Yattaman PDF 
Fabio Fulfaro   

Tra il variegato mondo degli anime giapponesi, Yattaman si può considerare un prodotto “sui generis”, poiché tende a distaccarsi dalle linee standard inserendo numerosi elementi di ironia sul genere al confine con l'autoparodia. Uscito in Giappone nel 1977 (produzione Tatsunoko della serie Time Bokan), ebbe subito un notevole successo (la prima serie di 108 episodi si completò nel 1979) e venne importato in Italia nel 1983 da Rete4 per poi proliferare nelle varie televisioni locali. Pur nella solita contrapposizione tra buoni e cattivi, il cartone Yattaman inserisce delle varianti sul tema alquanto originali: i buoni (Yattaman 1 e Yattaman 2 con l’aiuto della giovane Shoko Kaieda) sembrano prevalere sui cattivi (il trio Drombo costituito dalla sensuale Miss Dronio e dagli aiutanti Boyakki e Tonzula) più per dabbenaggine di quest'ultimi che per meriti di guerra. E in più, tra i due gruppi, non vi è una separazione manichea condita da particolari risvolti psicologici: Yattaman 1 subisce il fascino di Miss Dronio e anche di Shoko; Yattaman 2 si lascia rodere dalla gelosia ma alla fine aiuta Miss Dronio; quest'ultima, sotto la lingerie rossa e nera, nasconde un banalissimo sogno di una vita normale in bianco vestito da sposa; Boyakki sogna di possedere Miss Dronio ma nel frattempo subisce il sadismo di quest'ultima per un'evidente perversione masochistica. Insomma c'è talmente tanto materiale che riusciva difficile pensare ad un film che rispettasse il senso originale dell'animazione e nello stesso tempo si astraesse dai confini del bozzetto fumettistico. Quale regista avrebbe potuto compiere questa operazione di assemblaggio senza fare collassare la struttura narrativa del film? Solo un regista camaleontico, proteiforme, caleidoscopico come Takashi Miike.

Takashi Miike, classe 1960, 83 titoli all'attivo con una media di 4 film l'anno, è ormai diventato un regista di culto, sia che si occupi di film per il mercato home video, sia che rivoluzioni il genere yakuza horror o western ipertrofizzando le scene di violenza fino a farle diventare grottesche, sia che si rivolga ai bambini (ma non solo) con film tratti da manga o anime come Zebraman (2004) o La guerra dei fantasmi (2005). Yattaman (2009), presentato per la prima volta in Italia al Far East Film Festival di Udine nel 2009 e distribuito in pochissime copie dalla Officine UBU (Milano), si inserisce proprio in questo filone di ispirazione fumettistica dove prevale l'aspetto ironico e grottesco rispetto alla violenza splatter e alla drammatizzazione surreale. Lo stile di Miike rimane però riconoscibile: montaggio orgasmatico, piani sequenza acrobatici, ellissi spiazzanti, cura del particolare nelle scenografie e nei costumi, ipercromatismi e amplificazioni sonore, stile da videoclip con musiche aderenti (i balletti di Yatta 1 e 2 e del trio Drombo sono irresistibili), sottili allusioni alla sessualità (i robot sono conformati secondo le pulsioni sessuali dei loro creatori).

