A me la festa non sembrava proprio così bella, avevo paura e me ne vergognavo, anche se il killer nascosto non vedeva l’angolo di giardino dove ci trovavamo, né quello in cui si preparava la carne. Chiesi come potessero vivere così. […] Osmo, un gigante grigio e mite, mi disse che vivere così equivaleva a vivere, l’alternativa non era vivere altrimenti, ma morire
Luca Rastello - La guerra in casa
La guerra provoca ferite sul volto delle superfici terrestri, squarci nella carne dei luoghi sui quali si abbatte, che cicatrizzano lasciando per sempre il ricordo dell’impatto, del rumore, della violenza. Un città resta in guerra anche quando ufficialmente le armi sono state deposte. Lo stesso vale per le persone, la guerra rimane nella testa di chi è stato travolto, per anni, per sempre forse. Il presente nei luoghi del conflitto ormai terminato è un presente di vite ancora in conflitto, in battaglia con se stesse e con l’impossibilità di scendere a patti con il passato, oltre che con un reale diventato ancora più duro e ingiusto. La guerra crea prigionieri eterni di una quotidianità - che non solo è spietata -, ma non potrà mai farsi ordinaria. La guerra lascia nei luoghi che abita un numero enorme di storie comuni e disperatamente uniche.
Buon anno Sarajevo racconta una tra le tante storie che sono intrappolate in questo quotidiano straordinario e crudele. E lo fa con una voce, quella della regista Aida Bejic (che ha esordito quattro anni fa con l’ottimo Neve), potente perché consapevole di avere qualcosa da dire, e in ugual modo capace di lasciar parlare i movimenti minimi dei suoi personaggi. Bejic, con uno sguardo che si rifà a quello dei Dardenne, si accosta alle vite dei suoi due protagonisti, fratello e sorella che si muovono nei corridoi stretti e oscuri della Sarajevo contemporanea, tra macerie di cemento e umane, resta loro di fianco, vicino ma non troppo. Impietoso eppure compassionevole, l’occhio della regista bosniaca sa dare forma a un racconto sfumato e allo stesso tempo estremamente solido, nel quale ogni elemento converge e trova il suo culmine nei fuochi d’artificio finali. Memoria dei bagliori delle bombe di un passato che non passa e insieme luci in una notte un po’ meno scura, nella quale può trovare spazio un abbraccio anche se rotto dalle lacrime. Speranza malgrado l’oscenità di un potere che l’orrore non ha reso più squallido e arrogante, speranza malgrado odi etnici mai sopiti e armi pronte a sparare ancora nascoste in giardino.
Certo c’è qualche ingenuità di racconto, la trama appare a tratti un po’ troppo programmatica e schematica e ci sono alcuni “azzardi visivi che lasciano in bocca il sapore dell’artificio. Ma tutto si dimentica di fronte alla forza di un racconto in cui si avvertono sempre un’urgenza e una prossimità emotiva non comuni.
Titolo originale: Djeca; Regia: Aida Begic; Sceneggiatura: Aida Begic; Fotografia: Erol Zubcevic; Montaggio: Miralem Zubcevic; Scenografia: Sanda Popovac; Costumi: Sanja Dzeba; Produzione: Kaplan Film, Rohfilm, Les Films de l'Après-Midi, Film House Sarajevo; Distribuzione: Kitchen Film; Durata: 90 min.; Origine: Bosnia-Erzegovina/Germania/Francia/Turchia, 2012
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