Il quarantenne Lucas (Mad Mikkelesen, premiato a Cannes) ha un divorzio alle spalle e insegna nell'asilo di una piccola cittadina danese. È un uomo gentile e stimato, adorato dai bambini e dagli amici con cui fa baldoria e va a caccia. Quando la piccola Klara, figlia (trascurata) del suo migliore amico, gli si affeziona un po' troppo e comincia a trattarlo come un genitore, Lucas cerca di ristabilire le distanze.
Spinta dal risentimento, la bambina inventa una storia confusa ispirata dalla visione casuale di un film hard. I fatti non vengono verificati e Lucas viene accusato di pedofilia. In un rapido crescendo di assurdità kafkiana l'uomo perde tutto: il lavoro, gli amici, il rispetto e la fiducia degli altri. Benché innocente, nell'isteria collettiva che lo dipinge come un mostro, diventa oggetto di una violenza cieca e incontrollata da parte di chi lo considerava un amico fraterno. Alla comunità, del resto, fa comodo accanirsi contro un un capro espiatorio per allontanare spettri scomodi per la morale borghese, non ultimo il senso di colpa per non aver saputo proteggere una bambina da un trauma inesistente. I bambini, si sa, non mentono mai. Perfino quando la presunta vittima ammette la verità, confessando la bugia, tutti preferiscono andare avanti con la caccia all'uomo. Questo processo di autosuggestione ipocrita (il fratello che si intenerisce di fronte alla fragilità infantile di Klara, anche se è stato lui a mostrarle incautamente il film per adulti) finisce per coinvolgere la stessa bambina, che alla fine non ricorda se ha mentito o meno.
Il danese Vinterberg, co-autore del manifesto Dogma 95 assieme Von Trier, dispiega una lucida analisi della modalità “virale” con cui può venire distrutta una reputazione. Più che un film sulla pedofilia (tema già affrontato in Festen), Il sospetto è una riflessione tagliente sulla cosiddetta società civile, in cui l'inclusione e l'esclusione sono regolate da norme terribili e bestiali e da scoppi di violenza irrazionale. Ancora una volta, il titolo italiano è fuorviante: a più livelli, è la “caccia” del titolo originale il vero filo conduttore dell'opera (non a caso, la casa di Theo, padre di Klara e amico di infanzia di Lucas, è costellata di trofei di caccia imbalsamati). Se da un lato la caccia è l'attività iniziatica che rinsalda i vincoli di cameratismo maschile nella comunità, allo stesso tempo diventa simbolo di un istinto ferino e atavico che trasforma gli uomini in feroci predatori. Oppure in cervi inermi. Intenso, feroce, da mozzare il fiato.
Titolo originale: Jagten; Regia: Thomas Vinterberg; Sceneggiatura: Tobias Lindholm, Thomas Vinterberg; Fotografia: Charlotte Bruus Christensen; Montaggio: Janus Billeskov Jansen, Anne Østerud; Scenografia: Torben Stig Nielsen; Costumi: Manon Rasmussen; Musiche: Nikolaj Egelund; Produzione: Film i Väst, Zentropa Entertainments; Distribuzione: BIM; Durata: 115 min.; Origine: Danimarca, 2012
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