Leoni per agnelli: la maturità del cinema di Redford PDF 
Cristina Coccia   

Lo sceneggiatore Matthew Michael Carnahan parte da un concetto estremamente semplice e fondamentale per arrivare a esplicitare la sua tesi con convincenti argomentazioni e relative controargomentazioni, cioè dal punto di vista che la guerra è percepibile e rappresentabile come un processo in evoluzione, instabile e pluristratificato, che si nutre di pretesti contrapposti e contrapponibili. Sulla base di questo punto cardine è strutturato l'intero film di Redford, in cui tre situazioni apparentemente dislocate vengono a intersecarsi e sovrapporsi in più parti dell’indispensabile montaggio, sostenendo l’idea fondamentale dello sceneggiatore e del regista e portando lo spettatore a porsi interrogativi apparentemente inconciliabili ma necessari per arrivare dove i tre contesti lo vogliono condurre. La sicurezza nazionale è effettivamente la cosa più importante per chi si trova a governare un paese? Contemporaneamente però si può asserire che il sacrificio in vite umane dei soldati mandati dalla nazione in guerra possa davvero servire a salvare numerose altre vite?

Nella storia intesa come intreccio del film sono presenti tre location che delimitano tre momenti e tre diverse facce della guerra rappresentate partendo da quella più in alto e più astratta per arrivare a quella più concreta e vicina all’azione: la politica che si contrappone ma contemporaneamente sfrutta la stampa, il mondo intellettuale che sprona i giovani a prendere coscienza e infine il vero luogo d’azione, la guerra, il fronte, le sue tattiche strategiche e le sue motivazioni.

Nella prima situazione c’è un acceso dibattito che parte da un fine propagandistico per arrivare quasi ad uno scontro verbale basato pur sempre su un grande rispetto reciproco ma su due diversi interrogativi e due tesi contrapposte: da un lato è ritratto perfettamente il senatore repubblicano interpretato da un eccellente Tom Cruise, convincente e convinto quanto basta del suo modus operandi e dell’idea che sia necessario il sacrificio di pochi eroi per salvare l’equilibrio e la sicurezza degli Stati Uniti dopo l’11 settembre, dall’altro lato lentamente, sulla base dei quesiti posti durante la presunta intervista, la figura della giornalista esprime invece l’altra faccia dell’opinione pubblica e intellettuale che non riesce a convincersi di questa linea d’azione, che conta le perdite umane e si impegna per far crollare la precedente visione della guerra. Meryl Streep è naturalmente perfetta nel suo ruolo di attenta e sarcastica osservatrice dei fatti e di giornalista che crede ancora nel potere e nella funzione della stampa e che non accetta di diventare solo uno strumento per amplificare le idee di un senatore che non si scompone nemmeno nel momento in cui gli viene comunicato che due militari stanno per essere sacrificati per le sue idee. (La sua freddezza e la sua determinazione a manipolare l’opinione pubblica è definitivamente esplicitata dall’ultima battuta in cui afferma che non si candiderà mai alla Presidenza).

La seconda situazione è invece ben più legata alla terza e molto più concreta perché riguarda due generazioni a confronto, un professore universitario e un suo studente apparentemente disilluso e demotivato che sceglie volutamente di non schierarsi, di rimanere ignorante e apatico mentre qualcun altro prende decisioni per lui e partecipa agli eventi. La vera forza del film e di questa scena, in cui Redford entra senza sforzo nel ruolo del docente e del’intellettuale che usa come arma la dialettica e come argomentazione la sua ferma presa di posizione per portare alla maturità il suo allievo, è il fatto che nel dibattito non c’è una semplice speculazione sulla posizione dell’autore (che è ovviamente contrario alla partecipazione alla guerra come il professore) ma vengono analizzate tutte le posizioni e le possibili contrapposizioni, ogni visione è dibattuta nei suoi pro e contro senza tralasciare nulla. Così mentre il senatore e una parte della politica scelgono come linea di condotta quella della strategia romana di conquistare le alture per avere più facilmente il controllo dei territori da occupare (come avviene in Afghanistan nella terza location), contemporaneamente parte dell’opinione pubblica, come afferma il professore, riesce a focalizzare sulla realtà che metaforicamente Roma sta bruciando, comprendendo che non ha senso fare ancora finta di credere in un’ideologia che porterà molti giovani alla morte e sceglie comunque di essere coerente ai propri principi anche a costo di lasciare il lavoro (come fa in realtà la giornalista alla fine del film lasciando che il telegiornale annunci la notizia che lei non voleva dare sulle decisioni prese dal senatore).

Infine la concretezza del messaggio dell’intero film è data dalla scena dei due giovani soldati volontari nella missione in Afghanistan, che scelgono di rappresentare il loro Paese e si impegnano a farsi ascoltare in nome del coraggio e a credere nelle loro convinzioni anche a costo della vita.
L’ultima scena e l’intera vicenda ricordano Butch Cassidy e il bellissimo finale lascia un unico interrogativo pieno di sfaccettature, di imperfezioni e di punti di vista differenti: cosa fare adesso? Cosa fare in questo particolare momento in cui è necessario più che mai prendere posizione e credere fermamente nelle proprie convinzioni? E’ possibile continuare la propria vita senza battere ciglio mentre in tante altre parti del globo popolazioni intere muoiono e si disperano?

Il cinema è a volte destinato ad essere anche questo, nonostante accese polemiche sull’argomento, e la sua funzione come mezzo di comunicazione non è solo quella emotiva ma spesso anche referenziale, ovviamente unita a sensibilizzare e a creare nello spettatore proprio quella riflessione che a volte non riesce a scaturire dalla semplice enunciazione dei fatti. Ben venga allora questo genere di film a patto che tutto non finisca con i titoli di coda ma che continui ad essere sempre presente nella nostra vita quotidiana e nella nostre scelte.

 


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