Il gladiatore PDF 
di Barbara Rossi   

Il dettaglio di una mano (inanellata, simbolo di potere - nobiltà) dalla struttura forte, rassicurante che sfiora dolcemente le spighe di un campo di grano su di una base sonora evocativa, piena di echi e di fruscii: è questa l'ouverture de "Il gladiatore", vincitore di cinque premi Oscar nelle categorie miglior film, attore protagonista, costumi, sonoro, effetti visivi. La mano così significativamente evidenziata è quella di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), valoroso generale ispanico al servizio dell'anziano imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) durante le campagne romane contro i sassoni.

Il film - pur nella faraonica, prettamente hollywoodiana fastosità della messinscena, nello spreco di effetti visivi e sonori, nella perfezione tecnica degli ambienti romano - imperiali e delle lotte fra i gladiatori, ricostruiti minuziosamente al computer - ruota intorno a lui, lo rende artefice, unico incontrastato cantore della sua ingiusta ma comunque esemplare storia; l'odissea spettacolare eppur privata, intimissima di un uomo "qualunque" (ma affatto privo di qualità), un militare avvezzo alla violenza e all'odore del sangue in una società del 180 A.C. non troppo diversa per corruzione e oscurantismo da quella futuribile ipotizzata da Scott nel celeberrimo "Blade Runner" (1982).

Massimo è un ottimo combattente, un uomo coraggioso e fedele ai suoi dei, al suo cesare, ma prima di tutto alla sua famiglia: a Marco Aurelio che gli domanda che cosa vuole in cambio dei suoi servigi risponde pregandolo di lasciarlo tornare a casa, dalla moglie e dal figlio; descrive con nostalgica tenerezza la propria dimora intesa come luogo fisico del riposo e degli affetti; proprio in virtù di questa devozione lo stesso imperatore - sentendosi prossimo alla fine - gli affida la salvaguardia di quella sorta di sterminata "casa" che è allora il dominio di Roma. Così, quando i sacri affetti gli vengono brutalmente strappati (abile in questo senso l'opera di stimolazione delle corde sentimentali dello spettatore) per mano del debole e scellerato Commodo (un bravissimo Joaquin Phoenix), l'unico scopo dell'esistenza di Massimo - degradato al ruolo di schiavo / gladiatore - rimarrà la vendetta e il ripristino di una giustizia non soltanto privata ma anche sociale (ricordate il "Giustiziere della notte"/ Charles Bronson nella serie di film omonimi?).

Nel lungo (155 minuti) e serrato articolarsi della storia l'istanza narrante è inevitabilmente tutta dalla parte di Massimo "il misericordioso" e favorisce l'identificazione dello spettatore con lui grazie al supporto di una sceneggiatura intelligente (nei dialoghi e nella calibrata alternanza di picchi drammatici e di momenti minori), di musiche coinvolgenti, di un'illuminazione in grado di accentuare il magnetismo ma anche la dolorosa umanità dello sguardo di un Russell Crowe che - a tratti - evoca la presenza scenica di un grande attore del passato, Richard Burton.

Il poliedrico Ridley Scott rievoca con gusto e partecipazione lo sfarzo e la barbarie di Roma antica, ispirandosi ai famosi kolossal di genere in voga negli anni sessanta ("Spartacus" di Kubrick in particolare) senza tradire il proprio stile "nero", cruento, visionario. Molto bella sotto il profilo estetico la grandiosa scena iniziale della battaglia dei romani contro i sassoni, con la poetica crudezza di una carneficina ripresa al ralenti e priva di sonoro (come in un passaggio di "Ran" di Kurosawa). E' doveroso ricordare - fra le altre - le ottime prove di due "grandi vecchi" del cinema, Richard Harris e Oliver Reed (Proximo), e della misurata ma intensa Connie Nielsen (Lucilla). Per concludere, "Il gladiatore" in tre aggettivi: violento, lirico, commovente.

 


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