La parola ai giurati: in dubio pro reo PDF 
Fabio Fulfaro   

ImageDopo innumerevoli esperienze teatrali e una sana gavetta nel mondo della televisione (dove imparerà il mestiere), Sidney Lumet (classe 1924) debutta cinematograficamente nel 1957 con 12 Angry Men, girato in soli 21 giorni con un budget di 35.0000 dollari. Il salto è con la rete di protezione di una solida sceneggiatura di Reginald Rose, che ha già scritto nel 1954 per la CBS l’episodio televisivo su cui si basa la storia: dodici giurati si riuniscono per decidere l’innocenza o la colpevolezza in un caso di parricidio commesso da un ispanico diciottenne. Sembra un’impresa impervia riuscire a rendere interessante un film che per quasi tutto il tempo è girato in una stanza, quella in cui i dodici apostoli della verità sono riuniti a deliberare. In realtà sia il regista, sia lo sceneggiatore Rose, sia il fotografo Boris Kaufman riescono a creare un’atmosfera claustrofobica nella quale emergono piano piano tutti i tic e i rimorsi di coscienza della middle class americana, l’egoismo e l'ignavia, le contraddizioni e l’ira funesta.

Il genere “legal drama” che ha visto in Hitchcock uno dei suoi più illustri pionieri (basti pensare a Il caso Paradine del 1947) viene sviluppato in maniera seminale da Sidney Lumet e ripreso da autori come Otto Preminger (Anatomia di un omicidio, 1959) e Robert Mulligan (Il buio oltre la siepe, 1962) che ne sanciranno il definitivo trionfo. In realtà 12 Angry Men, al momento della sua uscita, non ebbe molto riscontro di pubblico, anche se ottenne tre nomination all’Oscar e l’Orso d’oro al Festival di Berlino: a parziale spiegazione di ciò, se analizziamo bene quest’opera, vi sono diversi punti di distacco dal classico “legal thriller”. Lumet è sadico nel rinchiudere le sue cavie in una sorta di gabbia da esperimento, nel far mancare loro letteralmente l’aria, nell’esporli a un calore sovraumano che sembra essere il corrispettivo esterno di un ambiente interiore denso di conflittualità e psicopatologie, e poi nel registrare le reazioni dei suoi dodici topi da laboratorio con  intensi primi piani di visi tormentati o stravolti dal furore. Senz’aria, senza poter uscire, sudati e costretti a dividere il proprio tempo e spazio con persone che non conoscono, i dodici giurati cominciano a sfogare tra di loro la frustrazione di una situazione insostenibile. La prima reazione è quella di chiudere rapidamente il giudizio e andare a casa o alla partita di baseball, ma dal momento che uno di loro (il giurato n 8, un perfetto irreprensibile Henry Fonda) insinua il sospetto del ragionevole dubbio (“Let’s talk” ovvero parliamone), il nervosismo si impadronirà dei giurati fino a provocare veri e propri duelli personali al limite dello scontro fisico.

