Jon Favreau PDF 
Maurizio Ermisino   

ImagePer chi non lo conoscesse Jon Favreau è quel tipo grosso e con la faccia un po’ buffa che interpretava il miliardario-wrestler fidanzato di Monica in Friends. A rivelarlo è stato il film indipendente americano Swingers, diretto da Doug Liman. E forse non è un caso che entrambi siano passati a dirigere blockbuster d’azione. The Bourne Identity, Mr And Mrs Smith, Jumper per Liman, Iron Man per Favreau. Il gioco sembra più riuscito nel caso di quest’ultimo. Perché più del suo sodale è riuscito a portare nel cinema ad alto budget una certa attenzione per il racconto, per la costruzione dei personaggi e per l’approfondimento che di solito appartiengono al cinema indipendente. Ma la scelta vincente di Favreau e degli sceneggiatori (Mark Fergus e Hawk Ostby, quelli de I figli degli uomini) è stata quella di attualizzare un personaggio nato negli anni Sessanta, come industriale degli armamenti, e portarlo nei nodi nevralgici delle guerre di oggi.

Ha avuto il compito di guidare la stesura della sceneggiatura. Come ha scelto di ambientare la storia oggi, e in Afghanistan?
Volevamo qualcosa che fosse rilevante rispetto al mondo nel quale viviamo: aver usato l’Afghanistan oggi è simile alla scelta di quarant’anni fa con il contesto del Sudest asiatico durante la guerra del Vietnam. Ovviamente i tempi sono cambiati, la tecnologia si è evoluta, e volevamo anche delle immagini che fossero molto attuali. Ad esempio, il senso di ansia che si respira quando il convoglio viene attaccato e quando vediamo il video con l’ostaggio è qualcosa a cui ci siamo abituati, qualcosa di molto rilevante rispetto all’epoca nella quale viviamo. Così come è interessante vedere come viene progettata la fuga dal luogo di prigionia. Non volevamo fare un film che fosse esclusivamente politico, volevamo un film che fosse intrattenimento, qualcosa di divertente, ma senza andare troppo in quella direzione. Non volevamo che fosse come Speed Racer, un film che è solo fantasia, mille colori brillanti e molta azione. Penso che se si inseriscono degli elementi di fantasia in un contesto più realistico si può creare un’esperienza molto più catartica per il pubblico.

ImageNella presa di coscienza del protagonista, che decide di usare la tecnologia a fin di bene, possiamo vedere quella dell’opinione pubblica americana sulle ultime guerre?
Credo che Iron Man sia sempre stato una metafora dell’America, riflette il modo di pensare degli americani. Qui non si tratta necessariamente di essere pro o contro Bush, sarebbe una visione un po’ troppo semplicistica sull’uso della forza, della tecnologia e del potere. Negli anni ho visto che la gente negli Stati Uniti ha iniziato un dibattito piuttosto intelligente sulla situazione, sul perché eravamo in guerra, su quando questa è giustificata o meno, e sulla reale percezione dei pericoli che l’America deve affrontare. Forse ci siamo resi conto che i problemi erano quelli giusti, ma la nostra strategia nell’affrontarli è stata sbagliata. Forse sono stati commessi degli errori. Sarebbe troppo semplice dire che la forza e il potere sono cattivi: si tratta di capire come possano essere utilizzati, con un senso di responsabilità. Ci sono luoghi e momenti della storia in cui possono servire a raggiungere qualcosa di buono. Oggi vediamo situazioni in diverse zone del mondo in cui le popolazioni vengono oppresse e nessuno fa niente per cambiare le cose. Forse è bene utilizzare la forza e il potere, basta che ci sia saggezza nel farlo.

Lei viene dal cinema indipendente, e ora si è lanciato in questo progetto ad alto budget. Come ha vissuto questo passaggio?
Per quanto riguarda il denaro, la produzione di solito cerca sempre di dettare legge rispetto alla troupe e agli altri aspetti produttivi. Nel mio caso il processo di evoluzione dal cinema indipendente a quello delle major è stato piuttosto organico, a piccoli passi, quindi mi sono sentito piuttosto a mio agio. Il fatto che questo film sia stato prodotto direttamente dalla Marvel Studios ha reso tutto molto semplice: dovevo rispondere direttamente solo a due persone, che si trovavano sul set con me. Non avevo amministratori delegati, o presidenti, che venivano a chiedere dei riscontri. Ho avuto una libertà estrema per quanto riguarda la scelta del cast e l’evoluzione della storia. L’unica cosa che mi hanno chiesto è che ci fosse abbastanza azione, per rendere il film appetibile per il pubblico. Io ho semplicemente rispettato il budget, e l’ho fatto scrupolosamente.

ImageRobert Downey Jr, così come Edward Norton che farà Hulk, non è il tipico attore che ci si aspetterebbe per un film di questo tipo. Voleva dare un rilievo più “psicologico” al personaggio?
Volevo un buon attore, che potesse dare una profondità psicologica al personaggio, senza per questo rendere il film eccessivamente pesante. Ad esempio, Batman Begins è un film moto cupo ed emotivo: nel mio film volevo anche queste cose, ma non soltanto queste. Allora ho scelto un attore che avesse spontaneità e senso dell’umorismo, che fosse affascinante, per far risaltare il lato più profondo del personaggio.

La costruzione del film verte soprattutto sulla nascita del supereroe: potrebbe essere un “Iron Man Begins”. Ci sono sequel in programma?
Spero che possano esserci, ma non dipende da me: quando un film esce in America si cerca di capire il successo che avrà dal primo venerdì di uscita nelle sale. In questo caso il film uscirà prima qui in Italia, quindi presteremo particolare attenzione alle reazioni del pubblico italiano. Se un sequel ci sarà dovrà essere un processo “comunitario”: durante le riprese c’è stata una grande interazione e il film ha avuto il contributo di tutti. Sarà interessante sviluppare nuove storie e nuovi personaggi: già durante le riprese del film riuscivamo a immaginarle.

 


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