Frost/Nixon - Il duello PDF 
Matteo Marelli   

Il medium è il messaggio
(Herbert Marshall McLuhan)

La televisione ha stravolto profondamente il rapporto tra elettori e politici, ha messo al centro della comunicazione l'intera figura, il corpo e l'immagine del leader. La TV ha dettato regole e tempi che hanno riprogrammato interamente la tenuta della veicolazione informativa. Ha imposto lo standard della brevità comunicativa che ha costretto ad elaborare una strategia basata più sugli slogan che sul discorso. Ad emergere non sono più le argomentazioni, ma tutta una serie di elementi extra-verbali: presenza fisica, sguardo, abbigliamento, gestualità, atteggiamenti, tono di voce. Il politico deve essere per prima cosa un personaggio all'altezza dello scenario televisivo.

Richard Nixon è il leader che ha maggiormente subito le novità determinate dalla TV. Per fattori probabilmente generazionali, non è stato in grado di capire che ciò che aveva di fronte non era un semplice strumento tecnico, ma una forza potente, che stava trasformando in modo radicale la società. Ci sono due episodi emblematici della sua carriera politica che lo vedono confrontarsi con il mezzo televisivo, ed entrambe le volte ne è uscito sconfitto. Il primo è lo storico duello con Kennedy, durante la campagna elettorale del 1960, che vide la vittoria del candidato democratico. Come analizza  McLuhan: "Kennedy fu il primo presidente televisivo, perché fu il primo eminente uomo politico americano che avesse mai capito la dinamica e le linee di forza dell'iconoscopio televisivo [...] Kennedy possedeva, grazie alla sua fortuna personale, una conciliante freddezza e indifferenza verso il potere, che gli permetteva d'adattarsi perfettamente alla TV. Il candidato politico che non possiede tali fredde qualità a bassa definizione, che permettono allo spettatore di colmare le lacune con la propria identificazione personale, si autogiustizierà sulla sedia elettrica della televisione, come fece Richard Nixon nel disastroso dibattito con Kennedy durante la campagna elettorale del 1960. Nixon era essenzialmente caldo; egli apparve sullo schermo televisivo offrendo un'immagine ad alta definizione, dall'azione e dai contorni ben definiti, che contribuirono alla sua reputazione di fasullo, da cui la sindrome di Tricky Dicky (Dicky – diminutivo di Richard – il furbastro, ndt), che lo perseguitò per anni".

Il secondo è quello dell'intervista con il conduttore televisivo David Frost avvenuto nell'estate del 1977, prima occasione in cui Nixon accettò di parlare del proprio coinvolgimento nello scandalo Watergate, in seguito al quale rassegnò l'incarico di presidente degli Stati Uniti per sottrarsi al procedimento di impeachment. Questo episodio è il soggetto della pièce di Peter Morgan dalla quale Ron Howard ha tratto il suo ultimo film. La vicenda di David Frost, impegnato a creare una situazione televisiva all'interno della quale riuscire a portare Nixon a dichiarare la propria ammissione di colpa, permette  ad Howard di riflettere su come le tecnologie dell'informazione e della comunicazione possano intervenire all'interno dei processi democratici. Sia Frost che Nixon sono certi di poter utilizzare a proprio vantaggio il mezzo televisivo. Il primo, sfruttando la delusione e la disaffezione di un intero paese, desidera celebrare un processo pubblico contro l'ex presidente, unicamente per poter ottenere quel record d'ascolti che possa risollevare le sue quotazioni all'interno dell'universo della comunicazione televisiva. Il secondo vuole riconquistare fiducia e credibilità politica. Entrambi, pur occupando punti d'osservazione privilegiati, non riescono però a cogliere le effettive potenzialità della TV e i rischi a cui questa potrebbe esporli. Convinti della propria posizione di vantaggio rispetto all'avversario, Frost, perché uomo di spettacolo, Nixon, perché consapevole del proprio spessore politico e intellettuale, si ritrovano ambedue ad esser fagocitati dalla macchina televisiva.

La televisione non rispecchia l'intervista che ognuna delle parti in causa è convinta di poter dirigere, piuttosto la produce. L'occhio della telecamera li insegue, li rivela pubblicamente. Défaillance, tic, sguardi preoccupati, sudore, moti di stizza, tutto viene puntualmente documentato dal mezzo televisivo.  Per quanto dotati di mestiere e di efficienti apparati di pubbliche relazioni, i due rivali non possono che perdere il controllo totale sulle proprie immagini e sulle proprie azioni. Ad uscire sconfitto è Nixon, ma Frost non può essere considerato il reale vincitore. A imporsi è la macchina televisiva con la sua capacità di disvelamento, di “penetrare profondamente nella rete della realtà”, di “staccare l'oggetto dalla conchiglia che lo racchiude”. Il medium è il messaggio, cioè è il mezzo televisivo, è la televisione stessa che produce degli effetti. Ciò che è importante non è il contenuto, ma i criteri strutturali in base ai quali un medium, la TV in questo caso, organizza la comunicazione, come questo, in virtù delle sue caratteristiche tecnologiche, opera sui modi di percepire e di pensare.

La regia di Howard purtroppo si limita soltanto ad accennare quanto appena detto. Il regista non riesce a tradurre visivamente  una serie di spunti teorici molto interessanti, e si riduce ad esprimerli per bocca  dei comprimari. Non è capace, tanto per fare un esempio, di caricare della giusta enfasi quel primo piano di Richard Nixon, messo alle corde da David Frost,  che dovrebbe essere più esaustivo di una sua chiara ammissione di colpa. Se non ci venisse detto, il potere disvelatorio dell'occhio televisivo rimarrebbe abbastanza fumoso. In Frost/Nixon si parla tanto di televisione, ma non si avverte la sua presenza. Ed è grave. Altra pecca è quella di far sentire l'impostazione teatrale del soggetto. Howard prova ad organizzare il faccia a faccia televisivo come se si trattasse di un  incontro di pugilato – provocazioni, affondi, diretti, ganci, montanti, schivate, parate, ritirate –, ma è troppo statico. Di chiara derivazione teatrale è anche la telefonata di Nixon a Frost, prima del loro ultimo incontro televisivo. Un lungo monologo appesantito dall'istrionismo di Frank Langella, l'interprete che dà volto all'ex presidente, più impegnato a dar sfoggio della propria arte recitativa che di trasmettere la giusta dose di drammaticità che l'episodio richiederebbe.

Frost/Nixon non è certo un brutto film. Rimane la delusione di intravedere quello che sarebbe potuto essere e che non si ha avuto il coraggio di realizzare.

TITOLO ORIGINALE: Frost/Nixon; REGIA: Ron Howard; SCENEGGIATURA: Peter Morgan; FOTOGRAFIA: Salvatore Totino; MONTAGGIO: Daniel P. Hanley, Mike Hill; MUSICA: Hans Zimmer; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2008; DURATA: 122 min.

 


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