61 Concorso Internazionale di Locarno: cultura e sentimento PDF 
Matteo Demichelis   

ImageSe “fare” cultura vuol dire incidere la realtà alla ricerca incessante di nuovi significati, la selezione 2008 del festival di Locarno ha realizzato pienamente, con il suo sessantunesimo concorso internazionale, un progetto culturale forte. E lo ha compiuto con coraggio soffermandosi intorno ad un cinema disperso, visto che nella maggior parte dei casi ci siamo trovati di fronte a produzioni geograficamente lontane o ad autori esordienti. Ma non per questo i giovani registi sono stati meno prodighi di emozioni; al contrario, hanno ripagato con generosità quella sorta di apnea che si prova nell’immergersi in un festival di perfetti sconosciuti. Diciotto i film in gara provenienti da diciassette nazioni: Polonia, Corea, Perù, Olanda, Irlanda, Inghilterra, Cina, Italia, Austria, Francia, Messico, Turchia, Portogallo, Russia, Canada, Svizzera, Germania. In ognuno di essi non si è raccontato nulla di terribilmente straordinario, anzi le storie, il più delle volte, sono in presa diretta con la quotidianità, ma hanno il merito di offrire uno sguardo interno che diventa penetrante nel momento in cui si allarga all’intera società di un Paese. Si può dire che sia stata questa la ricorrenza tra i registi qui presenti con un’opera prima, ma anche tra i non esordienti, tale da lasciare intravedere un preciso intento del concorso, l’ultimo del direttore artistico Fréderic Maire, che lascerà il posto per andare a dirigere la cineteca svizzera. Tra i giurati con il compito di assegnare i premi della competizione, i Pardi, figuravano Paolo Sorrentino e Bertha Navarro, la produttrice messicana di Guillermo del Toro.

ImageDioses, di Josuè Mendez, registra la quotidianità patinata degli adolescenti dell’alta borghesia peruviana, isolata nel proprio lusso dal resto della popolazione. Protagonisti i due giovani rampolli di un ricco industriale di Lima che vivono senza punti di riferimento, trascorrendo i pomeriggi in stato catatonico mentre si muovono sullo sfondo uno stuolo di servitori, domestiche, baby sitter, connazionali che sembrano atterrati da un altro pianeta, ma che ci portano alla scoperta dell’altro volto del Perù. Quando il giovane erede dell’industriale scappa di casa e prende un mezzo pubblico per dirigersi nel quartiere povero in cui vive la nutrice di famiglia, nonché madre vicaria, delle lunghe inquadrature scavano sui volti dei passeggeri e preparano il terreno ad uno sguardo che si deve ripulire. Dopo averlo visto esordire e vincere il premio più importante alla Festa di Roma nel 2006, è ritornato in concorso il regista russo Kirill Serebrennikov con il suo secondo lungometraggio, Yuriev Den. Un’opera visivamente appagante, densa nei suoi affondi dentro le viscere maleodoranti della società russa, che mira alla riscoperta della fratellanza come valore fondante della vita. Forte dell’interpretazione di Kseniya Rappoport (scoperta da Tornatore con La sconosciuta), qui nel ruolo di una cantante d’opera di fama internazionale dedita esclusivamente alla carriera, è la storia della sparizione inspiegabile di un figlio e del cambiamento interiore di una madre verso uno stadio di umanità più caritatevole. Impressionano le missioni umanitarie della donna all’interno di un carcere dove l’incuranza dell’istituzione degrada i detenuti al punto da trasformarli alla stregua di bestie sanguinarie. Una tensione metafisica impregna le immagini, girate con la mdp molto libera e vicina ai soggetti, ma anche qui, come nella precedente opera d'esordio, l'eccessiva lunghezza di alcune sequenze costituisce un difetto.

