Il cinema di John Sayles PDF 
di Roberto Manassero   

John Sayles è uno di quei registi che tutti conoscono e che pochi hanno potuto vedere. Qui da noi il suo cinema indipendente è quasi invisibile, mentre in America è inevitabilmente surclassato dalla produzione mainstream hollywoodiana. Fatta eccezione per Lone Star – Stella solitaria (1996), la sua opera più famosa e celebrata, per i tredici titoli rimanenti è compito del cinefilo recuperare il recuperabile: vedere Il segreto dell'isola di Roan (1995) in Tv alle dieci del mattino o Promesse promesse (1984) alle tre della notte, acquistare all'estero Sunshine State (2002) o vivere del mito dei suoi primi lavori, da Return of the Secaucus 7 (1980) e Lianna (1983), fino a Fratello di un altro pianeta (1985) e Matewan (1987). Per il resto tocca ai festival – in questo caso Pesaro – colmare i vuoti della distribuzione e permettere a registi come Sayles di essere visti, studiati e apprezzati come meritano.

Nel nostro caso, vista finalmente nella sua completezza, l'opera di Sayles risulta come una specie di corpo estraneo nel magma indistinto del cinema americano contemporaneo. I suoi film sono, infatti, luoghi di riflessione, inquietudine e smarrimento accesi da un piacere della narrazione e del racconto ormai rari da trovare. Se Sayles è un cineasta "classico", lo è nella misura in cui tutto il suo lavoro verte attorno ad un progetto di scrittura rigorosissimo, ad un'attenzione costante a dialoghi e risvolti psicologici dei personaggi, ad una coerente e incalzante progressione drammatica delle sue storie.

Nel metodo di lavoro c'è tutto il senso del suo cinema: dalla necessità, specie nei primi film, di concentrarsi sulle dinamiche interiori dei personaggi per l'impossibilità di ampi movimenti di macchina a causa della scarsità di denaro, alle influenze del cinema commerciale di Roger Corman (per il quale Sayles ha scritto horror e fantasy come Piranha, L'ululato e I magnifici sette dello spazio), all'attività di romanziere prima ancora che di sceneggiatore e regista. Da qui deriva anche il paradosso del quale egli è vittima, vale a dire l'idiosincrasia tra il mito del regista indipendente, politico e controcorrente, venutosi a creare negli anni, e lo stile tutto sommato corretto e invisibile dei suoi film. Un paradosso, questo, che nasce da una concezione quantomeno parziale del cinema indie americano, spesso identificato con la "povertà" e le provocazioni alla Harmony Korine, e quasi mai, nonostante sia questa la linea più feconda, con la chiarezza stilistica, non solo di Sayles, ma anche, ad esempio, di Victor Nuñez.

I film di Sayles sono semplicemente dei racconti, storie di uomini e donne comuni ai quali la sua scrittura precisa e ironica conferisce il dono della sincerità. Il suo spirito umanista lo porta spesso ad ampliare lo sguardo su un gruppo di individui e sulle comunità che essi abitano: la coralità è una delle cifre stilistiche del suo cinema, un modo per mettere in scena l'unione tra il singolo e la comunità, il privato e il pubblico, la storia personale e quella collettiva. Al centro di ogni racconto c'è sempre una famiglia lacerata dai rapporti tra le generazioni, ma l'analisi della dinamica privata si allarga sempre al contesto comunitario al quale ogni individuo appartiene. Nelle cittadine che spesso fanno da contesto fisico e psicologico alle storie, l'America si specchia nella vita dei propri figli, e le vicende di questi ultimi danno vita all'immagine di una nazione intera.

La riflessione di Sayles coinvolge il concetto stesso di società americana, i suoi lati oscuri e le sue mitologie. L'analisi sociale da un lato e il ruolo della memoria dall'altro sono, infatti, alla base della sua poetica: da Matewan, ricostruzione delle lotte operaie degli anni Venti, a City of Hope (1991), storia di corruzione politica in una città odierna; da Lone Star, western moderno su una comunità texana popolata da bianchi, neri e messicani, a Sunshine State (2002), storia corale sulla Florida dei parchi Disney e delle persecuzioni razziali, passato e presente si fondono in un unico, grande flusso di coscienza collettivo. I rapporti tra padre e figlio in City of Hope e Lone Star, tra madre e figlia in Limbo (1999), tra serva e padrone in Amori e amicizie, 1992, o, ancora, i ricordi di una militanza condivisa in Return of the Secaucus 7 sono la prova dell'impossibilità, in America, di vivere il proprio presente senza aver prima fatto i conti con il proprio passato.

In questo senso, il cinema di Sayles è eminentemente politico, ideologico, dal momento che le sue storie nascono dalla vita quotidiana di persone comuni e prendono spunto dalla realtà di un paese in continuo conflitto e movimento (spesso, inoltre, i suoi film sono tratti da storie vere, come Matewan o Otto uomini fuori,1988, ricostruzione di un caso di corruzione nel baseball degli anni Venti). Al tempo stesso, il suo lavoro è classico, lineare, pulito, perché nasce dall'adesione totale allo spirito e alla materia delle storie raccontate. Il cinema, per Sayles, è sia arte affabulatoria, sia mezzo per parlare di persone, sentimenti, idee, gioie e dolori della vita. Il lavoro sui generi, per esempio, è uno degli elementi fondamentali (la commedia di Promesse, promesse e la fantascienza di Fratello di un altro pianeta, 1984, il mélo di Amori e amicizie e il western di Lone Star), ma esso sarebbe del tutto gratuito se non fosse guidato dall'interesse per i personaggi e il loro ruolo nella società.

Anche laddove Sayles abbandona l'America, il suo cinema non perde le proprie linee guida. Al contrario, le evidenzia e riconferma: Il segreto dell'isola di Roan è un racconto per bambini nel quale il passato è rievocato nelle forme fiabesche del mito popolare irlandese, mentre in Angeli armati (1997) l'atavica indifferenza della natura e la cieca violenza degli uomini condizionano il protagonista – un dottore che cerca i suoi studenti mandati a lavorare presso gli indios messicani – nella riscoperta di un passato che è simbolo di impegno sociale ed emancipazione.

Una sconfitta o una dolorosa presa di coscienza è sempre l'approdo dei personaggi saylesiani: ma è il viaggio stesso a costituire l'ossatura di ogni film e a determinare la crescita. L'autore stesso ha più volte sottolineato il fatto che i suoi antieroi non sono dei perdenti, ma solamente individui costretti a fare i conti con la propria vita, le proprie idee e le proprie sconfitte: dal protagonista di Lone Star, che vuole distruggere il mito fasullo del padre, agli eroi disillusi e abbandonati su un'isola dell'Alaska di Limbo, la consapevolezza dei fallimenti passati segna a fondo la personalità dei personaggi, ma, anche, al tempo stesso, la loro volontà di ricominciare.

Dopotutto, da cineasta indipendente e militante, emarginato ma anche apprezzato dall'industria (non a caso è consulente non accreditato per molte sceneggiature di film hollywoodiani), Sayles deve sentirsi egli stesso come i suoi personaggi, sospeso in quel paese dall'identità perduta e multiforme che è diventata l'America: un limbo senza nome che può essere invariabilmente il mondo del cinema dominato dagli studios, i ghetti neri di Harem, la Virginia delle miniere di carbone o luoghi di frontiera, dunque di conflitto, come il torrido Texas e la gelida Alaska dalle lande desolate.

 


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