Il primo livello di lettura riflette la superficie coloratissima del fumetto di riferimento con rispetto degli equilibri tra i personaggi principali. I 108 episodi della prima serie vengono ben condensati in 111 minuti di invenzioni e fantasie sfrenate. Ai costumi degli Yattaman e del trio Drombo fanno da contrappeso i vari robot, dal piccolo svolazzante Robbie-Robbie ai megalomani YattaCan e YattaKing, costruiti in dimensione reale (cinque metri e mezzo!) per rispettare le proporzioni con le figure umane. A questa dimensione stroboscopica che richiama il rutilante mondo dei cartoni animati giapponesi si accompagna la varietà dei luoghi rappresentati, che dalla realtà si trasformano in mito. Con l'aiuto della computer graphics, L'Ogitto, le Valpi Orientali, la Narvegia e la città di Tokioyo diventano “altri” luoghi, pur mantenendo parte delle caratteristiche di riferimento. E quando le pietre Dokrostone si uniscono, gran parte di questi simboli si volatilizza nel nulla, compreso il vulcano Fujijama e il Rainbow Bridge. Le invenzioni sono continue e le truffe organizzate dal trio Drombo sono davvero esilaranti, sia che si tratti di piazzare dei vestiti da sposa a 100000 yen sia che si tratti di vendere piatti prelibati a base di sushi oversize. La raccolta di fondi serve a sovvenzionare il malefico scalcinato trio per la costruzione di altri due potenti robot, Vergin Roader e il Seppiolone, dopo la maldestra autodistruzione del Friggitore. In realtà i buoni e i cattivi potranno unire le loro forze contro il folle piano di Dokrobei, il Dio dei Ladri, una creatura aliena che cerca il potere delle Pietre Magiche per ritornare nella lontana galassia che lo ha partorito.

Ma chi conosce la filmografia di Miike non può fermarsi a questa superficie apparente di interpretazione. Tutti i personaggi del regista giapponese vivono un profondo dissidio tra il loro mondo interiore e il rapporto con le persone che li circondano: la solitudine immensa dei protagonisti di Audition, il rapporto sadomasochistico che pervade la contrapposizione tra Ichi e Kakihara in Ichi The Killer, la dislocazione e l'alienazione del poliziotto Jojima e dello yakuza Ryuichi in Dead or Alive. Tutti questi personaggi sono fuori luogo, fuori tempo, fuori contesto. La contaminazione del “tocco Miike”, in ogni genere affrontato, è caratterizzato da due peculiarità: l'empatia verso i destini travagliati e tortuosi dei personaggi (siano essi buoni o cattivi) e l'ipertrofizzazione del rapporto azione/reazione. Ogni gesto dei protagonisti sembra innescare una reazione a catena dalle conseguenze disastrosamente imprevedibili, come bastasse una semplice anomalia a far saltare tutto il Sistema. Tutto questo viene smorzato di tono nella rappresentazione di Yattaman, ma è comunque presente. Qui si innesta il secondo livello di lettura: il lato grottesco e sarcastico prende il sopravvento e Miike sorride sornione sul mistero buffo di questi esseri umani che combattono fra loro fino allo stremo delle forze aumentando l’entropia dell’universo. Punta il dito contro il mondo consumistico e si scatena nel rappresentare la fiera delle vanità dei venditori di fumo. Nel mondo dell’apparenza la farsa della rappresentazione è tutto: il pubblico urlante si accalca con gli yen in mano per comprare l’ultimo modello del vestito da sposa o il piatto prelibato, vittima del furore cieco pubblicitario, dei propri condizionamenti mentali. E ancora la sessualità, che in film come Dead or Alive esplode in tutta la sua violenta perversione, qui striscia in maniera intelligentemente subdola sui vestiti discinti di Miss Dronio, sulla bava lussuriosa di Boyakki, sul gesto di Yatta 1 che succhia il veleno dello scorpione dalla coscia di Shoko, nel bacio involontario tra Miss Dronio e Yattaman, e arriva perfino a coinvolgere i robot antropomorfizzati. Lo scontro tra YattaCan e la Vergin Roader si risolve in un amplesso meccanico con esplosione finale tra scintille e spruzzi di fiamme, tra capezzoli fumanti ipertrofici e bollori ormonali.