ImageE pensare che l’incipit del film era stato ironicamente monumentale: una carrellata dal basso verso l’alto sull’entrata principale del tribunale con una scritta ben in evidenza: “the admnistration of justice is the firmest pilar of God” (l’amministrazione della giustizia è il più solido pilastro di Dio). Si, ma se gli avvocati d’ufficio non hanno alcun interesse a difendere il loro assistito, se i dodici giurati si fanno travolgere dal pregiudizio e dalla fretta di scrollarsi di dosso questa scocciatura, se è alquanto facile lavarsi la coscienza lurida con un capro espiatorio di una razza diversa dalla nostra, allora è possibile affermare con certezza il concetto di giustizia e di eguaglianza? Quel monumento, insomma, sembra sovrastarci piuttosto che tranquillizzarci, e ritorna attuale il detto di Orwell che la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è un po’ più uguale che per gli altri. In questa ultima cena sta per compiersi il terribile funerale della Giustizia mandando sulla sedia elettrica un ragazzino sfortunato (e che non ricorda i film cui assiste facendo crollare il suo alibi) più per la stupidità del luogo comune che per l’evidenza inoppugnabile dei fatti. Henry Fonda è il San Tommaso che prova a mettere il dito nella piaga, cerca di contestare punto per punto con la razionalità delle prove deduttive la contagiosa irrazionalità del branco di iene rabbiose (che si muovono nervosamente dentro uno spazio chiuso in una situazione citata magistralmente da Tarantino nel suo Reservoir Dogs) pronte a lapidare la Maddalena per non guardare un po’ meglio dentro loro stessi. Molti critici si sono soffermati sul fatto che la composizione della giuria fosse alquanto improbabile per l’assenza di un personaggio femminile o di persone di colore e per il fatto che in una giuria è impossibile che vengano selezionate persone che abbiano pregiudizi razziali o gravi problemi personali. Tra le altre cose, una sola figura femminile compare nel film in un rapida carrellata all’inizio all’interno del tribunale, ed è curioso come sia circondata da uomini che si stringono attorno a lei per baciarla e salutarla. In realtà la composizione bizzarra della giuria è il pretesto per mostrarci diversi caratteri, disturbi di personalità e deficit affettivi o caratteriali. Quindi è funzionale al punto di vista dell’autore. Andiamo ad analizzare i giurati uno per uno:

ImageGiurato 1. Sarebbe il presidente dei giurati ma in realtà ci accorgiamo subito della sua inadeguatezza al ruolo. Nella vita fa l’allenatore in seconda in una scuola: dimostra scarsa autorità e soffre sul piano personale gli attacchi da parte degli altri giurati e il carisma di Henry Fonda seduto al tavolo nel punto più lontano dalla sua posizione. Ad un certo momento, punto sul vivo, reagisce in maniera immatura esortando altri a prendersi la responsabilità di gestire la situazione. Viene accusato di fare il bambino e, in effetti, i primi piani impietosi ne esaltano il broncio da lesa maestà.

Giurato 2. Personaggio anonimo che lavora in banca, con occhiali e senza capelli, molto timido, continua nervosamente a ingurgitare pastiglie per la gola. Provocato mostrerà anche lui il suo lato aggressivo.

Giurato 3. È una figura chiave perché è l’ultimo a cedere alle ipotesi di innocenza che si sommano nel corso del tempo. Anche qui i primi piani si soffermano su smorfie e tic nervosi che rivelano l’umido tormento interiore che rovescia il caso di parricidio in una proiezione di una possibile soppressione della propria prole. Continua a maledire i giovani d’oggi, a lamentare i sacrifici non ripagati, ma è chiaro che la propria inadeguatezza genitoriale è la causa di una rabbia repressa che non tarda a fuoriuscire in tutta la sua violenza verbale (“farò un uomo di te anche se dovessi spezzarti in due”)

Giurato 4. È una figura apparentemente calma e irreprensibile, molto sicuro di sé, ed è anche l’unico in quella fornace a non sudare. La sua razionalità e la sua ricerca di prove di colpevolezza sono condotte con un rigore e un eloquio lucido, ma anche lui dovrà chinare il capo di fronte all’osservazione del giurato 9 che gli fa notare il segno degli occhiali lasciato ai lati del naso. Questo déjà vu permette di minare l’attendibilità del testimone donna utilizzato nell’accusa e di approfittare della vanità femminile per confutare l’attendibilità della testimonianza.

ImageGiurato 5. All’inizio si dimostra pauroso, vorrebbe astenersi nelle prime votazioni, evita qualsiasi tipo di scontro. Poi, trascinato nella rissa verbale, difende gli strati sociali più bassi, rivendicandone la dignità.

