Viaggio in India PDF 
Chiara Federico   

ImageUn viaggio dalle traiettorie sconfinate si può racchiudere volontariamente in un microcosmo. Ed è il microcosmo onirico-sentimentale di Mohsen Makhmalbaf ad estendersi e a sovraccaricarsi, come o più che a Kandahar, di un Oriente appena un po’ più in là. Una coppia innamorata e incomunicabile, lei pulita, luminosa, lui selvaggio e ombroso, trascorre il viaggio di nozze fra treni ritardatari e deserti scoraggianti, dove i bambini giocano ritagliando la parsimonia dell’ombra proiettata sulla terra. Nel gioco rilucente tra primi piani e curiosità paesaggistiche comincia un errabondare bizzarro: scampoli di un turistico paradiso che saettano verso un inferno appena percepibile.

Esiste una contrapposizione manichea tra i due, e questa esplode nelle risate contenute e nella paradossalità delle situazioni. A fatica, con una sedia piantata per terra e caricata sulle spalle come simbolo di un’illusoria stabilità, affrontano un giornalista e la farsa animalesca che coinvolge un vecchio santone, l’uomo che “ferma i treni con gli occhi”, imprigionato dalla sua presunta miracolosità, rassegnato e mesto. Una sorta di costretta ilarità, tra mosche riportate al luogo d’origine e generici, astringenti discorsi tra eternità e profanità. La ricerca delle “cose sbagliate” prefigurata dal giornalista si sperde a vista d’occhio in una revisione particolareggiata dell’India, delle sue rade costruzioni e del suo traffico costantemente ripreso dalla handycam, della miseria ingrandita e vivificata dal colore, dall’azzurro degli occhi del neo-profeta tedesco e nell’arancio del fuoco attorno ai corpi dei “mai morti”, corrosi da questa lunga cerimonia e gettati nel fiume che racchiude il “ciclo della merda”. Tra gli sguardi in campo lungo si nasconde però l’asfittica indecisione di un rapporto d’amore che si evolve, e non comunica: il bigotto ottimismo di lei, la sua innata misericordia, e l’ateismo di lui, tragico ed opprimente, che tenta l’incontro con i perché altrui. Solo oggetti gli “dei” e gli “uomini speciali” nella stanza della prostituta-tavolo e nell’incontro sofferente con il miracolista. L’assurdità di una vita povera e lenta, che riempie d’orgoglioso amore la ragazza, abbrutisce sempre di più il marito sofferente, maturo e privo di “verità” per scelta. La vita, come una sorta di ciclo perpetuo, è un gravame che non fugge attraverso le liricità e i contrasti, i luoghi e il fiume ondeggiante, le parti intime e lo sporco sorridente dei corpi. Attraverso un linguaggio astratto, ampolloso e innaturale, i due protagonisti si fermano nel viaggio e fanno presagire un non-viaggio del loro amore idealizzato. L’uomo e la donna non portano nomi, e questa “genericità” delle figure compone un quadro assurdo come l’assurdità del mondo.

ImageTra l’esattezza incalzante dei quadri e dei volti e la profondità dei temi rimane un’incomprensione di fondo: la superficiale ridondanza delle parole, che sfiorano il ridicolo e sfociano in uno humour appesantito, lascia un dubbio fortissimo sulle reali intenzioni di Makhmalbaf, che impasta luoghi comuni e rapidi fotogrammi ispirati. Elegia mal riuscita o consapevole, sentito avvertire quella banalità soffocante della finta spiritualità?

 

SCHEDA FILM

TITOLO ORIGINALE: Shaere zobale-ha; REGIA: Mohsen Makhmalbaf; SCENEGGIATURA: Mohsen Makhmalbaf; MONTAGGIO: Mohsen Makhmalbaf; FOTOGRAFIA: Bakhshor; MUSICA: Craig Pruess; PRODUZIONE: India; ANNO: 2005; DURATA: 85 min.

 


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