Ci sono voluti più di vent’anni, ma finalmente è arrivato. Il mio vicino Totoro, film d’animazione prodotto dallo studio Ghibli nel 1988, per la regia di Hayao Miyazaki, è uscito nelle sale italiane il 18 settembre scorso, distribuito dalla Lucky Red. Un film che conquista sin dalle prime immagini.
Satsuki e Mei, due sorelle di undici e quattro anni, si trasferiscono col padre in un villaggio di campagna: vanno a vivere in una casa logora, ma affascinante. Completamente immersa nel verde e organizzata su due piani, sarà, per le due bambine, il luogo privilegiato dei loro primi incontri con il magico. Il sottotetto, infatti, è infestato da piccoli animaletti neri che si muovono in velocissimi stormi, una specie di spiritelli della fuliggine che, fuggiti via, lasciano sulla pelle, come unica traccia, uno strato di polvere nera simile al carbone. Ma la paura, al cospetto di queste prime apparizioni fantasmatiche, viene presto sostituita nelle due sorelle da una forma allegra di curiosità, tanto che lo spettatore, insieme a loro, è presto coinvolto in quell’atmosfera di magia buona e luminosa che fa da sottofondo al film. Piene di luce, del resto, sono anche le immagini del piccolo villaggio rurale, in cui i rapporti umani sono all’insegna della cordialità, con quella particolare qualità atmosferica che ne esalta, allo stesso tempo, forme e colori.
Tra gli abitanti del posto e i nuovi arrivati farà da tramite un’anziana vicina, che si prenderà subito cura delle due bambine, almeno fino a quando la loro madre non verrà dimessa dall’ospedale in cui è ricoverata sin dall’inizio della storia. Il carattere vivace della piccola Mei e il senso di responsabilità della sorella più grande costituiranno i tratti psicologici essenziali nella costruzione dei personaggi, oltre ad essere i due poli narrativi di partenza da cui si diramerà l’intera storia. Mei, infatti, sfuggendo più volte al controllo ora del padre – figura onnipresente e drammaturgicamente essenziale –, ora della sorella, finirà per cacciarsi in una serie di guai e di strani incontri che muoveranno i fili della storia, tra cui, quello con un enorme troll grigio, diventato poi una delle mascotte storiche dello Studio Ghibli: Totoro, appunto.
Da quel momento in poi, il grosso albero in cima alla collina in cui Totoro vive diventerà uno dei luoghi chiave della storia: nascosto, segreto, raggiungibile soltanto attraverso uno stretto sentiero che risale attraverso il fitto degli alberi. Solo le bambine riescono a vedere Totoro, questo grosso animale buono che non parla se non mugugnando in maniera incomprensibile, ma agisce e interagisce con loro, si protegge con il piccolo ombrello che gli hanno donato le due, regala semi da piantare, e di notte fa in modo che da quei semi, piantati con cura nella terra del giardino di Mei e Satsuki, nascano i primi germogli. Diventerà la presenza costante che aleggia sul villaggio, ma anche un prezioso aiutante. Sarà lui, infatti, che, come in tutte le favole che si rispettino, proprio come un deus ex machina, apparirà nella sequenza finale a risolvere le cose, rimettendole ciascuna al proprio posto e ripristinando quella situazione di totale armonia su cui si fonda la storia. Mei, che nessuno più riusciva a trovare, viene rintracciata da Totoro e dalla sorella, la madre è ormai in fase di guarigione, la famiglia si ritroverà, e tutto finirà per concludersi con il più classico “vissero felici e contenti”.
TITOLO ORIGINALE: Tonari no Totoro; REGIA: Hayao Miyazaki; SCENEGGIATURA: Hayao Miyazaki; FOTOGRAFIA: Mark Henley; MONTAGGIO: Takeshi Seyama; MUSICA: Joe Hisaishi; PRODUZIONE: Giappone; ANNO: 2009; DURATA: 86 min.
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