Lo scafandro e la farfalla PDF 
Federica Villa   

Un battito di ciglia. Impercettibile per il mondo, come un battito di farfalla che però, guarda un pò, "qualcuno"-recentemente scomparso- sosteneva potesse scatenare un uragano dall'altra parte della terra. L'uragano di cui parliamo riferendoci al film del regista-scultore Julian Schnabel non ha però tanto a che fare con il "caos" quanto con la poesia e la fantasia. Con un mondo di emozioni che lo "scafandro" che intrappola il corpo non può impedire che fluisca, con un'immaginazione che partendo dalle movenze di un torero e dalle mille facce di Marlon Brando giunge fino ad assolate spiagge tropicali in cui amare e ridere come se sì, non fosse mai successo. 

Ispirato alla stra-ordinaria vicenda di Jean-Dominique Bauby, -"Jean-Do"-, caporedattore della rivista Elle, colpito da un ictus e dal corpo completamente immobile per molti mesi, ad eccezione della palpebra sinistra, Lo scafandro e la farfalla è in realtà un film molto diverso da quel che ci si aspetterebbe dalla trattazione di un così delicato e attualissimo argomento. A differenza dello "schierato" "Mare dentro" di Alejandro Amenabar e di altre opere non solo cinematografiche a favore invece della "vita a tutti i costi", Lo scafandro e la farfalla è innanzitutto un inno all'uomo, un uomo che non smette di pensare, amare, piangere, criticare, lavorare e dunque "vivere", ma che con la mente leggera come una farfalla riesce ancora a comunicare col mondo e persino a vedere pubblicato un libro dettato nell'unico modo che può ormai usare, il battito della palpebra.

Schnabel prende infatti le mosse dal ricordo del padre che lo porta ad accostarsi al libro dello scomparso Bauby, prima ancora che dall'eccezionalità di una vicenda che sarebbe stato troppo facile dipingere con toni che lo stesso protagonista avrebbe rigettato. Jean-Do si chiede, quando ancora la telecamera è un tutt'uno con il suo unico occhio aperto, e dunque con la nostra visione, "Sarebbe questa la vita?" dinnanzi ai medici che gli comunicano che non potrà mai muoversi ma che fortunatamente "E' ancora vivo". Jean-Do-interpretato dal bravo Mathieu Almaric- freme dinnanzi alle dottoresse, "angeli del paradiso", che "in vita" non gli sarebbe stato difficile conquistare ma che alla fine avvincerà a sè in un senso ben più profondo, Jean-Do è stanco di essere trattato come un bambino, di essere lavato e preso in braccio da un grosso infermiere che lo fa muovere in piscina, sogna i nobili personaggi che il secolo passato frequentarono quello stesso ospedale che ormai la domenica appare desolatamente deserto e si vergogna del suo aspetto mostruoso che non vorrebbe mostrare ai figli.

La storia raccontata dal film non è dunque percorso di accettazione del nuovo sè e del crudele destino, quanto soprattutto il ribadirsi dell'uomo che già Jean-Do era, ed è stato anche dopo la disgrazia. Il senso più evidente che appare dall'opera rifugge qualsiasi morale per farsi portavoce della vita in ogni sua forma, senza alcun giudizio di "valore": è vita quella mostrata dai flashback, vita fatta di colori, musiche e forti impressioni, è vita quella che Jean-Do ha tutta nella mente quando ad esempio degusta cibi sopraffini con Claude, la "mano" che pazientemente scrive lettera per lettera il suo romanzo, ma è vita anche quella del suo occhio che muovendosi gli permette ancora di affermare la sua presenza nel cosmo. La straordinarietà di questo film sta proprio in una chiave di lettura fedele prima che anticonvenzionale, disincantata e al tempo stesso presentante l'incanto dell'esistenza. Lo scafandro E la farfalla sono posti sullo stesso piano, non vi è conflitto tra un corpo inerme e una mente più agile di un uccello, capace di citare a memoria De Sade e Dumas e di figurarsi lo spettacolo dello scioglimento dei ghiacciai dall'altra parte del globo. Alla fine lo scafandro E' la farfalla, in un racconto in cui l'epilogo era già implicito nell'esordio, la storia di un uomo che non smette di vivere, semplicemente perchè non è morto, che si apre e chiude come un occhio, o se preferite come un paio d'ali.

 


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