La Règle du Jeu - Jean Renoir PDF 
di Fulvio Montano   

LA STORIA

Nel 1939, anno dello scoppio della II Guerra Mondiale, Jean Renoir ha 44 anni.
Reduce da due importanti successi commerciali quali La grande illusion (1937) e La bête humaine (1938), decide di fondare una propria casa di produzione per girare in tutta libertà un film che prevede un ricco cast ed un budget imponente, ispirato ai Capricci di Marianna di De Musset. La lavorazione, però, disturbata dal cattivo tempo e dai primi venti di guerra, dura più del previsto ed i costi lievitano fino a raggiungere i cinque milioni di franchi, ossia il doppio di quanto era stato preventivato.
La prima è il 7 luglio, a Parigi, ma la reazione del pubblico è negativa tanto che nella sala si scatena il finimondo. La versione iniziale di 115 minuti viene così ridotta a 100, poi a 90 ed infine ad 85 minuti, ma inutilmente e in sole tre settimane il film scompare dai cinema della capitale.
Il fallimento commerciale e di critica è pressoché totale, tanto che La Nouvelle Edition Française è costretta a chiudere i battenti, sommersa dai debiti. Nell'agosto del 1939 il governo francese arriva a vietarne addirittura l'esportazione, perché portatore di un'immagine demoralizzante della nazione. L'ultimo atto è del 1942, anno in cui un bombardamento distrugge il negativo, rendendo superflua qualsiasi replica.
Fino al 1958-59, quando i fondatori dei Grand Film Classiques riescono a ricostruire il montaggio originale e a presentarlo al Festival di Venezia del 1959, circolano tre diverse versioni del film della durata di 80, 85 e 90 minuti. È il 1965, con il trionfo al cinema Médicis di Parigi, che restituisce finalmente giusto valore alla pellicola, trasformandola in un classico a tutti gli effetti.

I TEMI

Film carico di simbolismi e suggestioni formali, La règle du jeu è una stramba e nello stesso tempo lucidissima allegoria della società francese alle soglie della guerra. I futili passatempi della nobiltà al sicuro nelle grandi residenze di campagna, l'orizzonte ristretto a cui si autocondanna la servitù e, soprattutto, l'assenza di una realtà esterna ai feudi in cui aristocratici e borghesi arricchiti combattono la loro noia, rimandano direttamente alla vigliaccheria ed ai tentennamenti dei governanti europei di fronte all'espansionismo della Germania nazista. Il compito di esorcizzare il clima cupo che precede la guerra viene così affidato a passioni incontenibili e slanci d'amore tanto travolgenti quanto brevi, che devono ad ogni costo distrarre da quel sentore di catastrofe imminente che aleggia sull'Europa.
Nonostante si diverta a rimescolare e a sovrapporre relazioni, fatti e tempi, Renoir evidenzia all'interno del film dei segmenti ben precisi, cui affidare il compito di chiarire il suo messaggio. L'assurdità della guerra viene così trasposta nell'ampia sequenza della caccia, nella quale uccisioni ripetute di animali selvatici assumono i connotati di veri e propri crimini, e l'azione, con un montaggio serrato prima e con lunghe inquadrature poi, reitera l'agonia di vittime innocenti, mentre i carnefici avanzano nella brughiera come armate sulla carta d'Europa. "Ci sono troppi conigli selvatici che devastano i boschi e le piantagioni" , argomenta Robert organizzando la battuta, come se alla caccia/guerra fosse necessario addurre giustificazioni razionali ed economiche, sì da legittimare una pratica tanto crudele quanto inutile.
Più avanti, l'origine tedesca di Christine e le allusioni al fatto che in Alsazia (paese d'origine di Schumacher) si parli anche tedesco preparano il terreno alla dichiarazione di Schumacher stesso a Lisette: "Laggiù i bracconieri, i farabutti, i Marceau, li sanno raddrizzare! Un colpo di fucile di notte, nel bosco, e non se ne parla più" .
E lo stesso vale per l'antisemitismo, celato ma presente nelle dichiarazioni dei domestici sulle origini ebraiche di Robert.
Intrighi e drammi della gelosia testimoniano la confusione dei valori come dei sentimenti.
E l'illusione dell'amore (sterile perché senza prole né futuro) che, costretto a sfidare le convenzioni sociali per affermarsi, si nutre di pure immagini, desideri di possesso, fantasmi; mentre chi ama veramente (come Schumacher che giunge ad uccidere un uomo per amore di Lisette) non riesce ad esserne appagato né ricompensato.
Altro tema centrale è la morte, evocata da Renoir nella sequenza della Danse Macabre, ma che aleggia sull'intero film mostrandosi solo nel finale, con l'esemplare e necessaria uccisone dell'eroe. Mostrare lo spettacolo nello spettacolo crea così un'analogia tra la messa in scena teatrale e quella sociale, confondendo la finta realtà del film e dei personaggi che litigano fra loro, con la finzione scenica della danza e degli attori.
Come ha evidenziato Francis Vanoye nel suo saggio sul film (Jean Renoir - La regola del gioco, edito da Lindau), siamo di fronte ad una di quelle mise en abîme, presente in tanto cinema che verrà dopo, intesa come duplicazione, inquadratura nell'inquadratura o riflesso dell'opera su se stessa, che capovolgono la dialettica teatro/società e teatro/realtà.

