Gomorra: un film che non si guarda, si abita PDF 
Paolo Parachini   

Gomorra non è soltanto un’assonanza fonetica con camorra. Gomorra, insieme a Sodoma, venne rasa al suolo da Dio in quanto città di perdizione e depravazione. Napoli è Gomorra, la città della camorra, e non verrà rasa al suolo da Dio: ci penseranno direttamente i malavitosi. La criminalità organizzata è un substrato culturale indissolubile, inevitabile, auspicabile, desiderabile. E’ un riflesso del mondo e della società e come tale è riflesso da ciò che il mondo e la società producono. Industria, pubblica sicurezza, politica, droga, edilizia sono sotto e dentro i meccanismi criminosi. E i meccanismi criminosi sono oggetto di produzione e riflessione: letteratura, storia, cinema. Il crimine organizzato non è soltanto organizzato, ma si organizza dentro ogni cosa ed ogni uomo. Marco e Ciro idolatrano Tony Montana, ma è obiettivamente possibile farlo, nel loro caso: anche se esagerano vivono in una realtà dove non è impossibile riuscirci. Soprattutto loro sono già dentro un film (o un libro).  Tonì osserva gli spacciatori di Scampia, luogo in cui vive, con curiosità: il guadagno è alto, il lavoro è poco. Don Rino è un porta soldi per le famiglie che appoggiano il clan per cui lavora.  Roberto è l’apprendista aiutante di Franco (un ottimo Toni Servillo), attivo nel campo dello smaltimento di rifiuti tossici, un professionista nell’avvelenare la terra, in questo caso campana.

Don Pasquale è un sarto abile nella falsificazione, che cede nell’insegnare (dietro lauto compenso) la propria arte ai cinesi. Gamorra è un sentiero attraverso le vite di questi personaggi, pedine minuscole nel grande sistema criminoso. Nessun boss, niente intrighi d’alto rango. Il solo ingresso in scena dei pezzi più grossi è, paradossalmente, per eliminare i più deboli, i due aspiranti Tony Montana, addirittura gli unici due volutamente fuori dal gioco delle famiglie, ma dentro al gioco del crimine. Gamorra è un film che non si guarda, si abita. Garrone invita lo spettatore a diventare napoletano, lo fa diventare abitante di quei luoghi e di quel tempo. Musica solo [i]on the air[/i], riprese a mano, posizione della macchina da presa e movimenti non tradiscono mai l’umanità dell’occhio che osserva l’azione. Solo in una sequenza ciò non accade: don Rino, il porta soldi, esce da un appartamento, unico sopravvissuto ad una strage, e la macchina da presa lo segue, ma comincia a muoversi lentamente verso l’alto, osservandolo camminare tra i cadaveri, per poi lasciarlo fuggire, in lontananza. In questo movimento di macchina c’è la chiara volontà del regista di allontanare lo spettatore per un attimo dalla terra bruciata e pregna di sangue. C’è la volontà di staccarsi da quella violenza, dal risultato di una guerra. Si muove verso l’alto, per dichiararsi al di fuori, anzi al di sopra, di quello che è successo.

Per il resto Gomorra assorbe lo spettatore con una presa ed un efficacia rarissima, non c’è momento, a parte quello sopracitato, in cui il flusso estranei lo spettatore, anzi, ogni momento che passa l’inserimento è quasi irreversibile. E a ben vedere, anche in quella sequenza, il movimento di macchina, nonostante esca dalla fisicità umana, segue la volontà inconscia dello spettatore. Gamorra è arrivare ad essere tesi, nel timore di sentire partire un colpo di pistola, consci del fatto che il bersaglio può essere chiunque. E’ una domanda, quella che Garrone vuole farci con Gomorra: voi, cosa decidete, uscite dal gioco o ci restate? E se ci restate, è perché lo volete o perché siete obbligati? Non c’è molta scelta, in fondo, ma siamo tutti abitanti di Gomorra, e bisognerebbe darsi una risposta.

 


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