La sezione Italiana.doc del Torino Film Festival 2010 si conferma essere una sezione ricca ed interessante, sia per la varietà dei temi trattati (dalla scuola in Italia, alle condizioni di povertà nel mondo, dal mondo del lavoro al recupero della memoria) sia per la molteplicità delle scelte espressive di ogni singolo autore, qui in realtà, spesso, in coppia. Il primo premio se lo sono guadagnati (nel senso letterale del termine, a testimonianza del lavoro intenso fatto dagli autori) i fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio con il film Bakroman, che in lingua morè significa “ragazzo di strada”. Il film è infatti un appassionato, rispettoso e corale ritratto di una serie di ragazzi di strada del Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del mondo, un documentario che indaga con semplice abilità registica il mondo di ragazzi pieni di vita ma già provati dalla fatica, dalla solitudine e dall’emarginazione, dalla povertà e dalla fame, ma non per questo abbattuti.
La forza e la bellezza del film risiede infatti nell’insperata e forse inspiegabile speranza che sa trasmettere grazie ai suoi protagonisti. Ragazze e ragazzi che si incontrano, discutono, parlano di musica, cercano un lavoro per “rientrare” in quella società che per motivi diversi li ha già abbandonati. Il lavoro dei De Serio ha meritatamente vinto il primo premio, nonostante non sia un film facile. Ritmi lenti e lunghi dialoghi prendono spazio e tempo rispetto al più facile linguaggio cui ci hanno abituato anche molti documentari di oggi. Bakroman è forse uno dei momenti più alti del cinema documentario italiano contemporaneo, raggiungendo una forma di pura bellezza nella sequenza più commovente del film, e cioè quella del gruppo di ragazzi che ascoltano la musica trasmessa da una radio locale. Lo stereo diffonde la voce in diretta di uno dei musicisti più importanti del paese, che canta una sorta di preghiera dedicata ai ragazzi di strada sulle note di una musica dub-raggae. Quelle parole – che provengono da una fonte altra ma interna alla diegesi del film – diventano un inno e colmano di senso anche il documentario, restituendo agli spettatori la verità di quelle immagini e di quella realtà così tragica.
Dal Burkina Faso si passa all’Italia, con il film di Marco Santarelli, Scuola Media, vincitore del Premio Ucca Venti Città. Il film di Santarelli ha un grande pregio e cioè quello di documentare “dal vivo” la realtà di una scuola difficile in una periferia urbana come quella di Taranto e nell’area dell’ex Italsider, oggi Ilva. Il film è un ritratto sincero di un corpo docente che cerca di portare un “momento formativo” aldilà della materia insegnata, e che quindi diventa ancora più importante in quanto mostra un ruolo possibile e necessario della scuola pubblica italiana oggi. Senza preconcetti, il film mostra la vita a scuola e i suo personaggi, ed è capace di innescare una riflessione profonda, avvalendosi di un montaggio serrato, anche se a volte ridondante. Il popolo che manca di Andrea Fenoglio e Diego Mometti (Premio Speciale della Giuria e Menzione Speciale Premio Ucca Venti Città) è invece una ricerca fatta con grande abilità e stile, un film che sa coniugare le registrazioni di un tempo (quelle fatte al popolo contadino piemontese delle valli da Nuto Revelli negli anni Settanta) con le immagini di oggi. Siamo davanti ad una ricerca non solo formale o stilistica, ma piena di senso e di stimoli. Il film non è solo bello, è anche pieno di spunti per riflettere sull’oggi, per documentarci sul nostro recente passato, ma anche per pensare al futuro.
Vale infine la pena di sottolineare ancora due titoli, per noi, particolarmente riusciti. Una scuola italiana di Giulio Cederna e Angelo Loy riflette con coraggio sulla possibilità di una integrazione nella scuola italiana, raccontando il laboratorio tenutosi alla scuola Pisacane di Roma, al centro dell’attenzione per fatti di “integrazione”. È un film sulla fratellanza, sull’incontro e sul gioco. Capiamo così come Il mago di Oz possa essere una bella metafora per i bambini, ma soprattutto per gli adulti, per riflettere sul cosa significhi partire, viaggiare, tornare. I racconti della Drina di Andrea Foschi e Marco Neri è invece un film (un po’ faticosamente) strutturato che parla di una realtà tragica come la memoria di una guerra, quella avvenuta in Bosnia Erzegovina. Avvalendosi della memoria audiovisiva di una delle protogoniste, il film cerca di costruire dei ponti tra passato e presente. Il film è un valido strumento per conoscere la realtà “al femminile” di un mondo che ha sofferto e ancora soffre le pene di una guerra, ma che prova a reagire con coraggio e determinazione.
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