Giurato 6. La figura meno approfondita, molto vicina alla tipologia dell’uomo medio americano, alquanto anonimo e sbiadito. Ha il pregio di difendere il vecchio quando viene attaccato dal giurato 10

Giurato 7. È un commerciante di marmellata la cui volgarità è ben rappresentata da un orribile vestito a righe e dai continui cambiamenti di opinione a seconda del vento della maggioranza. Reputa una partita di baseball estremamente più importante della vita di un uomo e la sua superficialità è continuamente stigmatizzata. Continua a disturbare l’ambiente con battute sarcastiche e ironiche che però hanno il merito di sdrammatizzare i momenti di più alta tensione.

Giurato 8. Henry Fonda, simbolicamente in bianco, è l’architetto di questa magnifica costruzione ad incastro, in cui ad ogni prova confutata, o quanto meno posta sotto l’ombra del dubbio, vari giurati passano dalla sua parte. All’inizio nervoso, solo contro la superficialità degli altri undici colleghi di giuria, con le armi della dialettica e del rispetto dell’opinione altrui, riesce nell'impresa titanica di far cambiare il punto di osservazione sui fatti, eliminando intolleranze e pregiudizi.

Giurato 9. È il più vecchio della compagnia, ma è anche determinante nell’appoggiare le tesi del giurato 8. Senza la sua saggia lungimiranza la giuria si sarebbe solo spaccata in due e avrebbe dovuto rimettere il mandato nelle mani del giudice. Si scaglia contro il 10 che è razzista e rivela un momento di debolezza nell’identificazione con il vecchio testimone del delitto, accusandolo (e accusandosi) della ricerca di 15 minuti di celebrità.

ImageGiurato 10. Il personaggio più iracondo del gruppo, spesso urlante perché le proprie tesi sono fondamentalmente fragili nella loro intolleranza e razzismo e debbono essere affermate con la violenza. Alla fine il suo irritante tono di voce si scontra con la reazione di indifferenza di tutti gli altri giurati che, esortandolo al silenzio, gli voltano le spalle e gli impongono una magistrale lezione di civiltà.

Giurato 11. Orologiaio baffuto emigrato dall’Europa, si immedesima lentamente nel ruolo dell’imputato, sradicato dalla propria terra e totalmente spaesato nel Nuovo Mondo.

Giurato 12. Pubblicitario di bell’aspetto e dal motto facile (“i fiocchi di riso una gioia per gli occhi”, “sventola la tua idea come una bandiera”), nel finale mostra una completa incapacità decisionale. È vestito simbolicamente di nero ed è il primo che all’inizio si affianca a Henry Fonda alla finestra per ribadire che questo caso di omicidio è facile, perché non vi è alcun dubbio sulla colpevolezza dell’assassino. La falsa sicurezza basata sul niente è un richiamo al mondo illusorio da cui proviene il personaggio.

Questi 12 diversi caratteri non possono non entrare in collisione e sin dall'inizio si capisce che l’enorme canicola che pende su di loro si trasformerà presto in violenta tempesta d’estate. Il tempo meteorologico e le luci all’interno della stanza sono fotografati magistralmente da Boris Kaufman, già famoso per la sua opera in Fronte del porto e Baby Doll, utilizzando diversi angoli di ripresa e giocando con le luci e le ombre. Con il trascorrere delle ore la luce si fa meno presente, cominciano a prevalere toni più cupi e gli spazi diventano sempre più piccoli (questo effetto venne ottenuto cambiando le lenti agli obbiettivi). Dal momento della perfetta parità tra innocentisti e colpevolisti il ventilatore riprende a funzionare regalando insieme all’acquazzone d’estate un catartico refrigerio. Lumet è evidentemente sotto l’influenza del teatro di Tennessee Williams e di Arthur Miller quando tratta rispettivamente i temi della marginalità sociale e dell’emigrazione negli USA (che sottendono la tragedia dell’ebreo errante Sidney Lumet), con la relativa difficoltà ad integrarsi nel nuovo tessuto sociale. Ma in questo film di debutto i temi dello psicodramma vengono stemperati da una forte vocazione etica e dal trionfo dell’uomo probo che non esita nel finale ad aiutare il suo più strenue avversario ad infilarsi la giacca, in un gesto di solidarietà virile che mette a tacere qualsiasi altra recriminazione o eccesso retorico. La problematica del rapporto generazionale padre-figlio subisce l’onda del vicino successo di Gioventù bruciata di Nick Ray (1955) e viene qui analizzata con una dicotomia netta e un senso di pentimento che ancora lascia spazio alla redenzione. Pensate, cinquant’anni dopo, al nichilismo di film come Il petroliere di Anderson, Non è un paese per vecchi dei Coen e Onora il padre e la madre dello stesso Lumet: sembra proprio annientare e vaporizzare il sogno americano. I padri rifiutano i figli, li soffocano, li sopprimono perché mutati irreversibilmente, alieni non più controllabili.