Le anime perdute di Miike lottano, si agitano e alla fine si rendono conto di essere sovrastate da forze più grandi di loro. Shoko è alla ricerca della figura paterna, di un'autorità (come gran parte dei personaggi della sterminata filmografia di Miike), e la ritrova proprio scavando dietro la maschera vertiginosa e diabolica del Dio dei Ladri, accettando la contemporanea presenza del Bene e del Male. Il trio Drombo sembra alla fine separarsi in maniera malinconica, ma le strade sono comunque destinate a riunirsi. Miike lascia trasparire l'essenza dei personaggi nei loro sogni: quello feticista di Boyakki attorniato da giovani liceali, quello guerriero di Tonzula che si immagina campione di wrestling (con appropriati inserti animati), quello casalingo di Miss Dronio che si rivede moglie in attesa del suo primo bambino. Nel frattempo Dokrobei  (ma la sua vera natura verrà alla fine svelata con cocente delusione del trio Drombo, che lo venerava come una divinità) spia Miss Dronio nella sua stanza da bagno “rosa glamour” modello Lady Gaga e maschera la sua perversione voyeuristica con punizioni sadiche. A differenze delle pellicole di Miike “for adults only” niente sangue, niente violenza ipeeresposta, niente ondate di liquidi organici od escrementi, niente macchie di sperma da cui emergono titoli di film, niente budella sparpagliate ai quattro lati della stanza, niente cocaina in piste chilometriche, niente incesti o torture interminabili, niente sodomizzazioni in bagni pubblici, niente uomini ridotti ad animali feroci pronti a divorarsi. Solo qualche conato di vomito e qualche caviglia disarticolata. Il massimo del rappresentato lo raggiungiamo nel momento in cui Dokrobei fagocita il padre di Shoko, Dr. Kaieda, per poi farlo rispuntare dalla propria calotta cranica. Se si pensa a Gozu o a Izo, bazzecole, pure quisquilie. Dalla psicosi schizofrenica al semplice sviluppo di personalità borderline. Dal delirio allucinatorio a una più rassicurante ipertrofia sensoriale.

Che Miike sia un fan degli Yattaman lo si avverte subito dalla particolare empatia con cui segue tutti i personaggi del film. Quell'epilogo dopo i titoli di coda tradisce il desiderio infantile che il gioco sia infinito e ci sia una nuova puntata della serie ad aspettarci. E questo prolungare le aspettative e i sogni dello spettatore-regista ricorda indirettamente certe resistenze di alcuni personaggi a passare all'altro mondo, come nel finale di Dead or Alive, dove il duello dei due protagonisti, lungi dall'esaurirsi con l'eliminazione fisica, innesca una catastrofe nucleare mondiale. Il cinema di Takashi Miike è proprio così, strabordante, grottesco, violento, perverso ma con una sotterranea linea di solitudine e di malinconia che vede la sua origine proprio nei territori incontaminati dell'infanzia. Questa complessa varietà di correnti sotterranee che si oppongono a quelle superficiali è insieme il fascino e l'attrazione del cinema contaminato e contaminante del regista giapponese, già frettolosamente identificato dalla critica ufficiale come  il “Tarantino d'Oriente”. Basterebbero la prolificità dell'autore e le evidenti pulsioni “passive-aggressive” per meglio definirlo il Fassbinder d'Oriente.

In realtà da un regista che è capace di sodomizzare i suoi personaggi e nello stesso tempo di abbracciarli teneramente nelle loro impotenze e nella loro fanciullesca autoeliminazione dal mondo non possiamo che aspettarci un registro tematico a 360 gradi che fa inserire opere come Yattaman proprio nel filone della riscoperta ludica di un passato in cui gli occhi di un bambino sono ancora stupefatti dai colori e rumori del mondo. Dove il sesso è un po' un mistero buffo e a volte fa arrossire le gote dall'imbarazzo. Dove si respira a pieni polmoni l'infantile gioia di esistere e dove gli eroi possono ancora combattere il Male e salvare l'Umanità. Prima che il Mondo ci uccida facendoci vertiginosamente crescere e perdere ogni traccia di parvenza umana.

Riferimenti bibliografici
Dario Tomasi (a cura di), Anime Perdute - Il cinema di Takashi Miike, Il Castoro cinema, 2006.

 


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