Incontro con Mario Martone PDF 
Anna Barison   

Da dove nasce l’idea di un affresco storico sul Risorgimento italiano e con quale spirito ha portato a termine questo progetto?
L’idea nasce nel 2001, in seguito al grave attentato delle Torri Gemelle a New York. Sono stati anni difficili, quelli del Risorgimento, di lotte e sogni infranti per molte persone. E allora mi sono chiesto com’è possibile che il nostro Paese, che ha così a lungo combattuto per la sua indipendenza, ora non abbia più voglia di combattere. Ecco quindi che questo film ha un forte rapporto con il presente: racconta vicende del Risorgimento, ma è un film sull’Italia di oggi, e sulle radici cui siamo ancorati. Non ho scritto la sceneggiatura pensando di fare un film sul passato, bensì sul presente. Tutto è nato nel tentativo di darmi delle risposte. Poi è cominciato il viaggio dentro la storia italiana dell’Ottocento, alla ricerca di quelle tracce che una certa rappresentazione retorica del nostro Risorgimento ha finito per seppellire.

Visto il periodo storico trattato, con quale approccio “stilistico” ha affrontato questa sfida?
Non volevo certi estetismi formali che spesso si vedono al cinema quando si trattano questi argomenti. Non è quello il cinema che mi interessa, e credo che questo film sia stato realizzato con uno stile molto simile a quello dei miei film precedenti. La mia grande fonte è Rossellini, sia per il modo in cui ha utilizzato la Storia al cinema sia per come l’ha filmata. Non ho mai sentito il bisogno di alludere ad uno stile “moderno” per modernizzare la vicenda. Il mio scopo era fare in modo che il cinema si concatenasse e si snodasse attraverso il respiro narrativo.

Chi sono i protagonisti del suo film?
La pellicola è profondamente maschile, una storia di giovani che diventano uomini. Eppure mi sembrava importante individuare un personaggio femminile, ma non volevo che fosse madre, figlia, sorella o fidanzata. Volevo che avesse un’idea politica forte, con un rapporto dialettico con gli uomini. Mi sono imbattuto nel personaggio di Cristina di Belgioioso, e dai suoi scritti ho tratto molti dialoghi del film. La sua visione era molto avanzata. Mentre i tre protagonisti principali, Domenico, Angelo e Salvatore, incarnano modi profondamente diversi di vivere l’esperienza della clandestinità, della cospirazione e della lotta armata, modi che ancora oggi è possibile cogliere intorno a noi, se non ci si limita ad appiattire problemi enormi come quello dell’indipendenza dei popoli su uno schema superficiale. La loro storia ha per sfondo la tormentata nascita dello stato italiano, le scelte di un paese eternamente diviso in due (allora tra monarchici e repubblicani), il contrasto dilaniante tra azione e disillusione che segna da allora, come un pendolo amaro, ogni fase della nostra storia. Guardando le radici della nazione italiana si scorgono molte cose della pianta che è poi cresciuta.

Per la sceneggiatura vi siete liberamente ispirati non solo a vicende storiche, ma anche al romanzo di Anna Banti Noi credevamo. Poi come avete proceduto?
Abbiamo individuato con Giancarlo De Cataldo tre figure “minori” tra i cospiratori italiani dell’Ottocento e abbiamo attribuito le loro vicende a tre personaggi di nostra immaginazione. Intorno a queste vicende abbiamo quindi costruito l’intera impalcatura del racconto, composta di fatti, comportamenti e parole attinti rigorosamente dalla documentazione storiografica. Uno dei tre personaggi si ispira al protagonista del romanzo in cui Anna Banti racconta la storia del suo nonno cospiratore, Noi credevamo. Solo una parte di questo libro confluisce nel film, ma il titolo mi è apparso bellissimo e adatto per l’insieme del racconto.

Un film che esce nelle sale dopo una lunga genesi. Qual è la sua speranza?
In Italia nel 2011 ricorrerà il 150esimo anniversario dell’unità, un tema oggi cruciale e molto discusso. Noi credevamo tratta di alcuni aspetti della lotta che si è combattuta per realizzare questa unità. L’ho immaginato sette anni fa e non avrei mai creduto che la sua realizzazione avrebbe necessitato di tempi così lunghi. In tanti vi abbiamo lavorato ostinatamente per anni: ora che il viaggio è approdato fatalmente a questa data, passando prima per la Mostra di Venezia, città simbolo di quella lotta, non possiamo che esserne felici.

 


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