Nell'ultimo film di Marco Bechis il Garage Olimpo è storia passata, relegata all'origine di una vicenda ambientata ai giorni nostri, ma, non per questo, meno orribile. Tragico confronto/incontro tra carnefici e vittime, Figli-Hijos, si presenta già dal titolo come riflessione dicotomica sulla realtà in quanto doppia e bifronte (intrinsecamente ambigua perché contemporanea e inevitabilmente contraddittoria perché vissuta) che culmina nell'agghiacciante scoperta della dualità dell'esistenza e nell'acquisizione di una coscienza critica da parte del protagonista Javier.
Costante rimando/richiamo ad una doppiezza in quanto possibilità (persino dell'esistenza di due film ben distinti), la concezione del regista argentino si palesa, dunque, ad ogni livello dell'opera, frammentando la trama (aderente al punto di vista dei personaggi) in un avvicendarsi di enclavi riflessive e quasi autonome, cui affidare ciascuna un tema ed il relativo approfondimento.
Ad esempio quello della morale intesa come ragion di stato (equivalente e parallela all'insostenibile ritorno in famiglia di Javier destatosi dal torpore) e che l'ex tenente Raul tenta di chiarire quando si ritrova a pescare con il figlio: "Certe volte nella vita si fanno cose che possono sembrare sbagliate, però poi col tempo si capisce che c'era un proposito... e anche giusto. Io lo so che per te è difficile, però lo è stato anche per noi…"
Oppure la dicotomia Hijos versus Figli, Argentina (il passato) versus Italia (il presente): due alternativi e possibili stili di vita per due vittime della medesima tragedia, che, a causa di quel passato comune che ossessiona Rosa e di cui Javier non sa nulla, ad intervalli regolari si scontrano per poi riappacificarsi, conoscersi meglio. E, ancora, pellicola versus video come astratto versus concreto. L'artificio affabulatorio del cinema versus la continuità della ripresa e l'instabilità propria dell'immagine elettronica, come due realtà indispensabili l'una all'altra. Da una parte sceneggiatura, regia e illusione del movimento (ma anche scarsa caratterizzazione di luoghi e personaggi, che esaltano il generale a scapito del particolare) e dall'altra l'ormai innegabile autenticità (dopo le RealTV e il G8 di Genova) propria del video, che movimenti come il Dogma95 sfruttano per mascherare la finzione implicita nella settima arte.
La sensazione che si ha usciti dal cinema è anch'essa duplice, tanto che viene da chiedersi se l'autore sentisse davvero la necessità di comunicare qualcosa d'altro (anche proponendo un possibile seguito di Garage Olimpo), oppure avesse semplicemente bisogno di mettere un po' d'ordine tra tutto il materiale (personale e non) raccolto sul tema.
La forte empatia per i desaprecidos sia immaginari che, naturalmente, reali si confonde, dunque, con l'insoddisfazione per una sceneggiatura povera ed una regia eccessivamente discreta, alla mercé di questo paradossale vivere le colpe dei padri, siano essi individui o intere nazioni, che è il tema del film. Figli-Hijos rivela, insomma, la matrice minimalista del cinema di Marco Bechis il cui intento sembra essere quello di realizzare un cinema popolato di personaggi anonimi (con in comune il solo fatto di essere giovani vittime di una stessa tragedia) e volutamente spoglio, che trascenda il particolare della situazione descritta (fosse anche la sua esperienza personale) per farsi paradigma di ogni possibile oppressione perpetrata dall'uomo sull'uomo.
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