Soul Kitchen PDF 
Gianmarco Zanrè   

In uno dei primi momenti di studio, e di calma, lo chef Shayn, zingaro e lanciatore di coltelli, ricorda al giovane Zimos, origini greche, fratello inguaiato con gioco, carcere e cuore, quanto le persone mangino per riempire un vuoto interiore. Il compito di un vero chef, sostanzialmente, sta nel riempire quel vuoto nel modo più fantasioso, unico, creativo ed umano possibile, provocando un piacere che, molto facilmente, sconfina nella convivialità, nell’amicizia o, più facilmente, nel sesso.

Ed è in questo modo, dettaglio più dettaglio meno, che il viaggio di Soul Kitchen ha inizio: un sogno d’amore che precipita in un viaggio di andata/ritorno incredibilmente rapido da Shanghai e un’esplosione di vite che si incontrano, scontrano e “mangiano” nel cuore della Amburgo più periferica, che ride di gusto dei ristoranti d’elite e dei suoi avventori da gazpacho riscaldato. Per una volta, Akin decide di lasciarsi alle spalle i drammi foschi ed emotivamente prepotenti dei suoi due precedenti (splendidi) lavori per concentrarsi su uno dei bisogni più sacri e liberatori del genere umano. E no, il sesso c’entra solo come contorno. Il piatto principale di questa portata è il sorriso che porta con se Zimos, che non dimentica quanto ci si debba sporcare le mani per arrivare a conquistarsi un piccolo posto nella vita, ma riesce, a differenza dei protagonisti delle altre due premiatissime opere del regista amburghese, a portare a casa il suo pane senza dover necessariamente sacrificare la felicità. E dopo la riappacificazione quieta con la sofferenza di Ai confini del paradiso, ecco un vero e proprio ribaltamento che sa quasi di miracolo: il Cahit de La sposa turca diviene una sorta di irosa, ispiratissima guida spirituale, e il disegno del destino pare essere preso in contropiede, o allo stomaco, e godersi con l’acquolina in bocca le ellissi positive che, inconsciamente, Zimos pare mettere in moto. Uno Zimos innamorato, che gode della vita, giovane, per nulla preciso o ispirato, ma che porta sulle spalle – o sulla schiena – il peso del suo mondo, e affronta a viso aperto ogni caduta, anche la peggiore: straordinario, in questo senso, il lavoro del regista sul suo protagonista, reso ancor più intenso e vibrante dall’ottima prova di Adam Bousdoukos.

Quasi fosse un eroe romantico, Zimos soffre, arranca, affoga – nell’alcool a volte –, ma resiste: è la sua presenza a fare da collante ad ogni storia, fornendo il ritratto perfetto di quello che è il compito di un vero protagonista. È lui il “centro di gravità permanente” delle vite che ruotano attorno al ristorante Soul Kitchen, e anche quando è sconfitto, umiliato, tradito, Zimos continua a resistere, ad andare avanti. Una mano a sorreggere quel peso che gli affligge la schiena, e l’altra appoggiata al muro per aiutarsi ad espellere gli effetti di una sbronza liberatoria: Zimos piange in silenzio, per un po’, prima di guardare in faccia il suo interlocutore. E quando lo fa è pronto ad andare avanti. A offrire cibo: dai nemici che prima o poi cadranno al fratello, da sconosciuti rockettari a rigidi funzionari municipali pronti a scatenare notti di sesso sfrenato, dalla donna della vita alla nuova vita per la donna. Cibo per l’anima, come direbbe lo chef Shayn. E anche se il viaggiatore deciderà di non fermarsi, saprà che Zimos ci sarà sempre e non abbandonerà mai la barca, neppure di fronte alla peggiore delle tempeste.

Fatih Akin, con Soul Kitchen, dimostra ancora una volta di essere un autore dall’enorme talento e dalle poliedriche possibilità d’espressione. Se con La sposa turca e Ai confini del paradiso aveva già dimostrato di essere in grado di esplodere i colpi del grande melodramma tinto di passione e sangue e le ellissi di un viaggio all’interno dell’elaborazione di una perdita, con Soul Kitchen il regista regala ai suoi spettatori una commedia in cui la liberazione funge da motore ed unico, vero destino per ognuno dei suoi protagonisti. E, nonostante i modelli classici – dalla ripetizione delle gag ad una certa qual impronta macchiettistica –, dosa bene ogni ingrediente senza mai cadere nella volgarità. E se da un punto di vista strettamente tecnico uno sceneggiatore strabiliante come lui si concede qualche “pausa”, il ritmo e l’energia positiva emanati dalla pellicola sono assolutamente irrefrenabili, in barba ad ogni forma. Come la sua colonna sonora, una delle più coinvolgenti, seducenti, travolgenti delle ultime stagioni cinematografiche: i Doors che hanno ispirato il titolo e richiesto diritti troppo alti per poter inserire il loro brano, forse, avranno capito che Zimos, alla fine, l’ha fatta anche a loro. E sempre senza rancore. Complimenti davvero a Fatih Akin, dunque, perché dopo il cuore e la testa, ha dimostrato di avere anche stomaco. E da queste parti quello non è mai un talento sprecato. Buon appetito, e mi raccomando: non dimenticatevi il dessert.

TITOLO ORIGINALE: Soul Kitchen; REGIA: Fatih Akin; SCENEGGIATURA: Fatih Akin, Adam Bousdoukos; FOTOGRAFIA: Rainer Klausmann; MONTAGGIO: Andrew Bird; PRODUZIONE: Germania; ANNO: 2009; DURATA: 99 min.

 


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