IL CINEMA MODERNO

Se comprendere un film come La règle du jeu era negli anni Trenta (come per Quarto poter e negli anni Quaranta) al di là delle possibilità del pubblico e di gran parte della critica, la lezione di Renoir è stata comunque recepita e rielaborata nel dopoguerra. Soprattutto partendo dalla sua personalissima idea di realismo, fondata sull'improvvisazione degli attori e nello stesso tempo su un'accurata messa in scena di ambienti e situazioni, che, nel farsi metafora, rimandavano direttamente alla realtà sociale e politica di quegli anni.
L'esperienza del Neorealismo Italiano prima, maturata in una realtà così invadente da non poter essere ignorata, e la Nouvelle Vague dopo, faranno proprie alcune, geniali anticipazioni di Renoir, muovendo una critica allo stesso tempo spietata e malinconica (per un cinema che era stato, ma che non avrebbe più potuto essere) a quel cinema classico fissatosi in generi e sterili modelli.
Sarà proprio nel contesto dell'esperienza neorealista che Andrè Bazin inizierà il suo lavoro di critica, individuando nelle cinematografie d'autore del dopoguerra la vera essenza del cinema moderno.
Al concetto di "cinema puro" proposto dalle avanguardie storiche dei primi anni del secolo, Bazin contrapporrà l'idea di un cinema impuro, un "realismo ingenuo" che restituisca allo spettatore l'intera ambiguità del reale e lasciandosi contaminare dalle altre arti, addirittura esplicitando, e non mascherando come accedeva nel decoupage classico, il suo stesso farsi.
Le scelte poco ortodosse di Rossellini e De Sica ad esempio, che nel proporre storie come veri e propri affreschi di un'epoca, non hanno avuto timori nel mostrare la complessità del reale su cui indagavano, descrivevano perfettamente il concetto di "violazione della norma", che Bazin andava elaborando quasi in contemporanea con i formalisti russi. Il depurare la forma dell'opera da modi consolidati di fare cinema, equivaleva così a conquistare una significativa semplicità, con lo scopo di acquisire più senso ed esprimere con maggiore efficacia un pensiero che puntava alla scomparsa del cinema stesso.
Scriveva Bazin: "La riuscita suprema di De Sica [in Ladri di biciclette] è di aver saputo trovare la dialettica cinematografica capace di superare la contraddizione dell'azione spettacolare e dell'avvenimento."
Ruolo decisivo nel cinema della modernità lo giocano due elementi opposti: da un lato il recupero dell'aspetto riproduttivo del cinema (che Bazin definisce come "realismo tecnico") e dall'altro l'introduzione di una dimensione metalinguistica, un'istanza critica e autoriflessiva esplicitata dallo stile dell'opera (il "realismo estetico").
"Violazione della norma" significava anche contrapporre il piano sequenza e l'utilizzo della profondità di campo al campo/controcampo del decoupage classico, recuperando due concetti chiave del cinema delle origini e richiedendo allo spettatore uno sforzo per valutare da sé le gerarchie compositive di ogni singola inquadratura.

