Inception PDF 
Michele Segala   

La posta in gioco per questo settimo lungometraggio di Christopher Nolan era alta: confermare il suo status di Wonder Boy del cinema americano, di regista e autore in grado di saper tenere assieme intrattenimento ed autorialità appunto, non molto diversamente da quello che era stato il lavoro del migliore Tim Burton, quello degli annni Novanta. Ovvero, restare sempre se stesso (e quindi riconoscibile) indipendentemente dalla portata della produzione e del denaro in gioco. Curiosamente i parallelismi con il vulcanico regista di Burbank non si fermano qui: anche Burton ha infatti messo mano alla saga di Batman e, come il regista di Memento, ha saputo in qualche modo rendere suo e personale un film su commissione a grosso budget.

Ma se con due film all’apparenza commerciali – Batman Begins e Il cavaliere oscuro – Nolan era riuscito nel non facile intento di coniugare un tessuto narrativo complesso con le necessità di entertainment dell’establishment hollywoodiano, con Inception invece il giocattolo sembra essersi rotto. Nei due capitoli della saga tratti dal celebre fumetto di Bob Kane la presenza di budget esorbitanti non aveva infatti impedito al cineasta angloamericano di dare vita a dei lungometraggi (davvero lunghi: più di due ore l’uno) che mantenessero alta la tensione del pubblico in sala e al contempo evitassero molti dei cliché del genere (e dio solo sa se non abbiamo visto un proliferare di luoghi comuni in quel sottogenere del cinema americano degli ultimi anni che è il film di ispirazione fumettistica/supereroistica). Ma con questa sua ultima opera il risultato è di tutt’altro genere. Inception, difatti, non solo si trascina per oltre due ore in un accumulo di teorie, trame e sottotrame poco probabili (per non dire incoerenti), ma lo fa affastellando, minuto dopo minuto, una lunga serie di effetti speciali, situazioni, location ed atmosfere già visti e rivisti in decenni di film d’azione, fantascienza o spionaggio. Gli esempi sono molteplici, e purtroppo nessuno di questi viene in aiuto al supposto “spirito” del film (o comunque alle supposte intenzioni di Nolan), che si vorrebbe alto, anzi altissimo, dato che Inception è un progetto che il regista aveva nel cassetto da dieci anni e che, discutendone, questi tira in ballo niente di meno che Borges (e il suo realismo magico). Tutte ragioni che faticano ad allinearsi con il pensiero che possa essere una buona scelta far pervenire al pubblico l’idea che l’ultima mezz’ora sulla neve sia una citazione di un James Bond d’antan (o forse di GoldenEye??), o che la presentazione dei personaggi (anzi, della squadra di Cobb/Di Caprio) rimandi ad un qualsiasi incipit della saga Ocean’s Eleven. Similarmente, per ogni film che abbia alle sue spalle una campagna mediatica così potente e che sia il frutto della mente di un regista che in passato ha dimostrato di essere uno dei più visionari della sua generazione (si veda Prestige su tutti), si fatica a perdonare che l’idea (teoricamente forte) dell’esplorazione dei “sogni condivisi” che sta alla base del plot (e al centro dei problemi della psiche tormentata del suo protagonista) sia sviluppata in modo non solo confuso dal punto di vista narrativo, ma che, una volta passata la prima mezz’ora, non sappia conquistare nessuno nemmeno dal punto di vista visivo: ciò che funziona (e bene) in questo senso si vede già tutto nel trailer, ed è cioè la Parigi che si accartoccia su se stessa (e poco più), il resto è – spiace doversi ripetere – visto e rivisto: le scazzottate a gravità zero sanno di Matrix, il mondo virtuale in sfacelo di Dark City, eccetera eccetera …

E spiace ancora di più vedere che persino ciò che avrebbe potuto salvare almeno in parte Inception (e che spesso comunque corre in aiuto di molti film nati male e sviluppati peggio), ossia il fattore recitazione, non solo qui è completamente assente (quella di Di Caprio ha fatto un paio di capriole all’indietro rispetto ai tempi delle performances con Scorsese), ma altro non serve che a sottolineare le mancanze stesse della sceneggiatura e, in modo particolare, dello sviluppo dei personaggi. Questo perché ogni “approfondimento” ed ogni svolta narrativa con al centro il background del protagonista è macchinoso al limite dell’imbarazzante, tanto da rendere molto duro il lavoro di Di Caprio. E inoltre, a peggiorare le cose, ecco che ci si mette pure il temutissimo personaggio del “confidente” (il Truffaut critico avrebbe avuto di che sfogarsi al riguardo), utile solo e soltanto come spalla del protagonista per dare voce alle sue angosce (e per rendere esplicita la sua “profondità” psicologica), e che qui fa persino il doppio (e sporco) lavoro di introdurre i cosiddetti “spiegoni”. Ovvero: ogni qualvolta il regista teme che al pubblico non sia abbastanza chiaro il plot, gli si para davanti questo personaggio che, di fatto, finge di rivolgersi ad un altro attore dell’azione, spiegandogli per filo e per segno cosa è successo fino a quell’istante, ma che in realtà parla al pubblico in sala. Pubblico che evidentemente viene considerato troppo poco intelligente per seguire la storia. Oppure chi di dovere (leggi: lo sceneggiatore, qui anche regista) si è messo la mano sulla coscienza, ha deciso che non ce l’avrebbe fatta a rendere abbastanza chiara la sostanza del plot con i mezzi del cinema – l’azione e il racconto per immagini – e ha pensato bene di appesantire la condotta della pellicola con il suddetto “spiegone”. L’agnello sacrificale, tra gli attori in gioco, è stata la simpatica (almeno per quanto visto in Juno) Ellen Page. Che, in teoria, sarebbe stata assunta da Cobb in quanto promessa dell’architettura, ma che poi per tutto il film fa da guardia alle sue paure, tanto che alla fine nessuno si ricorda neanche più che un paio d’ore prima il film avesse fatto intendere che con le sue doti di architetto/enfant prodige avrebbe dilaniato il mondo del sogno con città involute su se stesse. Non meglio fanno i comprimari e co-protagonisti, solitamente ben curati negli altri film di Nolan, che qui risultano monodimensionali e privi di interesse (e sempre fedeli ai cliché del genere: c’è l’uomo d’azione tutto muscoli, il nerd senza fantasia, e dell’enfant prodige genietto si è già detto…): persino il migliore del lotto, Michael Caine, è stato relegato in una piccolissima  parte, quasi un cameo, che nulla toglie o aggiunge alla pellicola.

A questo punto si potrebbe affermare, pensando sempre a Tim Burton, che con Inception Nolan ha percorso a doppia velocità la strada del regista di Burbank, firmando così, già dopo solo un decennio di attività, il suo Alice in Wonderland, cedendo cioè ai fasti e ai non–sense narrativi dei blockbuster hollywoodiani. Ma, in tutta sincerità, gli si augura che, col prossimo capitolo della sua filmografia (sia esso un altro sequel della saga di Batman o il vociferato reboot di Superman) ritrovi l’ethos di Prestige e Il cavaliere oscuro.

TITOLO ORIGINALE: Inception; REGIA: Christopher Nolan; SCENEGGIATURA: Christopher Nolan; FOTOGRAFIA: Wally Pfister; MONTAGGIO: Lee Smith; MUSICA: Hans Zimmer; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 148 min.

 


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