ImageC’è una scena significativa proprio all’inizio che sembra collegare La parola ai giurati con il recente Onora il padre e la madre, e che ne rivela la trasformazione tematica nel corso di tutto questo tempo. La scena di Henry Fonda che indugia più di un momento a guardare fuori dalla finestra in un misto di preoccupazione e solitudine (è solo contro tutti) richiama alla memoria quella simmetrica di Philip Seymour Hoffmann che guarda fuori dalle finestre dell’appartamento del pusher, un rifugio per la dose quotidiana di sesso e droga. Mentre nel primo caso quello sguardo, pur malinconico, preannuncia una lotta leale senza esclusione di colpi per stabilire il primato della verità, nel secondo caso la disperazione prende il sopravvento e quello sguardo rivela la distruzione della propria personalità e l’impossibilità di una via d’uscita, in un mondo che continua a girare senza sosta, indifferente ai destini dei singoli individui. Nei cinquant’anni trascorsi Sidney Lumet ha acquistato un sguardo cinico e disilluso sui destini di un intero paese: un tempo dodici uomini avevano il coraggio di discutere anche con rabbia e poi cambiare parere su un caso di parricidio,  difendendo gli elementi più deboli della società e presumendone l’innocenza fino a prova contraria. Poi la rabbia si è trasformata nella solitudine di Serpico e nella disperazione claustrofobica di Sonny e Sal in “un pomeriggio di un giorno da cani”. La rabbia si è tramutata nell’alcolismo depressivo dell’avvocato Frank Galvin che sconta gli errori del passato nel film Il verdetto. Fino ad arrivare a Onora il padre e la madre e alla degenerazione in astio e rancore di un’intera generazione saturnina che non esita a divorare i propri figli ribelli. Le colpe dei padri ricadono sui figli, ma quelle dei figli ricadono sui padri: non si esce da questo circolo vizioso.

ImageMa torniamo a 12 Angry Men e al suo splendido finale. Il giurato 3 è l’ultimo a capitolare, schiacciato dalla visione della foto che lo ritrae felice insieme al figlio. Non può che accettare il verdetto finale sapendo che in realtà quando giudichiamo gli altri abbiamo anche un pezzo della nostra personalità sul banco degli imputati, e gli occhi impauriti del diciottenne ispanico (con una geniale ombra fugace sul viso prima della dissolvenza) sono lo specchio delle nostre più profonde insicurezze. La seduta è tolta e i giurati possono tornare a casa  convinti di aver fatto il loro dovere. Nel dubbio è sempre meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente (in dubio pro reo). Henry Fonda esce dal tribunale e incontra il vecchio giurato n. 9 che lo ha sostenuto in maniera decisiva nel dibattito: i due si salutano e hanno finalmente un nome. Sembra più un passaggio di consegne, il ricevimento di un testimone. Dalle nuvole spunta un timido raggio di sole. In un pomeriggio di un giorno da uomini.


TITOLO ORIGINALE: 12 Angry Men; REGIA: Sidney Lumet; SCENEGGIATURA: Reginald Rose; FOTOGRAFIA: Boris Kaufman; MONTAGGIO: Carl Lerner; MUSICA: Kenyon Hopkins; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1957; DURATA: 95 min.

 


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