L’amaro sapore del potere: la politica non è affare da uomini buoni PDF 
Andrea Mattacheo   

È vero che certe creature viventi, come le api e le formiche, vivono in società fra loro, e per questo sono da Aristotele annoverate fra le creature politiche, e tuttavia non hanno altra guida che quella del loro particolare giudizio o desiderio, non hanno la parola con la quale ognuna di esse possa indicare a un'altra ciò che ritiene di utilità comune per loro; di conseguenza qualcuno forse desidererà sapere perché l'umanità non possa fare allo stesso modo. Al che io rispondo: in primo luogo gli uomini sono in continua competizione per l'onore e la dignità, cose che quelle creature non conoscono nemmeno, e di conseguenza fra loro sorgono per questa ragione invidia e odio […]
T. Hobbes, Leviatano

Come molti film che hanno per protagonista Henry Fonda, L’amaro sapore del potere di Franklin Schaffner è un film di parola, nella misura in cui il suo senso prende forma attraverso la fitta rete di dialoghi costruita da Gore Vidal (sceneggiatore e autore della piece teatrale da cui è tratto). È un film di parola perché il mondo che mette in scena, il mondo della grande politica, è fatto principalmente di parole; parole per nascondere cose indicibili, che se rivelate svuoterebbero di senso una democrazia, quella americana, fondata più di ogni altra sull’autocelebrazione del proprio mito. Non a caso i titoli di testa scorrono sulle immagini ieratiche di tutti i presidenti statunitensi, da Washington a Kennedy, ritratti perfetti e immobili, foto di scena di attori in una finzione che resiste da oltre due secoli. La finzione di una narrazione retorica e monolitica in cui il popolo è protagonista e di cui è destinatario, che trasfigura una realtà nella quale, invece, non ha nessuna importanza, dove le persone sono numeri da mettere insieme per servire interessi enormi e alimentare la malattia umana più grande: il desiderio di potere.

La politica raccontata da Schaffner e Vidal è il luogo dove questa malattia è condizione ontologica, motore unico di un sistema che si compiace dei suo freddi meccanismi perché al di là di essi non avrebbe ragioni per esistere. Libertà, opportunità, uguaglianza, sono maschere semantiche dietro le quali si nasconde una verità mostruosa, insopportabile: l’indifferenza della politica nei confronti del reale. Disinteresse per il mondo e per chi lo abita che, nella recita di un bipolarismo tanto rigido quanto privo di vero conflitto, è identico su ciascun fronte. Opposizioni volte a suscitare un senso di appartenenza forte nelle apparenze ma, nel profondo, inconsistente ed effimero quanto le immagini dei manifesti elettorali. E senza conflitto restano così solo stasi, immobilità, morte nella vita. Lo schieramento al quale appartengono i protagonisti impegnati nelle primarie de L’amaro sapore del potere non è infatti identificabile, potrebbe essere quello democratico come quello repubblicano. Non ha importanza, perché gli ideali, ciò che scava il solco di una differenza vitale e gravida di progresso, sono scomparsi nel caos spettacolare di uno scenario dominato da ricatti, compromessi, accordi siglati nell’oscurità delle stanze sul retro, forze che tirano da una parte e poi dall’altra, lasciando alla fine tutto fermo.

“Nella politica come nella vita non ci sono fini soltanto mezzi”, dice a Russell il vecchio Hockstader, ormai morente; sono i mezzi che si usano per stabilire quale uomo si è scelto di essere. E l’uomo migliore (The Best Man è il titolo originale del film) non sarà mai candidato alla presidenza degli Stati Uniti, perché per desiderare al punto da ottenere un potere tanto grande si deve abbandonare quanto rende umani. Meglio allora allontanarsi, silenziosamente, ignorati da tutti, come Russell, consapevoli di essere uomini con debolezze e dubbi, uomini buoni, e di poter  solo sperare  nel male minore.

Titolo originale: The Best Man; Regia: Franklin J. Schaffner; Sceneggiatura: Gore Vidal; Fotografia: Haskell Wexler; Montaggio: Robert Swink; Scenografia: Lyle R. Wheeler, Richard Mansfield; Costumi: Dorothy Jeakins; Musiche: Mort Lindsey; Produzione: Millar/Turman Productions; Distribuzione: UA; Durata: 102 min.; Origine: USA, 1964

 


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