“Giove e oltre l’infinito” recita l’ultima didascalia che in 2001 di Kubrick guida Dave nel suo viaggio psichedelico verso la conclusione. Qui, invece, Giove è il primo frame al quale non si allude, come nell’odissea kubrickiana, ma che si offre allo spettatore come fosse una cellula osservata attraverso una lente che mostra quanto movimento possa generarsi al suo interno. Come un loop, il primo frame continua a incantarsi, indeciso, nella sua immobilità, tra l’avanzare e il retrocedere, così il film - Another Earth - si apre e lo spettatore, guidato da una voce over, si abbandona tra l’incanto e lo stupore a una storia che sceglie come forma narrativa un pastiche, riunendo al suo interno una reale, drammatica quotidianità e uno sguardo alla fantascienza.
Nessun viaggio nello spazio, nessuna sagoma aliena, ma il continuo, frenetico agognare a un altro mondo, Terra 2, quella che è lì nel cielo, immobile come un occhio affabile e pieno di speranze che riflette la terra in cui si vive e si commettono errori, ferite di un passato che non si riesce a superare. Nessun attacco dunque, nessuna distruzione, se non quella lenta, ineludibile che annienta delle vite e la coscienza di chi da inconsapevole carnefice diventa un reietto. Al suo esordio al Sundance Film Festival, Cahill mette in scena un piccolo esperimento indipendente con una fotografia sgranata, dai toni denaturati, e una regia trattenuta, intimista, che alterna alla fierezza interpretativa dei suoi protagonisti la messa in scena di un coro di voci che troneggia sulle lande desolate di un mondo colpevole, continuamente osservato dal proprio doppio, dall’altra parte di sé, che si spera migliore, intatta. Così, da un lato c’è il racconto silenzioso di una giovane promettente astrofisica che, distratta a guardare in cielo Giove, compromette nel giro di un attimo il suo futuro e vede frantumarsi il sogno di esplorare un nuovo mondo, e dall’altro la messa in scena scandita e minuziosa del compiersi del destino di tante vite, come fossero quelle di piccoli insetti, immobili, ossessionati dai loro gesti inconsulti, che continuano a sbattere contro un recinto oltre il quale qualcuno osserva silenzioso, fermo, come in attesa di qualcosa che accada.
Usciti quasi in contemporanea, si è parlato di quanto Another Earth e Melancholia potessero avere in comune. Nulla vien da dire, se non la scelta di un mondo altro come pretesto. Perché se in Von Trier la natura malvagia e beffarda torreggia sull’uomo, in Cahill si mostra come specchio, un’immagine riflessa, come gigantografia di un’umanità, riportando alla mente la luna/volto di Méliès, che permette il riscatto quando non si pensa più di averne diritto. Come in uno specchio il mondo si guarda, si interroga, si chiede quali domande porsi se si presentasse l’occasione. Viene in mente, invece, l’atmosfera onirica e irreale di Missione Alphaville, perché, come in Godard, anche qui si allude e non si mostra. Eppure, in questo piccolo, intimo e visionario film, a dispetto di un ordine premeditato, costruito ad hoc, è il caso o l’imprevisto che predomina, riparando a una integrità perduta.
Titolo originale: Another Earth; Regia: Mike Cahill; Sceneggiatura: Mike Cahill, Brit Marling; Fotografia: Mike Cahill; Montaggio: Mike Cahill; Scenografia: Darsi Monaco; Costumi: Aileen Alvarez-Diana; Musiche: Fall On Your Sword; Produzione: Artists Public Domain; Distribuzione: 20 Century Fox Italia; Durata: 92 min.; Origine: USA, 2011
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