GLI SPUNTI

Il film di Renoir nel suo precorrere i tempi, può essere considerato un film moderno a tutti gli effetti, tanto che echi e rielaborazioni delle sue tematiche sono riscontrabili in molta della cinematografia successiva.
Anzitutto la scelta di non incentrare la storia su di un unico personaggio, optando invece per una coralità improvvisata e varia, ancorata sì al realismo tradizionale (a situazioni senso-motorie generate da un ambiente ben definito e sostenuta dall'uso della profondità di campo), ma nello stesso tempo originale anticipazione delle situazioni ottiche e sonore (libere di accadere in uno spazio qualsiasi) che ritroveremo nei film del neorealismo e che ancora ci stupisce apprezzare in alcuni autori Americani recenti. Precursori di vere e proprie tendenze (del cinema made USA soprattutto), sono lo Stanley Kubrick di The killing o Robert Altman, che con un film come Short cuts (favoloso omaggio alla narrativa di Raymond Carver) anticipa a sua volta la pulp fiction postmoderna di Tarantino, il cinismo verista di Happiness e Magnolia, fino a corrispettivi Hollywoodiani e politically correct come American beauty.
Il tempo stesso diviene una variabile completamente nelle mani del regista, tanto che nella seconda parte del film, il tempo del discorso accelera fino alla sera della festa in cui arriva a coincidere con il tempo della storia fino alla tragedia finale.
Abbozzi (dettati più dall'impulso che da un'analisi critica delle potenzialità del mezzo) di decostruzioni temporali che rimandano all'idea surrealista di fare cinema e che ritroveremo in forma cosciente nel cinema della memoria di Alain Resnais. Alla descrizione di un'umanità perduta, dubbiosa, sospesa in una realtà avvolta dall'indefinito, senza memoria né futuro e alle soglie della catastrofe, sarebbe interessante proporre un parallelo con i personaggi che vagano tra Never e Hiroshima, incapaci di comprendere la realtà di questi semi-luoghi del dopo catastrofe.
Il richiamo esplicito al teatro (che Renoir amava intensamente) e alla commedia dell'arte costituito dal segmento della Danse Macabre, ha un interessante corrispettivo nella ipertestutalità delirante di The baby of Macôn (1993) di Peter Greenaway, in cui la rappresentazione di un masque è il pretesto per una mirabolante e blasfema messa in scena. Una spietata invettiva contro le istituzioni della Chiesa e della Famiglia, tessuta proprio su quella mise en abîme che caratterizza il cinema moderno, in quanto commistione di arti e generi, e riflessione sul suo farsi.
Centrale risulta anche l'utilizzo della profondità di campo per mostrare visivamente le gerarchie tra i personaggi della vicenda e l'uso del piano sequenza in funzione narrativa, per rendere la molteplicità di eventi che si muovono sullo schermo. Recupero e rielaborazione di tecniche del cinema degli esordi, che verranno raffinate (sarebbe meglio dire rarefatte) nei cosiddetti "tempi morti" di Michelangelo Antonioni, in cui la macchina da presa si fa partecipe dei drammi che si volgono sulla scena, o meglio delle constatazioni di tali drammi, arrivando addirittura a sostituire l'azione.
Infine il gusto per il gioco e la farsa, seppur realista, che Renoir si diverte ad anticipare nel titolo e che tiene presente nella sua costruzione del film in segmenti non sempre perfettamente raccordati l'uno con l'altro e che richiedono visioni ulteriori per essere colti a pieno. Scelta portata agli estremi dal lavoro, ad esempio, di J.L. Godard, i cui film giocano sulla loro stessa trama mescolando le carte, aggiungendo riflessioni e temi e spunti, sì da inglobare nell'opera la sua stessa critica.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.