Con Il sole Sokurov chiude la trilogia in cui ha ricostruito una porzione di storia recente puntando l'obiettivo su alcuni personaggi emblematici, Hitler, Lenin, e ora Hirohito. La sua scelta estrema e anticonvenzionale da autore rappresenta un punto di vista radicale che prevede una sostanziale astrazione dei personaggi storici dalla storia del loro tempo e il loro isolamento in microcosmi volutamente claustrofobici. Ciò che maggiormente interessa il regista infatti è poter mettere sotto la lente di ingrandimento le personalità e le caratteristiche umane di questi uomini. Niente scenari epici e grandiosi quindi, niente affreschi di un'epoca, niente scene di massa, il discorso de Il sole è fatto di interni, di una fotografia cupa e scialba, di inquadrature chiuse su se stesse, di dialoghi essenziali, di dettagli messi in evidenza. E questo solo per parlare di un primo livello di lettura, quello che dichiara il rapporto del regista con il tema storico.
La guerra entra nel film attraverso brevi flash come le parole di un notiziario alla radio, i racconti drammatici ed esaltati dei capi militari, le immagini di Tokyo rasa al suolo dai bombardamenti. Ma, data la centralità del protagonista, già dalle prime sequenze del film, questi echi di guerra che vengono dall'esterno si connotano esclusivamente per quello che comportano nella vita di Hirohito, per ciò che sono in grado di suscitare in lui. Se poi si considera il personaggio Hirohito di per sé, si nota che a Sokurov interessa indagare in modo minuzioso e pedante il comportamento, il carattere, i tic e le passioni dell'imperatore, nell'ambiente chiuso e ovattato del bunker in cui si è rifugiato, e ancora di più quanto la sua personalità sia sacrificata dal rigido cerimoniale, quanto sia prigioniera del ruolo politico e pubblico a cui la sua nascita lo ha destinato, cioè essere considerato una creatura divina.
Gli interni opachi dell'appartamento dell'imperatore, l'austerità dell'arredamento, la scarsa luce che filtra dalla finestre, il ritmo lento del montaggio, la musica solenne, il taglio delle inquadrature, che rende opprimenti e angusti gli spazi in cui si svolge la maggior parte del film, riflettono l'interiorità di un uomo che vive con disagio e sofferenza tutta repressa sia la sua condizione di imperatore, sia la responsabilità di aver guidato il suo popolo verso la guerra. Dopo una prima parte che è una sorta di prologo che presenta il personaggio, nella seconda si sviluppa il rapporto di Hirohito con la guerra e la difficoltà delle decisioni da prendere per il Giappone. Il protagonista appare ancora più isolato nel suo rifugio-bozzolo quando, superata la mitologia del guerriero che si sacrifica per il capo a cui il popolo è ancora molto legato, e guardando oltre il presente suo e del suo paese, è in grado di rielaborare ciò che ha capito della guerra e della sorte del Giappone, nei versi che compone e nella lettera al figlio. Così, paradossalmente, tanto più Hirohito è lontano dal campo di battaglia, tanto più invece è appropriata, lucida e calzante la sua analisi della realtà, che lo porta a decidere la resa, incomprensibile per molti giapponesi, e tagli drastici con il passato, quei cambiamenti cioè che daranno una svolta radicale alla storia del Giappone, come la rinuncia alla natura divina dell'imperatore. Questa svolta risulta ad oggi non ancora completamente metabolizzata dal popolo giapponese, visto che il film incontra difficoltà ad essere distribuito in Giappone proprio per il tema trattato.
Nella terza e ultima parte de Il sole si verifica poi una sorta di liberazione per Hirohito, prende l'avvio una nuova fase della sua vita, la luce delle inquadrature è finalmente più chiara e diffusa: dopo la resa esce all'aperto, in quanto accetta di farsi fotografare e di presentarsi come una macchietta agli americani che lo paragonano a Chaplin, incontra il generale MacArthur da cui può ricavare la risposta a molte curiosità, rivede la moglie e i figli in un finale che attribuisce una maggiore spontaneità e libertà ai rapporti con la famiglia da parte dell'imperatore. Di nuovo Hirohito, nell'ottica di Sokurov, è al centro di un paradosso: proprio quando è prigioniero dei nemici, ha finalmente l'occasione di esprimersi, di lasciar emergere il suo carattere e i suoi gusti, al di fuori del cerimoniale. Quanto interessino a Sokurov gli uomini che fanno la storia, più che la Storia, lo dimostra ancora l'entrata in scena di MacArthur: emblema del nemico, rappresentante di una cultura, di un popolo, di un costume che non potrebbero essere più diversi da quelli nipponici.
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