ImageUn interrogarsi sull’etica delle azioni nel campo del commercio e più in generale nell’economia capitalista, è il tema del riuscitissimo film inglese di Ben Hopkins, The Market – A tale of trade. Ambientato in Turchia dell’est e Azerbaigian, il giovane padre di famiglia Mihram e uno zio piacevolmente sgangherato cercano di ricavare la somma necessaria per poter avviare un’attività autonoma acquistando oltreconfine i medicinali necessari per un ospedale. Suo malgrado, Mihram si trova invischiato in azioni che vanno contro la sua etica di buon musulmano, sebbene possano risollevare la propria famiglia dalla povertà più assoluta. Meritato il premio come migliore attore a Tayanç Ayaydin, interprete del protagonista turco. Il film dell’italiano Federico Bondi, Mar Nero, invece, è riuscito ad esplorare con finezza i rapporti tra un’anziana signora malata e la sua badante romena. La coabitazione forzata delle due donne finisce per unirle dopo un periodo burrascoso di scoperta reciproca e di quella diffidenza di fondo verso gli stranieri che ben rispecchia l’Italia moderna. La complicità tra donne sole le porterà ad intraprendere insieme un viaggio in Romania, alla ricerca del compagno della ragazza divenuto irreperibile. Al di là delle possibili critiche di buonismo, orecchiate all’uscita della sala, pare piuttosto che si sia scelto di raccontare, per di più da un’esperienza personale del regista, il felice superamento di quella discriminazione superficiale che accompagna puntualmente il difficile rapporto con l’alterità. Ilaria Occhini ha ben figurato nel ruolo dell’anziana scorbutica che le è valso il Pardo per la migliore interpretazione femminile.

ImageUn grande divertimento è venuto dalla Corea con la commedia Daytime Drinking, un road-movie girato in video e quasi completamente in esterni a causa del ridottissimo budget. Funziona bene l’ironia praticamente muta di un giovane, reduce da una disastrosa relazione amorosa, che vaga per le campagne coreane incapace di prendere decisioni e facendosi travolgere dagli incontri con coetani nullafacenti. Tutti sembrano disadattati, e si ride parecchio di questi personaggi borderline nei vari incontri perennemente innaffiati dal soju, l’alcol coreano. Alla lunga, però, le dinamiche si ripetono e viene così un po’ a scemare l’entusiasmo iniziale. Un'altra commedia, più sofisticata e amara, con un cameo dell’attrice francese Bulle Ogier, proviene dalla Svizzera. Nella fotografia in bianco e nero ammiccante alla cinefilia che pervade il film, Un autre homme si divide tra le distese di neve della Vallée de Joux, nelle montagne svizzere, e gli eleganti ambienti giornalistici di Losanna. È la doppia vita di François, cronista insoddisfatto di un quotidiano locale che si scopre cinefilo dopo aver ricevuto l’incarico di scrivere le recensioni dell’unica sala cinematografica del villaggio. Ben presto, la solitudine del suo rinnovato ardore intellettuale lo allontanerà dalla fidanzata per portarlo alla volta di Losanna, in occasione delle proiezioni riservate alla stampa. Il tradimento con una seducente e influente giornalista innesca in François un rapporto di completa dipendenza, anche sessuale, dal potere. È un film sul desiderio di piacere, in cui i dialoghi e l’ottima interpretazione dell’attrice svizzera Natacha Koutchoumov, nei panni dell’avvenente giornalista, sono molto ben limati. Non convince invece, pur nella bellissima fotografia, il film portoghese Un amor de perdição dell’attore Màrio Barroso, qui al suo secondo lavoro da regista. Il film è completamente incentrato sull’autodistruzione di un giovane che persevera nel suo amore per la figlia del peggior nemico del padre, bollata da tutti come pazza. E nella sua ossessione il film finisce per diventare monodimensionale, la messa in scena di un’ineluttabile tragedia che ben presto si sente artefatta e pilotata a tavolino.

ImageNon deve essere stato un compito facile per la giuria assegnare il Pardo d’oro, vista la qualità della selezione. Il massimo riconoscimento è andato al messicano Parque Via dell’esordiente Enrique Rivero, un’opera che ben rispecchia lo spirito di questo festival. La storia (vera) di Beto, il guardiano di una lussuosa villa disabitata di Città del Messico, è il pretesto per guardare con la giusta distanza quello che succede nella capitale, descritta quotidianamente dai media con la violenza estrema dei fatti di sangue. La villa diventa così il rifugio sicuro del vecchio che esce sporadicamente, ma che si confronta con la classe sociale opposta attraverso le visite della facoltosa padrona di casa, con cui intrattiene un rapporto di rispetto e di obbedienza incondizionata. La proprietà viene messa in vendita e Beto si troverà a dover scegliere se uscire dal suo guscio o trovare un altro modo di rimanere protetto.

 


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