coinvolge un Alex irrigidito dalla tragedia che perpetra in qualche modo la propria revanche, ingravidando la donna con il seme del proprio odio. Il seme del peccato, del tradimento, dell’adulterio, ma anche il seme della redenzione. Non avrebbe alcun senso un’ulteriore omicidio e forse non ha alcun senso cercare nell’uomo, responsabilità che sono in realtà del destino.

Götz Spielmann riflette in punta di penna sul fato e sulla miserrima condizione dell’essere umano nella società moderna, un essere farabutto e arrogante, come ricorda la citazione di Giungla d’asfalto. Lontano anni luce da una risoluzione consolatoria, Revanche porta fino in fondo un pessimismo ontologico, un’ambiguità morale che sta alla base del genere nero. La caccia al colpevole è quanto mai ardua se tutti sono colpevoli, se tutti siamo colpevoli. Siamo agli antipodi del giallo e totalmente assente è la volontà stessa di ristabilire uno status quo. Lo statuto costantemente e amaramente in progress della più dolente esistenza viene condensato da Spielmann in quasi due lente ore di rigorosa visione in cui ogni taglio di luce, in un espressionismo riaggiornato, contribuisce alla presa di coscienza del senso stesso del peccato. Affrancate dal classicismo chiaroscurale del poliziesco le immagini di Revanche appaiono ingombranti e, tuttavia, ogni dettaglio, ogni particolare perfettamente a fuoco e ogni nota mancata di una colonna sonora costruita sull’assenza contribuiscono al gioco della rivelazione di una verità che è difficile metabolizzare.

Spielmann sacrifica un intero film per spiegare l’incerto fotogramma in(d)iziale. L’unico mistero è la natura dell’oggetto che vediamo tuffarsi ed annegare: forse un sasso, forse una pistola, ma non solo. Il nostro stesso occhio viene scagliato giù nel lago, alla ricerca della verità, alla ricerca della natura stessa di quel male di vivere che sfiora costantemente il nostro quotidiano. Dalle concentriche e ipnotiche onde di un falsamente idilliaco locus amoenus, alle monotone geometrie disegnate da un tagliaerba e ancora ai taglienti spigoli di una periferia suburbana che ferisce i corpi e corrompe le anime, Revanche si palesa come un viaggio senza ritorno in quell’inferno che può essere l’universo umano. Lunghi silenzi accompagnano lo sguardo compassionevole di Götz Spielmann su un mondo di perdenti in cui sembra non esserci alcuno spazio per la felicità e tra il metallico incalzare di una sega elettrica e il sordo cadere dei ciocchi di legna da ardere, persino il malinconico suono di un’organetto sembra intonare le tristi note di una condanna.

TITOLO ORIGINALE: Revanche; REGIA: Götz Spielmann; SCENEGGIATURA: Götz Spielmann; FOTOGRAFIA: Martin Gschlacht; MONTAGGIO: Karina Ressler; PRODUZIONE: Austria; ANNO: 2008; DURATA: 121 min.

 


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