20 Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali - Panoramica PDF 
di Alessio Gradogna   

Si è svolta al Teatro Nuovo di Torino, dal 21 al 28 aprile, la ventesima edizione del Festival Internazionale di film con tematiche omossesuali, diretto da Giovanni Minerba. Un festival che nascendo come scommessa e sperimentazione ha saputo crescere negli anni fino a ergersi come imperdibile appuntamento nel calendario annuale torinese, per offrire nuovi sguardi sul cinema omosessuale e dare spazio a voci e volti troppo spessi soffocati dalle barriere ideologiche che ancora ne limitano la libertà d'espressione. Un festival coraggioso e apprezzabile, riconosciuto a livello internazionale, che ha dimostrato anche quest'anno di godere di ottima salute, facendo registrare un deciso incremento di affluenza da parte di un pubblico eterogeneo che ha quasi quotidianamente riempito le sale e che ha affollato il Teatro Nuovo dal primo all'ultimo giorno.

Hanno prestato la loro presenza personalità del mondo dello spettacolo come Platinette (madrina della cerimonia d'apertura), Fabio Canino e Vladimir Luxuria (conduttori della serata di chiusura), John Waters, Lea Pool, Serra Yilmaz (facente parte della giuria lungometraggi) e registi e attori da tutto il mondo. Serate festose e multicolori, atmosfera divertita e appassionata, e una ricca e variegata programmazione che ha saputo offrire cinema di ottima qualità. Retrospettive dedicate alla regista franco-canadese Lea Pool e al suddetto John Waters, il papa del Trash, che ha presentato in anteprima nazionale il suo nuovo e censuratissimo lavoro socio-demenziale, A Dirty Shame, un vero e proprio evento che in un'atmosfera da matinée anni '50 ha scatenato una folla entusiasta e adorante nei confronti del proprio beniamino. Altri omaggi e retrospettive sono stati dedicati a Marlon Brando (con la proiezione di Riflessi in un occhio d'oro di John Huston), alla casa di produzione Lucky Red (con titoli come Demoni e Dei di Bill Condon con un magistrale Ian McKellen, Happy Together di Wong Kar-wai, The Doom Generation di Gregg Araki e il bellissimo psico-dramma Perversioni Femminili, di Susan Streitfeld, purtroppo semi-sconosciuto in Italia) a Pier Paolo Pasolini e Laura Betti, a Giuni Russo, alla Sam Spiegel School e al nuovo cinema sperimentale francese. Un programma a dir poco composito e sfaccettato.

Le 4 categorie di film in concorso hanno presentato una qualità mediamente molto buona, e un'offerta di composizioni coraggiose, originali, capaci di porre in essere una lucida analisi dell'arte omosessuale scavata al suo interno per estrapolarne significazioni di volta in volta determinate e gioiose, disilluse e sofferte, immorali e tragiche, spesso innovative e raramente banali. Il primo premio è andato al thailandese Sud Pralad (Tropical Malady), di Apichatpong Weerasethakul, già onorato del premio della giuria allo scorso Festival di Cannes e sorprendentemente acquistato dai distributori italiani, storia di un amore sofferto, di una sparizione e di un inseguimento in cui realtà panica e leggenda si fondono sino ad incontrare il Mito. Meritato premio del pubblico per il canadese Ethan Mao, di Quentin Lee, ondeggiante tra mélo, dramma familiare e thriller polanskiano, imperfetto ma sincero e toccante. Non segnalati dalla giuria ma senz'altro lodevoli di segnalazione anche l'americano Poster Boy, di Zak Tucker, che tra politica e celebrazione dell'immagine come elemento fondante dell'odierna società sviluppa la ribellione di un figlio nei confronti di un padre affezionato solo a se stesso, l'inglese My Summer of Love, di Pawel Pawlikowki, educazione sentimentale saffica seducente e appassionante, sfiorata da influssi bergmaniani, in uscita a giugno nei cinema nostrani, e il francese Eros Therapie, di Daniel Dubroux, piacevole ibrido tra thriller e commedia. Grande scalpore (e in molti casi sdegno) ha destato invece Colour Blossoms, di Yonfan, Hong Kong, abbagliante e raffinato dal punto di vista stilistico, che gioca con l'eccesso ed esplora sadicamente le più alte vette della perversione (e della ridondanza). Il premio per il miglior cortometraggio è andato a Last Full Show, di Mark V. Reyes, dalle Filippine (ma il corto più bello a nostro giudizio è stato lo straziante 9:30, di Mun Chee Yong, Singapore); miglior documentario è risultato Gan, da Israele, miglior video il tedesco Anfanger ex-aequo con l'americano Dorian Blues. Unica nota dolente nell'insieme dei lavori proiettati in concorso, la pressoché totale mancanza di film italiani.

Vent'anni vissuti pericolosamente, come ama definirli Giovanni Minerba, vent'anni di successi e di giusti riconoscimenti, di film che cambiano la vita, come recita lo slogan della manifestazione, e una crescita costante nel tempo che sembra non avere alcuna voglia di arrestarsi. Giusto così. Il cinema omosessuale sprizza voglia di vita e grandi capacità dal punto di vista artistico, i temi trattati sono interessanti e importanti, l'organizzazione pur con qualche piccola e comprensibile pecca è sicuramente proficua ed efficace, e questo festival sta bene, benissimo, come pochi altri.

 


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